"Così il Coronavirus è entrato in Umbria": le criticità delle città di confine

“Così il Coronavirus è entrato in Umbria”: i casi delle città di confine

Redazione

“Così il Coronavirus è entrato in Umbria”: i casi delle città di confine

Il direttore Dario ha fatto il punto sul contagio e sulla situazione degli ospedali della regione | I casi Orvieto e Città di Castello e l'aiuto da Pantalla
Lun, 20/04/2020 - 18:42

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Dal primo ricovero per Coronavirus in Umbria il 28 febbraio fino all’ondata dei contagi da chi è rientrato dal Nord Italia. Una situazione che è stata gestita e che oggi consente all’Umbria di avere gli indici più bassi a livello di contagio e di mortalità da Covid.

Il direttore regionale della Sanità, Claudio Dario, nell’audizione della Terza commissione, ha ripercorso l’emergenza Coronavirus in Umbria. Spiegando: “Non siamo tornati alla normalità, nonostante i numeri si stiano abbassando e l’Umbria abbia avuto un andamento migliore rispetto ad altre regioni italiane”.

La situazione umbra

Nel complesso l’Umbria ha avuto un andamento costantemente migliore, con un picco meno violento che altrove. Dalla dichiarazione dello Stato di emergenza sono stati predisposti “tempestivi” interventi di contrasto
all’infezione. Il primo ricovero è avvenuto il 28 febbraio e gli
interventi  sono stati improntati in un’ottica di gradualità, isolamento,
ospedalizzazione solo dei casi gravi, individuazione persone infette,
capillari indagini epidemiologiche, con un impegno massimo dei servizi
territoriali. L’approccio adottato è stato prudenziale, presupporre cioè
che un paziente non chiaramente individuato doveva essere considerato
positivo fino a prova contraria. 

I dati

Ad oggi c’è stata una riduzione delle terapie intensive del 23%. Nell’ultima settimana sono stati effettuati 1000 esami al giorno di media.

Molto forte è stata la rapidità di diffusione del contagio, con tassi di crescita esponenziali. L’80% circa dei pazienti positivi sono asintomatici
e il 20% sono stati ricoverati, il 5% in terapia intensiva.
Il picco si è registrato  tra il 23 e il 25 marzo, ma ancora 29 persone
sono in terapia intensiva.

La task force dell’emergenza, composta da molti professionisti delle categorie professionali e di diverse dislocazioni territoriali, è stata riunita subito il 3 febbraio, provvedendo a impostare le prime linee di intervento. 
Successivamente, con l’ordinanza del 26 febbraio, sono state adottate le
prime misure di prevenzione e gestione delle emergenze e costituito il Centro operativo regionale, con funzione 3, assistenza sanitaria e veterinaria.

In questo Centro, che ha gestito i rapporti con Roma e gli approvvigionamenti, è stata costituita un’unità di crisi sanitaria con il distaccamento di 6-7 persone rinforzati da professionisti provenienti anche dall’Università. Nell’unità di crisi anche referenti per la
comunicazione interna ed esterna. 

Gli arrivi dal Nord

Le migrazioni di fine febbraio, ha spiegato Dario, hanno provocato una seconda ondata di contagi con persone venute a contatto con aree rosse per lavoro o per studio. Dopo il 10 marzo i casi che si sono verificati sono stati sempre di importazione e lo sviluppo del contagio in Umbria è stato contenuto grazie anche alla disciplina della nostra popolazione.

Sono risultate solo due le zone rosse a Pozzo, in Provincia di Perugia, e a Giove, dove c’è stato un contagio fra familiari, ma contenuto nei numeri.

Il 18 marzo c’è stato un accordo con i medici specializzandi per la loro utilizzazione e le aziende sanitarie sono state autorizzate ad assumere. Previsti tre livelli di reclutamento per ospedali e e unità operative: fino a 10, fino a 30, oltre i 30.

Già nell’ultima conferenza stampa Dario aveva spiegato che i contagi, in Umbria, sono arrivati dal Nord Italia: persone rientrate dal lavoro, studenti che si trovavano fuori regione per motivi di studio. O umbri che erano al nord per la settimana bianca, “che ha avuto un ruolo nel contagio“.

