di Marco Pratellesi
(Corriere.it)
La crisi economica, congiunturale, e la crisi dell'editoria, che alcuni analisti indicano come strutturale, sono al centro di un ampio dibattito sul futuro dell'informazione, sui nuovi modelli di business e più in generale sul ruolo dei media nell'era Layla Pavone, presidente Iab Italiadel digitale. La flessione delle vendite e della pubblicità ha messo in crisi i quotidiani un po' in tutto il mondo. Alcuni hanno chiuso l'edizione cartacea. Anche le versioni digitali, per quanto in costante crescita di utenza, risentono, seppur in modo meno evidente, della crisi economica. Secondo Iab Italia (Interactive Advertising Bureau), che raggruppa i più importanti operatori della pubblicità online, nel 2009 la crescita stimata del settore rispetto al 2008 sarà del 13,7%, pari a un valore complessivo del mercato di 931,35 milioni di euro. Un incremento importante, ma lontano dal 40% che il settore ha fatto registrare negli anni d'oro. Il fatto è che la sola pubblicità non è sufficiente a garantire la qualità dell'informazione online, ragione per cui alcuni editori, Rupert Murdoch in testa, stanno pensando di introdurre sistemi di pagamento per le news. Uno scenario che non entusiasma il presidente di Iab Italia Layla Pavone, che il 15 luglio affronterà questi temi in occasione dello Iab Forum '99 di Roma.
Il futuro delle notizie online è a pagamento?«E' troppo tardi per fare pagare le notizie agli utenti, almeno se parliamo di internet, perché per quanto riguarda il mobile il discorso è già molto diverso. Sul web è difficile fare un passo indietro dopo quasi venti anni di notizie free. Personalmente non credo che l'informazione a pagamento possa avere un impatto positivo sui business model delle aziende editoriali».
Ma produrre notizie costa e i giornali che hanno chiuso l'edizione cartacea hanno dimostrato di non essere in grado di mantenere con la sola pubblicità online la qualità dell'informazione. Quale soluzione propone? «Entertainment, giochi, video, musica, cinema: tutto questo si trova in internet solo da quando la banda larga ha dato impulso alla fruizione della rete e su questi settori si stanno costruendo realtà di business interessanti».
Il modello iTunes applicato all'informazione?«Bisogna fare un distinguo: nel momento in cui fossi così bravo da proporre “snack news”, informazioni in pillole gratuite, e approfondimenti di alto valore e qualità forse gli utenti potrebbero essere disponibili a pagare quest'ultimi».
Ma dovremmo essere certi di proteggere il copyright. Chi sarebbe disposto a pagarle se fossero copiate e rese disponibili su altri siti in forma gratuita? «Non credo si riesca a frenare il fenomeno della violazione del copyright, ma c'è un aspetto anche più importante che è il tempo. Se un sito riesce a mettermi in meno tempo in grado di trovare tutte le informazioni che mi servono, sarei disposta a pagare».
Quanto?«Non si può più pensare che l'informazione costi tanto. Una persona oggi è abbonata a Sky, Mediaset Premium, servizi per cellulare e su internet: un conto familiare complissivo che può risultare pesante, per cui diventa necessario operare alcune scelte».
Ma lei quanto pagherebbe per una informazione che la soddisfi e le faccia risparmiare tempo? «Sarei disposta a pagare un centinaio di euro l'anno per un abbonamento a un sito di informazione di qualità che sapesse darmi tutto questo».
E la formula ibrida con news gratuite e servizi a pagamento? «Pensiamo alla musica, ai giochi, ai libri, ai corsi di lingua o di cucina, servizi e prodotti non necessariamente correlati all'informazione ma che vengono veicolati attraverso il brand a costi vantaggiosi per l'utente. Un po' quello che i collaterali sono per il quotidiano, in fondo è la stessa cosa solo che quello che vendiamo è in forma digitale».
Un esempio concreto?«Prendiamo il concerto degli U2. L'utente può leggere la recensione su Corriere.it, poi fa un clic e va su Dada.it e si compra l'ultimo Mp3, lo stesso per la foto di Bono o un libro sul gruppo musicale. Il segreto è diversificare strutturando organicamente un'offerta variabile che accontenti tutte le esigenze: dal lettore al consumatore».
Quali sono le prospettive della pubblicità tra carta e online?«Si tratta di trovare il giusto equilibrio. La pubblicità è sempre stata una delle fonti più importanti di ricavi per l'informazione. Internet offre prospettive molto importanti per chi fa informazione o investimenti pubblicitari. Oggi siamo di fronte a un ventaglio di opportunità molto complesse. Bisogna cercare di ingaggiare gli individui. Con il web 2.0 le persone sono abituate a un ruolo da protagonisti o comunque di controllo dell'informazione e ciò vale anche per cosa si acquista».
La pubblicità online è rimasta legata ai vecchi schemi dello spazio, propri della carta. Non c'è un ritardo di innovazione? «Il vero problema è che ci siamo dimenticati tutti, creativi e venditori, del consumatore. Dobbiamo fornire audience ma anche la conoscenza delle persone quando si vendono spazi pubblicitari. Dopo 30 anni favolosi dal punto di vista della pubblicità ci siamo dimenticati i fondamentali. Dobbiamo tornare a capire, ad ascoltare. Si è consumato un passaggio epocale, ma chi sta nelle poltrone importanti, chi ha fatto carriera su un sistema che appartiene al passato e non ha dato spazio ai giovani nati nell'era digitale ha una responsabilità non irrilevante nella gerontocrazia italiana».
Eppure si sono fatti passi da gigante in soli 15 anni…«Ho venduto il primo banner in Italia nel 1996 a 30 lire. Il cliente non era soddisfatto. “Accendo il pc e non vedo la pubblicità” mi diceva. Il risultato fu che spesi più di bolletta telefonica per spiegargli come funzionano le cose in internet di quanto guadagnai. Oggi si riesce a tracciare un utente proteggendo i dati sensibili e a offrirgli una informazione più mirata».
Qual è il futuro dei media tra carta e online?«Inevitabilità: è inutile spaventarsi per qualcosa che accade malgrado noi. Le nuove generazioni si informano in maniera diversa e in edicola non ci vanno. La variabile che possiamo sfruttare è il tempo. Se corriamo ai ripari una parte del sistema può ancora salvarsi. Il buono sta nel valore enorme che hanno i contenuti. Ci stiamo dimenticando che l'autorevolezza è data dalla qualità e dal valore dei contenuti che offriamo. Ci saranno morti e feriti, ma chi fa bene il suo lavoro alla fine non potrà che essere premiato».
Marco Pratellesi