FESTA DELLA ASSUNTA: MONS. FONTANA "MANCATA SOLIDARIETA' FA PRECIPITARE ECONOMIA DEL TERRITORIO" - Tuttoggi.info

FESTA DELLA ASSUNTA: MONS. FONTANA “MANCATA SOLIDARIETA' FA PRECIPITARE ECONOMIA DEL TERRITORIO”

Redazione

FESTA DELLA ASSUNTA: MONS. FONTANA “MANCATA SOLIDARIETA' FA PRECIPITARE ECONOMIA DEL TERRITORIO”

Sab, 16/08/2008 - 12:05

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“Il bene comune di Spoleto non si definisce in contrapposizione con gli altri. Non dobbiamo fare la lotta con nessuno. C'è, invece, bisogno di trovare sempre più vive e forti collaborazioni tra tutti, nella ferma convinzione della nostra qualità. Se riusciremo a farlo con umiltà saremo creduti. Sono più le ragioni che ci uniscono, che quelle che ci dividono”. Un appello alla pace, ma anche al rimboccarsi le maniche per il bene comune, quello dell'arcivescovo Riccardo Fontana durante l'omelia per la solenne celebrazione in duomo nel giorno dell'Assunta, patrona principale dell'arcidiocesi.

Una messa molto partecipata dai cittadini, come ogni anno, alla quale ha preso parte il sindaco Massimo Brunini insieme ad alcuni assessori.

La liturgia è stata animata dalla cappella musicale del duomo, che per la prima volta ha eseguito l'Ave Maria di Rossini. Al termine della messa monsignor Fontana ha benedetto il popolo, con la Santissima Icone in mano, dal terrazzo della cattedrale.

“Vi è una tendenza – ha affermato monsignor Fontana durante l'omelia – a trovare la definizione di sé solo nella lotta. C'è chi, senza ‘nemici', non sa vivere e non sa neppure convivere. Questo tempo, tradizionalmente dedicato alle ferie e al riposo, è il ‘momento opportuno' di evangelica memoria, perché ciascuno di noi si scruti dentro e, con risposte sagge, si riappropri dei fondamentali della propria esistenza. Proporre a tutti l'interiorizzazione è per la Chiesa una profezia dovuta”.”Dentro la cerchia delle mura, nei pressi della Rocca, sopra il Duomo, – ha aggiunto il presule – sgorga la ‘fonte del priore'. Per secoli è stata l'acqua dell'emergenza che, con un intelligente percorso attraversava la città storica, perché tutti potessero liberamente e sicuramente berne. Uno dei primi atti, appunto, di chi volesse soggiogare una città era, in antico, quello di avvelenarne le fonti. I tempi sono cambiati, ma l'argomento resta di significativa attualità. Avvelenare il clima sui temi fondamentali è un grave danno per tutti. La festa di S. Maria è l'occasione offerta perché ciascuno torni a considerare questa delicata materia dell'identità, che a tutti appartiene. E' il momento propizio perché ciascuno torni sì a guardare con attenzione al proprio principium distinctionis, ma trovi anche il modo, nella progettualità, di combinarlo con quello degli altri, perché vi sia utilità per tutti. Non è più bravo chi distrugge gli altri, ma chi sa fare andare tutti più avanti nella strada giusta”.Parole forti quelle dell'arcivescovo, che ha anche individuato i problemi principali del territorio, i “mali”attuali.

“Nella prassi dei cristiani ogni processione, con il suo cammino, – ha detto infatti monsignor Fontana – è immagine dell'Esodo e della Terra Promessa. Ogni esodo è faticoso; ogni promessa richiede di fidarci di chi l'ha fatta. I gesti degli spoletini, sulle orme dei loro padri nei secoli, accompagnando la Santissima Icone, sono l'occasione propizia per prendere sempre maggiore consapevolezza non già dell'Egitto antico, ma dei mali che ci hanno sinora afflitto e dai quali solo con volontà comune e fiducia in Dio possiamo uscire: la fragilità della famiglia, la questione educativa che ci impegna a far più spazio ai nostri giovani, la mancata solidarietà che sta facendo precipitare l'economia del territorio, quello strano “rispetto umano” per cui la fede, presente in quasi tutti, stenta a manifestarsi. Anche per Spoleto la terra della promessa è ancora una volta la terra permessa, cioè una “buona misura, pigiata, scossa e traboccante” che ci sarà versata in grembo se, ancora una volta, con l'aiuto di S. Maria, metteremo impegno ad una progettazione comune per la città, seria e condivisa”.

