Presentata ieri mattina nella Sala Dessau di Palazzo Murena, sede del Rettorato dell’Università degli Studi di Perugia, in una conferenza stampa internazionale, trasmessa in diretta streaming, la scoperta, di straordinario interesse scientifico, di impronte fossili di ominidi in Tanzania, pubblicata anche sulla prestigiosa rivista eLIFE.
Lo studio è dei ricercatori della Scuola di Paleoantropologia dell’Università degli Studi di Perugia, coordinati dal dottor Marco Cherin, che ha operato in collaborazione con ricercatori di altre università italiane e con quella di Dar es Salam, l’Ateneo che segue le ricerche sul campo del Paese africano.
Il Magnifico Rettore Franco Moriconi ha espresso la soddisfazione sua e dell’Ateneo per la scoperta operata dai giovani ricercatori perugini. “Sono un’eccellenza non rara nella nostra Università generalista – ha sottolineato il prof. Moriconi – che dimostra l’impegno e la cura dei nostri docenti, oltre che nell’attività didattica, anche in quella di ricerca scientifica che più di ogni altra dà il senso ed esprime la vocazione universitaria”.
È poi intervenuto il prof. Massimiliano Barchi, Direttore del Dipartimento di Fisica e Geologia, di recente nomina. “Sono particolarmente orgoglioso di guidare questo Dipartimento che ha un amplissimo campo di ricerca, che va dallo studio delle particelle elementari a quello dell’universo”. Ha ricordato che proprio un anno fa i ricercatori nel campo delle fisica hanno presentato la scoperta delle onde gravitazionali, mentre oggi si parla di eccezionali studi di paleontologia.
Nuove orme bipedi di Hominini scoperte a Laetoli, in Tanzania, indicano la presenza di una marcata variabilità morfologica tra i nostri antenati di 3.66 milioni di anni fa e aprono nuove prospettive sullo studio del loro comportamento sociale.
Lo studio, pubblicato sulla rivista eLife, è stato condotto dalla Scuola di Paleoantropologia dell’Università di Perugia, in collaborazione con ricercatori delle Università Sapienza di Roma, Firenze, Pisa e Dar es Salaam. La ricerca fa parte delle attività della missione Studio e valorizzazione di siti paleoantropologici plio-pleistocenici della Tanzania settentrionale (Olduvai e Laetoli) che ha ottenuto il riconoscimento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Ossa e denti fossili possono raccontaci molto su vari aspetti dell’evoluzione umana, ma le orme rappresentano un caso a sé. Le orme sono rare: possono essere impresse sul substrato, preservarsi nel tempo ed essere eventualmente scoperte milioni di anni più tardi solo grazie a circostanze di conservazione uniche e contingenti. Come un’istantanea su una scena preistorica, le tracce fossili forniscono dati sulla biomeccanica della locomozione, sulle dimensioni corporee, rivelano indizi sulla variabilità tra individui, permettendo in certi casi persino di formulare ipotesi sulla struttura sociale e sulle strategie riproduttive degli organismi estinti.
Le nuove orme sono state rinvenute a Laetoli, nella Ngorongoro Conservation Area in Tanzania, nella stessa area in cui nel 1978 la paleoantropologa Mary Leakey e il suo team di ricercatori scoprirono piste analoghe risalenti a più di 3.6 milioni di anni fa, attribuite ad Australopithecus afarensis (la stessa specie della famosa Lucy). Circondata da centinaia di impronte appartenenti a mammiferi, uccelli e persino a gocce di pioggia, la nuova pista è stata impressa da due individui bipedi, in movimento sulla stessa paleosuperficie, nello stesso intervallo di tempo, nella stessa direzione e con simile velocità dei tre individui documentati negli anni 70.
Questa nuova evidenza, associata alla precedente, permette d’immaginare un gruppo di Hominini bipedi in movimento compatto attraverso un tipico ambiente africano di savana.
Si tratta certamente di una ricostruzione molto suggestiva, ma la nuova scoperta offre dell’altro. Le orme di uno dei nuovi individui sono sorprendentemente più grandi di quelle del resto del gruppo, suggerendo che possano appartenere a un grosso maschio. Queste eccezionali dimensioni corporee lo rendono il più grande rappresentante di Australopithecus afarensis identificato finora, con una statura stimata di 1.65 metri.
L’ipotesi è che il “quintetto” di Laetoli fosse composto da un maschio, due/tre femmine e uno/due giovani. Ciò porta a smentire la classica ricostruzione della pista degli anni 70, generalmente raffigurante la “romantica passeggiata” di una coppia di Australopithecus seguiti dal loro piccolo.
La nuova ipotesi sulla composizione del gruppo sociale e le significative differenze di taglia tra gli individui di Laetoli portano a riconoscere Australopithecus afarensis come una specie ad alto livello di dimorfismo sessuale. A sua volta, ciò consente d’ipotizzare che questi Hominini estinti potessero avere un’organizzazione sociale e delle strategie riproduttive più simili all’attuale gorilla (scimmia antropomorfa poligama ad alto dimorfismo sessuale), piuttosto che a specie moderatamente dimorfiche come i promiscui scimpanzé e bonobo, oppure la maggior parte degli uomini moderni e, forse, di quelli estinti.
Il dottor Angelo Barili, del Centro di Ateneo per i Musei Scientifici dell’Ateneo di Perugia (CAMS), ha portato la sua testimonianza di un’attività di ricerca portata avanti negli ultimi trent’anni in Tanzania. “Il lavoro di gruppo dei ricercatori perugini è iniziato anni fa – ha ricordato Barili – grazie all’impegno del prof. Roberto Rettori che ha incoraggiato la collaborazione tra il Dipartimento e il Cams”.
Il dottor Marco Cherin ha illustrato la ricerca svolta negli anni in Tanzania e i brillanti risultati ottenuti dal gruppo di studiosi che sono stati resi pubblici in contemporanea anche con una conferenza stampa, sempre oggi, nel Paese africano.
“Nella località della Tanzania settentrionale, Laetoli, abbiamo scoperto e studiato alcune piste di orme fossili impresse da australopitechi circa 3,7 milioni di anni fa – ha detto Cherin –. Si tratta delle orme ‘umane’ più antiche mai scoperte al mondo, nonché della più antica testimonianza di andatura perfettamente bipede tra i nostri antenati. Inoltre, lo studio delle impronte ha permesso di verificare la presenza di individui con dimensioni piuttosto variabili, il che fa pensare a un gruppo sociale composto da maschi, più grandi, e femmine, più piccole. Le orme di uno degli individui, in particolare, hanno portato a una stima di statura di circa 165 -170 centimetri, la più alta mai registrata al mondo per gli australopitechi, generalmente ritenuti creature minute, tra 110 e 130 centimetri”.
In chiusura per illustrare le tecniche utilizzate dai ricercatori è intervenuto il dottor Dawid A. Iurino, Sapienza Università di Roma, coautore dell’articolo. La Scuola di Paleoantropologia dell’Università degli Studi di Perugia, nata nel 2011, è la prima e unica realtà italiana al lavoro nelle prestigiose località paleontologiche tanzaniane.