Concerto low profile in occasione del ritorno a Perugia di Diana Krall (le ultime volte erano state nel 2013 e nel 2016). Delusione dei fan
A quanto pare c’è un tempo in cui un certo genere di artisti inizia un percorso di rallentamento generale che coinvolge non solo la vena creativa, ma anche i semplici gesti quotidiani, e soprattutto il rapporto con il pubblico.
Ci sono situazioni ed episodi in cui è palpabile il distacco dell’artista con la quotidianità o con l’entusiasmo di chi li segue da anni, assistendo ai concerti e comprando anche i dischi.
Il “distacco” dell’artista
La sensazione che abbiamo avuto ieri sera,15 luglio, all’Arena Santa Giuliana, in occasione del ritorno a Perugia di Diana Krall (le ultime volte erano state nel 2013 e nel 2016) è stata esattamente quella di vedere una artista distaccata, forse a disagio con il pubblico, considerato quasi come un appendice inevitabile.
I sintomi inequivocabili di questi comportamenti sono quasi sempre legati alla proiezione della propria immagine o consapevolezza di se. Sul palco, la situazione diventa evidente quando si cominciano a fare storie sulla illuminazione e sui poveri fotografi che vanno allontanati a distanza di sicurezza.
Ieri sera gli improperi degli addetti agli scatti si sentivano fino al Renato Curi, tanto era difficile immortalare la signora. E lo stesso disagio devono aver provati i poveri spettatori della tribuna in fondo all’Arena, distanti un bel pò di metri dal palcoscenico che hanno visto una macchietta di luce e nulla più. Poco di più di un lumino da morto.
Lungi da noi fare il processo alle intenzioni della Krall, registriamo però una difficoltà relazionale che solo in un caso a Umbria Jazz si è fatta clamorosa, al limite della vendetta personale: l’ultima volta di Keith Jarrett a Perugia nel famoso concerto al buio del 2013.
In quella occasione Jarrett, in piena crisi patologica di repulsione e fastidio verso i fotografi ed il pubblico con i cellulari, si inventò il concerto al buio, con una sorta di lumino acceso sopra ai poveri Gary Peacock e Jack DeJohnette, mentre il mostro suonava a occhi chiusi, evidentemente, dopo aver biascicato al banco della regia un perentorio “zero lights”. Il buio appunto.
Noi c’eravamo e non dimenticheremo più la sensazione ansiogena nostra e del pubblico di stare in un concerto senza la voglia di starci. Più o meno come ieri sera in occasione del concerto di Diana Krall, preceduto da una lunga sessione di check per le luci, alla fine risultate del tutto inutili se non per gli artisti stessi al minimo indispensabile per poter suonare.
Una Krall, solitamente molto modulare nella voce e piena di stimoli, di sfumature, flautamenti ed anche piccoli ammiccamenti empatici, che invece era contratta, in qualche passaggio in difficoltà. Sembrava oltretutto non essere in perfetta forma fisica (un paio di volte si è sentita chiaramente dal microfono tirare su dal naso). E se non basta la voce, la delusione ancor più bruciante è stata la rarefazione dei suoi interventi al piano. Inspiegabile
Di fronte ad una Arena assolutamente ricca di pubblico, almeno in 3mila (ma sicuramente più), la sensazione di qualcosa di insolito è stata palpabile.
Molte persone si sono alzate e sono andate via prima. Noi stessi ad un certo punto abbiamo ritenuto che il concerto non avesse molto altro da raccontare e ce ne siamo tornati a casa.
Queste sono quelle occasioni in cui ascoltare un disco o assistere un concerto del tuo artista preferito, ti fa propendere chiaramente per l’ascolto in cuffia disteso sul divano. Costa molto meno in effetti di un biglietto.
In questi casi, come anche nella famosa sceneggiata di Jarrett, Umbria Jazz è assolutamente incolpevole e deve anzi piegarsi ai diktat dell’artista.
Ma quando si comincia a trafficare con la propria immagine, le luci di scena e si ha timore dei fotografi a distanza di scatto, qualcosa comincia a rallentare nella luminosa carriera di una artista. E non parliamo di una artista qualsiasi sia chiaro. Peccato!
Pedro Martins
Dunque possiamo raccontarvi solo con curiosità dell’opening acts di Pedro Martins. Un giovane artista, virtuoso delle sei corde, polistrumentista, che ha al suo attivo una serie di collaborazioni eccezionali. Kurt Rosenwinkel e che Pedro ricorda davanti al pubblico di UJ, Yaron Herman, David Binney, Jacob Collier.
Martins ha collaborato anche con e con star del jazz brasiliano come Hamilton de Holanda, Gabriel Grossi e Toninho Horta. In un opening quasi sognante, Martins mette in luce le sue preferenze per i generi tipicamente brasiliani come samba e choro, ma anche il jazz, fusion, progressive rock, world music etc.
Una proposta interessante che si guadagna il privilegio del main stage a Santa Giuliana, e che il pubblico ha apprezzato. Mentre il Patron, Carlo Pagnotta, con la consueta falcata di chi sa le cose, controllava l’Arena. Poco non è!
Foto: Tuttoggi.info (Leopoldo Vantaggioli)