Terni, 20 milioni di litri di gasolio venduti in nero | Maxitruffa da 14 milioni, 22 denunce - Tuttoggi.info

Terni, 20 milioni di litri di gasolio venduti in nero | Maxitruffa da 14 milioni, 22 denunce

Luca Biribanti

Terni, 20 milioni di litri di gasolio venduti in nero | Maxitruffa da 14 milioni, 22 denunce

Operazione congiunta delle Fiamme Gialle e della Dogana dell'Umbria "Dirty Fuel"
Mar, 12/07/2016 - 13:53

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20 milioni di litri di gasolio venduti in nero per un anno, con un danno al fisco di circa 14 milioni di euro (11 milioni in accise e 2,5 milioni di iva evasa), è questa la maxitruffa scoperta dalla Guardia di Finanza in sinergia con la Dogana di Perugia. Nell’ambito dell’operazione “Dirty Fuel” sono state denunciate 22 persone, a vario titolo, per truffa aggravata ai danni dell’erario, truffa plurima e associazione a delinquere; l’azienda ternana “J Petrol” è stata preventivamente sequestrata, misura convalidata prima dal Gip e, in mattinata, anche dal Tribunale del Riesame di Terni.

I finanzieri hanno sequestrato 7 motrici, 6 rimorchi, un intero deposito fiscale con i relativi impianti e documenti, 53 fabbricati, 13 terreni, 13 autoveicoli, 3 motoveicoli, quote societarie di 12 società e 52 rapporti bancari, per un valore complessiva di circa 7 milioni di euro.

L’operazione “Dirty Fuel” è stata illustrata in tarda mattinata nei locali della Procura di Terni, alla presenza di Pietro Altieri, responsabile dell’ufficio antidroghe Dogana di Perugia, David Bellosi, direttore dell’ufficio dogana di Firenze e Perugia, Marco Stramaglia, sostituto procuratore della Repubblica di Terni, Alberto Liguori, Procuratore Capo di Terni, Col, Andrea Mercatili, comandante del nucleo polizia tributaria della GdF di Perugia e del Ten. Col. Antonii Cutillo, comandante del GICO del nucleo di polizia tributaria della GdF di Perugia.

Proprio l’operazione di interforze e la sinergia tra gli inquirenti, ha permesso all’accusa di ricostruire un quadro piuttosto chiaro di come avveniva la truffa, riconosciuta “Particolarmente grave” dal procuratore capo, Alberto Liguori “perché proveniente da un’azienda che godeva della fiducia dello Stato, visto che era certificata come deposito di scalo di prodotti energetici, con tanto di sigilli consegnati dalla Dogana”.

Secondo la ricostruzione della Guardia di Finanza, il prodotto energetico che arrivava nell’azienda, avrebbe dovuto essere sottoposto a una denaturazione per essere poi impiegato nel settore agricolo e della pesca, utilizzo che permette una sgravio fiscale e di accise notevole per il gasolio raffinato. In realtà, una volta giunto in azienda, il materiale grezzo non veniva raffinato, ma destinato, ‘impuro’, ad aziende fittizie e create ad hoc.

Il gasolio è un prodotto sul quale gravano pesanti accise e, sempre secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, si era nel tempo consolidata un’organizzazione formata da 2 promotori-organizzatori (un ternano e un campano), 5 stretti collaboratori (4 ternani e un abruzzese), 5 prestanome e 10 autisti che, tramite società interposte, come società cartiere e società filtro, giustificavano i volumi di richieste del prodotto ad usi soggetti a tassazione agevolata.

Nei depositi dell’azienda, nel circolo di produzione, erano state installate anche pompe aggiuntive, espediente che avrebbe permesso un veloce rifornimento dei convogli che poi partivano alla volta delle regione del centro sud, Abruzzo, Campania, Molise, Lazio, tutti con documentazione legittima. La truffa avveniva sul posto, con duplicati falsificati come spiegato dal Ten. Col. Bellosi “C’era un meccanismo mirato ad eludere e raggirare l’amministrazione finanziaria, attraverso una falsa documentazione dei trasporti, un falso prodotto trasportato e la precostituzione di destinatari fittizi, come pescherecci che battevano bandiera albanese”.

Il ruolo dei pescherecci albanesi – Il dott. Pietro Altieri ha svelato uno dei retroscena più interessanti su come veniva condotta la truffa. Secondo quanto accertato, l’azienda avrebbe dichiarato che il prodotto trasportato era destinato a pescherecci che battevano bandiere albanese. Da qui sono partiti i riscontri incrociati con la Capitaneria di Porto dell’Adriatico che ha dato esito negativo. Nessun peschereccio con i nomi indicati dall’azienda era mai attraccato nei porti italiani. Per tutta risposta l’azienda avrebbe contestato che in realtà i rifornimenti avvenivano tramite piattaforme mobili a largo della costa. È scattato dunque un ulteriore controllo con le autorità albanesi che hanno confermato i sospetti degli inquirenti; nessuna imbarcazione con i nomi forniti era mai salpata dalle coste dell’Albania verso l’Italia e alcune imbarcazioni erano attraccate ai porti ormai da anni.

“Grazie a questo modus operandi – ha sottolineato il Procuratore Capo, Alberto Liguori siamo riusciti a portare a termine un’operazione molto complessa. Di fronte a una criminalità sempre più raffinata e organizzata, dobbiamo mettere in campo queste nostre intelligenze e questa sinergia che ci ha permesso di scoprire la truffa. Lo Stato c’è e voglio che a Terni venga conosciuto questo tipo di Stato, la legalità paga sempre”.

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