A proposito della festa Beat ‘Anni Sessanta' di domenica prossima al Cavern Teatrino delle 6, un primo contributo di consigli utili e pratici per intervenire con il giusto spirito ed abbigliamento ad un evento tra costume e cultura per I giovani di ieri e di oggi
“Erano gli anni del 'Beat', della ribellione e dell'anticonformismo. La Rivoluzione giovanile era legata al rifiuto del tradizionale, di tutto ciò che veniva imposto dagli schemi sociali e in primo luogo dai genitori. [] Una rivoluzione culturale che aveva come manifesto la musica dei Beatles e dei Rolling Stones, i blue-jeans di James Dean, la magrezza di Twiggy e le minigonne di Mary Quant. Più che mai i nuovi giovani si esprimevano nei comportamenti e nei vestiti, contrapponendo la nuova moda al classico completo.
I giovani si impegnavano a violare deliberatamente i canoni del 'buon gusto', usavano capi che i loro genitori non avrebbero potuto vestire senza sembrare disastrosi o addirittura ridicoli. I ragazzi degli anni Sessanta, che ascoltavano “Yellow Submarine” dei Fab Four di Liverpool e “Satisfaction” dei trasgressivi Stones, si immedesimavano facilmente negli ideali e soprattutto nel modo di apparire dei loro miti. Allora ecco i primi caschetti, il taglio di capelli più imitato del secolo, o gli occhiali tondi di John Lennon, o ancora le camicie strette di Mick Jagger.
Ma il must sono i blue-jeans. Parola d'ordine di un modo di vestire e di uno stile di vita che ha contraddistinto quest'epoca e che ancora oggi costituisce il pezzo base dell'abbigliamento dei giovani e dei meno giovani. I pantaloni dei ragazzi, importati dagli States già negli anni Cinquanta, venivano tagliati in modo da dare risalto agli attributi. Strettissimi, a vita bassa, arricchiti da cinture più o meno importanti, nati dall'esigenza di contrapporsi ad un modo classico e tradizionale di vestire, ma anche dalla praticità, dalla economicità e dalla resistenza di questo nuovo e unico tessuto. La fisicità della Beat Generation bene si sposava con tutto ciò che era stretto, striminzito. Dai cappottini tre quarti, alle giacche, a tutti i tipi di top rigorosamente una taglia in meno.
La generazione dei magri imperversava nelle sale cinematografiche e sulle copertine dei giornali di moda. E' il momento di Twiggy. Capelli biondi e corti, poco seno, gambe lunghe e una magrezza sconcertanteIl nuovo look, personificato dalla modella inglese, rappresentava la scoperta di un nuovo stereotipo di donna che si andava a contrapporre in modo deciso alle conturbanti bellezze delle pin-up degli anni Cinquanta.
Le ragazze giravano in Lambretta e in Vespacon la stessa naturalezza dei ragazzi sfoggiando delle 'favolose' minigonne. L'invenzione di Mary Quant, senza dubbio la vera trasgressione degli anni Sessanta, era l'espressione di libertà e di sfida proprio di quel periodo. Oltre a essere corti, i vestiti erano semplici, angolosi, le pettinature geometriche e essenziali. Era l'embrione del minimalismo. Il make-up metteva i evidenza gli occhi, con eyeliner e rimmel che rendevano le ciglia lunghissime; i rossetti chiari, gloss e ombretti perlati. Irriverenza e violazione delle regole. La moda era per tutti, non solo per il mondo elitario del jet-set e dei grandi stilisti.
Tutto era permesso, più che anni della rivoluzione potremmo definirli gli anni della permissività”.
Contributo da: www.moda.it