Avrebbero sfruttato alcuni cittadini pakistani per lavorare nei vigneti, pagandoli una miseria, trattenendo una parte del loro compenso e controllandoli a vista. Per questo 4 persone sono state arrestate, tra cui una coppia di Castel Ritaldi.
Il blitz è scattato all’alba di oggi, coordinato dalla Procura di Treviso. In campo i carabinieri trevigiani e quelli della tutela del lavoro di Venezia, ma anche i militari dell’Arma della Compagnia di Spoleto. Nelle prime ore del mattino, infatti, i carabinieri di Roncade e quelli del nucleo ispettorato del lavoro di Treviso, con il supporto della Compagnia di Treviso e di quella di Spoleto e del nucleo operativo del gruppo tutela del lavoro di Venezia, hanno dato esecuzione a 4 misure cautelari in carcere.
Si tratta di due uomini originari del Pakistan e di due donne (una italiana e una spagnola). Sono accusati di sfruttamento del lavoro in concorso commessi nei confronti di 10 cittadini pakistani, alcuni di loro privi di permesso di soggiorno, tra cui anche alcuni minorenni. Uno degli uomini e la sua compagna vivevano a Castel Ritaldi. Ed è qui che sono stati arrestati dai carabinieri spoletini.
L’inchiesta nata da una lite tra 2 pakistani per dei vigneti
Il provvedimento, emesso dal GIP del Tribunale di Treviso, su richiesta della locale Procura, trae origine da un’attività investigativa avviata e condotta, tra i mesi di febbraio e aprile 2020, dalla Stazione carabinieri di Roncade dai Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Treviso. Tutto è nato a seguito di un intervento effettuato dall’Arma territoriale di San Biagio di Callalta (TV) per una lite avvenuta tra due cittadini pakistani dovuta al mancato pagamento della retribuzione per una prestazione di potature di vigneti presso terzi nel territorio della provincia di Treviso.
Nel mirino un’azienda che sfruttava manodopera straniera
Le indagini, coordinate dalla dott.ssa Anna Andreatta, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Treviso, hanno da subito consentito ai militari di individuare un’azienda esercente nel settore agricolo, con sede legale a Treviso, che reclutava cittadini stranieri da impiegare come manodopera per lavorare presso aziende del territorio, in regime di sfruttamento. Gli accertamenti condotti dai Carabinieri attraverso complessi servizi di osservazione controllo e pedinamento, oltre che controlli ispettivi e acquisizione di informazioni testimoniali rese da numerosi lavoratori, hanno portato a scoprire diversi elementi a carico dei 4 indagati.
Chi sono i 4 arrestati
Si tratta del titolare dell’azienda fornitrice di manodopera, cittadino pakistano, di un suo connazionale, stretto collaboratore e le due rispettive fidanzate. Gli stessi, in concorso tra loro, avrebbero impiegato i lavoratori, approfittando dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità, omettendo di versare loro la prevista retribuzione e comunque palesemente difforme dai contratti collettivi regionali e nazionali.
Denaro solo per comprare sigarette o ricariche telefoniche
Spesso si sarebbero limitati alla sola corresponsione del denaro ritenuto necessario per l’acquisto di sigarette e di ricariche telefoniche. In altri casi ai lavoratori sfruttati che venivano alloggiati con sistemazioni di fortuna prive di riscaldamento ed energia elettrica, veniva trattenuta una cifra variabile dai 100 ai 200 euro, a seconda che gli venisse assegnato un posto per dormire a terra oppure su di un letto. Gli stessi, per evitare i controlli di polizia, venivano svegliati alle prime ore della mattina e stipati all’interno di furgoni, per poi essere condotti nei vigneti dove prestavano la propria opera, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera e senza il rispetto di alcuna norma di sicurezza sui posti di lavoro tanto da risultare privi di qualsiasi dispositivo di protezione individuale.
Le minacce per farli rimanere
Le indagini hanno fatto emergere, inoltre, come gli indagati fossero soliti ricorrere a minacce nei confronti dei lavoratori per costringerli a rimanere alle loro dipendenze. Se in alcune circostanze la parziale retribuzione veniva utilizzata come larvata avvisaglia di non corrispondere quanto dovuto per le prestazioni già svolte, in altre veniva prospettato il ricorso alle forze dell’ordine che sarebbero state informate dello stato di clandestinità di alcuni di loro con il conseguente rimpatrio degli interessati e dei loro parenti.
L’incendio dell’auto al pakistano che collaborava con i carabinieri
Nel corso dell’attività investigativa è emersa la pericolosità degli indagati, ed in particolare del soggetto pakistano titolare dell’azienda che impiegava in regime di sfruttamento i connazionali. E’ stato infatti accertato come questi, nel mese di febbraio, abbia dato alle fiamme l’autovettura di un suo concittadino che stava collaborando con i Carabinieri quale interprete nel corso delle audizioni dei lavoratori tenute dai militari che stavano facendo luce sulle responsabilità degli arrestati in ordine al triste episodio di caporalato.
(foto di repertorio)