Ecco il testo completo dell'omelia

Fratelli e sorelle nel Signore, pace a voi!

1. La Madre di Cristo è assunta in Cielo, dove è redenta e glorificata. La sua comunione con Gesù è perfetta. La sua conformità al Cristo risorto è realizzata. In questa sua condizione si manifesta come “primizia e immagine della Chiesa”. Primizia perché S. Maria è, già ora, nella condizione che è promessa a tutti noi, al termine del nostro percorso su questa terra, quando finalmente arriveremo in Paradiso. E' Icona, immagine della Chiesa, perché realizza, nella perfezione, la storia comune del popolo di Dio: in Lei possimo specchiarci per ritrovare la speranza.Il libro dell'Apocalisse la rappresenta coronata di stelle, al termine della grande lotta col male: “Ora si è compiuta la salvezza”. Noi che siamo nella condizione del sacramento, cioè di una salvezza ancora incompiuta, ma solo anticipata, siamo chiamati alla contemplazione, per riprendere il coraggio necessario per portare a termine la nostra parte di cristiani. Dio ha avuto fiducia di ciascuno di noi e ci ha affidato la nostra porzione di bene: sta a noi realizzarlo. Ognuno è chiamato a edificare, a rendere il mondo migliore: ciascuno nella propria condizione, di famiglia, di lavoro, di ruolo sociale, di servizio agli altri. Questa è la festa in cui contemplare il bene comune, realizzato nella sua pienezza: è il momento giusto per fissare gli occhi sul progetto di Dio. Noi siamo gli operai del regno, intenti alla sua costruzione, in mezzo alla fatica e qualche volta anche alla sofferenza. La Parola ci conforta. L'Apostolo ci ricorda che c'è un ordine nelle cose, che neppure al male è possibile sovvertire: “Prima Cristo, che è la primizia, poi, alla sua venuta quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine….l'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”.L'Evangelo ci presenta tre immagini da contemplare: il viaggio di Maria verso la montagna, cioè l'asperità del percorso, che è figura della missione che anche noi dobbiamo fare nel mondo per portare Gesù a tutti.La profezia di Elisabetta, che riconosce il Signore presente nel mondo e benedice, con la Madonna tutta la Chiesa. Sta a noi proseguire l'opera di Santa Maria, generando a Cristo i fratelli attraverso la fede. Infine il Magnificat, con i suoi verbi al passato, per ricordarci che il compito per realizzare la Parola di Dio è arduo, ma la riuscita dell'operazione che salva l'uomo e la donna della terra ha per soggetto Dio stesso ed è dunque certa, come già avvenuta. Ha disperso i superbi, ha rovesciato i potenti, ha innalzato gli umil: il mondo è già stato giudicato. Il Magnificat ci anticipa la soluzione finale, perché ci rallegriamo tutti insieme che Dio si è ricordato di noi, non ci abbandona, anche se ancora è necessaria la fatica e la fede. Questo è il giorno opportuno per provare a considerare quale sia la parte nostra nel mondo, ma anche qui a Spoleto, e in questo tempo che ci è donato.

