Intermediari con l'Afghanistan, 4 noti spoletini a processo per falso - Tuttoggi.info

Intermediari con l’Afghanistan, 4 noti spoletini a processo per falso

Sara Fratepietro

Intermediari con l’Afghanistan, 4 noti spoletini a processo per falso

L'indagine è una costola di quella "madre" sulla Bps. Nel mirino l'autenticità di un documento firmato dall'ambasciatore afgano
Gio, 07/04/2016 - 09:50

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Si proponevano come intermediari per chi era interessato a scambi economici e commerciali con il Governo afgano, ma se i rapporti con quest’ultimo erano reali o fittizi dovrà essere il tribunale di Spoleto a stabilirlo. È curioso il processo approdato ieri mattina davanti al giudice Francesco Salerno (con il pm Roberta Maio a rappresentare l’accusa) e che vede sul banco degli imputati quattro spoletini piuttosto conosciuti. Per tutti l’accusa è di falso: avrebbero, stando alla tesi accusatoria, prodotto loro stessi un documento con tanto di timbro dell’Ambasciata dell’Afghanistan in Italia e firma dell’ambasciatore per millantare, in sostanza, una sorta di accreditamento presso il governo afgano. Gli imputati, però, si difendono dicendo che era tutto vero. E le testimonianze rese ieri in aula dai finanzieri che si occuparono dell’inchiesta in realtà sembrano andare a favore loro.

La vicenda prende le mosse dalle intercettazioni relative all’inchiesta sulla Banca popolare di Spoleto (che attualmente vede davanti al gup 14 persone). Tenendo sotto controllo telefoni ed e-mail delle persone coinvolte nell’indagine madre, i finanzieri avevano captato una situazione sospetta. Era la primavera del 2012. Dalle intercettazioni emerge la storia di una trattativa tra una società costituita da tre spoletini ed un diplomatico, insieme ad un’altra società guidata da un altro spoletino, e una compagnia militare privata operante in Afghanistan ma con la licenza internazionale in scadenza. Gli spoletini si offrono come intermediari per il rinnovo di questa ed è qui che inizia lo scambio di e-mail tra di loro dove spunta, come allegato, una bozza di documento da inviare poi al “contractor”. Documento che poi ricompare, sempre come allegato in una mail, passando da uno spoletino ad un altro, improvvisamente con la firma dell’ambasciatore ed il timbro dell’ambasciata. Per il inquirenti è un falso. Ma ieri i finanzieri ascoltati in aula hanno spiegato che effettivamente non hanno mai verificato se la firma corrispondeva o meno a quella dell’ambasciatore. Nell’indagine, poi, è emerso, sono mancati alcuni controlli proprio perché si parla di rapporti con diplomatici, che godono ovviamente di immunità. Uno di loro, comunque, lo straniero che insieme ai tre spoletini aveva costituito la società, verrà ascoltato come testimone della difesa durante la prossima udienza, fissata per il 25 maggio.

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