La velocità del procedere dell’epidemia ha fatto passare dal primo livello direttamente al terzo.

Gli ospedali umbri

Tra le azioni attivate l’individuazione di ospedali non-Covid come Branca, Spoleto, Orvieto per differenziare i flussi dei pazienti. Per i nosocomi di Terni e Perugia, considerate le loro caratteristiche, hanno dovuto essere forzatamente misti e per garantire la massima sicurezza si è “lavorato moltissimo” sui percorsi differenziati e sull’aumento di posti letto. Negli ospedali i posti letto per singola tipologia e le rianimazioni che sono sale open space molto grandi con 6-8-10 posti letto, si è subito passati a 20. Più delicata la situazione negli ospedali “misti”, con una continua valutazione degli operatori e sanificazione degli ambienti ad ogni passaggio di paziente covid.

Vi è stato un inizio di contagio in alcune unità operative a Città di Castello e Orvieto. Situazioni preoccupanti specialmente per i pazienti “fragili” e purtroppo nel primo periodo le contaminazioni sono avvenute dall’esterno, come in Lombardia. 

La medicina territoriale

L’attività di medicina territoriale è stata molto “intensa” con
centinaia di soggetti in  isolamento domiciliare con sorveglianza attiva,
contatti quotidiani e e un crescente numero di tamponi, in media mille al
giorno. 

La gestione è stata centralizzata, emanate linee guida che, dove necessario,
sono state adattate al contesto locale, ma sempre nel rispetto delle
procedure generali che sono state riunite in un testo unico. Quotidiane le
conferenze con i direttori sanitari per raccogliere informazioni e
valutazioni sull’evolversi della pandemia. 

La criticità di Orvieto

La zona di Orvieto ha avuto prevalenza significativa e problemi si sono
verificati sopratutto nelle città di confine con Marche, Toscana e Lazio. La presenza di 5 pazienti Covid ha bloccato a Orvieto la terapia intensiva per diversi giorni,  poi l’allentamento ha consentito di riportare Orvieto a
ospedale non covid.

L’aiuto di Pantalla

Una risposta risposta “molto importante e significativa” è quella resa
dall’ospedale di Pantalla, per la capacità degli operatori e del contesto
sociale di riconoscere la funzione nell’ambito di rete ospedaliera
specializzata in mission specifiche e personale disponibile ad adattarsi e
formarsi con grande impegno. 

La situazione delle terapie intensive: i pazienti Covid sono attualmente 12 a
Perugia, 11 a Terni, 2 a Foligno e 4 a Città di Castello. L’Azienda
ospedaliera di Perugia ha più difficoltà a retrocedere e riportare terapie
intensive ai non Covid. Per quella di Terni è più semplice. A Orvieto non
ce n’è più nessuno, l’ultimo trasferito a Foligno la settimana scorsa.
Con l’attuale numero di pazienti Covid entro questa settimana si conta di
liberare una terapia intensiva su Perugia. 

La ripresa delle operazioni

Per quanto riguarda la chirurgia, fermo restando che le disposizioni
nazionali  prevedono un mantenimento della priorità A, nella scorsa
settimana sono state verificate le liste di priorità B, quelle i cui
pazienti possono attendere sino a 60 giorni che possono attendere fino a 60
giorni, ma che sono in pratica chiuse da 40 giorni. Complessivamente la
chirurgia oncologica di Perugia ha trovato uno sbocco su Branca
e si pone il problema di come riprendere l’attività chirurgica. Procedendo così le cose nelle prossime due settimane il carico sarà ulteriormente ridotto e si
potrà pensare alla restituzione di alcune strutture, come ad esempio
Foligno, alle funzioni non Covid. 

I ventilatori polmonari

I ventilatori attualmente disponibili sono 55, 31 di terapia intensiva, 21 di
subintensiva e 3 da trasporto, così dislocati: Perugia 7, 8, 1; Terni 7 e 3;
Città di Castello 2, 1, e  2; Pantalla 3 e 4; Gubbio 4; Foligno 4 e 3; Spoleto 2 e  1;  Orvieto 2 e  1. Vi opera personale che è stato stabilizzato e che già operava nell’unità o opportunamente formato. A Pantalla rilevante l’apporto di pneumologi.

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