2. E' facile ricordare la scelta degli antichi, come all'inizio del Secondo Millennio, nel contrasto tra l'impero, il papato e le sorgenti autonomie comunali, il popolo prese a chiamare i confini di quello che era stato il Ducato Longobardo “terra di S. Maria”. I termini del confronto hanno una qualche somiglianza con la successiva storia di Spoleto: le ragioni della politica, i gruppi intermedi, le rivalità locali sono i soggetti con cui la città si è misurata, con alterne vicende, nei secoli. La scelta dei padri fu di puntare sull'unità: questo è il senso anagogico della locuzione “terra di S. Maria”. La Chiesa ripete a tutti il dovere di non ignorare il bene comune. Mi pare che ci siano tre “fuori strada” sempre da evitare, con ferma decisione. Il bene comune di Spoleto non si definisce in contrapposizione con gli altri. Non dobbiamo fare la lotta con nessuno. C'è, invece, bisogno di trovare sempre più vive e forti collaborazioni tra tutti, nella ferma convinzione della nostra qualità. Se riusciremo a farlo con umiltà saremo creduti. Sono più le ragioni che ci uniscono, che quelle che ci dividono. E' cultura riuscire a capire; mediare dove possibile; far comprendere ciò che è necessario. Ogni città è in qualche modo una palestra, dove allenarci tutti alla pace costruttiva. Vi è una tendenza a trovare la definizione di sé solo nella lotta. C'è chi, senza “nemici”, non sa vivere e non sa neppure convivere. Entrambe le realtà si integrano a vicenda. Questo tempo, tradizionalmente dedicato alle ferie e al riposo, è il “momento opportuno” di evangelica memoria, perché ciascuno di noi si scruti dentro e, con risposte sagge, si riappropri dei fondamentali della propria esistenza. Proporre a tutti l'interiorizzazione è per la Chiesa una profezia dovuta. E' un processo che appartiene sia alla sapienza umana dei Romani, testimoniata da Cicerone, che all'Aquinate. Ogni persona, se vuole essere libera, deve tornare a misurarsi con l'esametro che – almeno trattando Dante – imparammo sui banchi del liceo: quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando. La virtù dell'umiltà, tanto cara agli umbri, ci insegnerà i modi per una proficua e utile convivenza con gli altri. L'identità scaturisce dalla riflessione su di sé e da una progettualità comune, condivisa. Vi è un terzo precipizio da evitare. Dentro la cerchia delle mura, nei pressi della Rocca, sopra il Duomo, sgorga la “fonte del priore”. Per secoli è stata l'acqua dell'emergenza che, con un intelligente percorso attraversava la città storica, perché tutti potessero liberamente e sicuramente berne. Uno dei primi atti, appunto, di chi volesse soggiogare una città era, in antico, quello di avvelenarne le fonti. I tempi sono cambiati, ma l'argomento resta di significativa attualità. Avvelenare il clima sui temi fondamentali è un grave danno per tutti. Ripetendo la consuetudine di anni la Santissima Icone, nei nove giorni prima della festa di S. Maria, è passata attraverso le parrocchie della città: col suo manto della misericordia – è l'Haghiosoritissa – ci ricorda che c'è spazio per tutti. A noi cristiani è chiesto di mostrare ad ogni generazione la vera icona di Gesù, che è il “Parto della Vergine”. Non viene naturale, non è scontato, è opera di Dio. Così la nostra identità comune non è semplicemente consequenziale, non affiora da sola, ha bisogno della carità, che è l'aiuto di Dio. La festa di S. Maria è l'occasione offerta perché ciascuno torni a considerare questa delicata materia dell'identità, che a tutti appartiene. E' il momento propizio perché ciascuno torni sì a guardare con attenzione al proprio principium distinctionis, ma trovi anche il modo, nella progettualità, di combinarlo con quello degli altri, perché vi sia utilità per tutti. Non è più bravo chi distrugge gli altri, ma chi sa fare andare tutti più avanti nella strada giusta.Avviando la festa di S. Maria, abbiamo portato la Santissima Icone da S. Gregorio Maggiore in Duomo. E' il dono di riconciliazione e di pace fatto a Spoleto dall'Imperatore Federico Barbarossa. E' un luogo della memoria collettiva da secoli e segno della pietà mariana del nostro popolo. Nella prassi dei cristiani ogni processione, con il suo cammino, è immagine dell'Esodo e della Terra Promessa. Ogni esodo è faticoso; ogni promessa richiede di fidarci di chi l'ha fatta. I gesti degli spoletini, sulle orme dei loro padri nei secoli, accompagnando la Santissima Icone, sono l'occasione propizia per prendere sempre maggiore consapevolezza non già dell'Egitto antico, ma dei mali che ci hanno sinora afflitto e dai quali solo con volontà comune e fiducia in Dio possiamo uscire: la fragilità della famiglia, la questione educativa che ci impegna a far più spazio ai nostri giovani, la mancata solidarietà che sta facendo precipitare l'economia del territorio, quello strano “rispetto umano” per cui la fede, presente in quasi tutti, stenta a manifestarsi. Anche per Spoleto la terra della promessa è ancora una volta la terra permessa, cioè una “buona misura, pigiata, scossa e traboccante” che ci sarà versata in grembo se, ancora una volta, con l'aiuto di S. Maria, metteremo impegno ad una progettazione comune per la città, seria e condivisa.


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