La protesta, clamorosa quanto pacifica, sbarca al Festival dei 2 Mondi di Spoleto. Nel corso della notte di sabato 15 luglio, alla vigilia del Concerto finale che chiuderà la 60ma kermesse, mani ignote hanno riempito la fontana di Piazza del Mercato e del Mascherone di decine e decine di candidi palloncini su cui campeggia la foto in bianco e nero del Maestro Gian Carlo Menotti.
Il salotto buono del Festival si è svegliato così stamani. Sul muro attiguo alla fontana una lunga lettera che spiega le ragioni della protesta. Il testo, delicato quanto pungente, è per gli autori un invito a perseguire nello spirito che segnò la manifestazione.
Le ragioni della protesta
Leggiamo la lettera “L’arte e la sperimentazione qui presero forma con metodo che tutt’ora affascina: dare spazio al nuovo, innescando contaminazioni proficue e trasgressive (irrispettose rispetto a limiti e confini). In una quindicina di giorni, il programma del Festival dei due Mondi metteva in scena anteprime mondiali che poi si sarebbero viste negli anni successivi in giro per il resto del mondo. Il programma nasceva con una coerenza interna, narrativa, capace di rappresentare il classico letto con gli occhi del contemporaneo. Ci sembra giusto ricordare con un gesto ‘leggero’, come un palloncino d’aria quel metodo che ha nutrito il nostro immaginario….palloncini pieni d’aria che galleggiano sull’acqua delle fontane: aria per respirare, acqua che è l’impalpabile forma del tempo che scorre. Con un gioco ci piace rendere omaggio e ricordare che il Maestro Menotti con gratitudine, senza nostalgie – sappiamo che nessun direttore artistico può essere tale per sempre, pena l’esaurimento della spinta innovativa – e con tanta voglia di poter tenere vivo il dibattito sulla cultura a Spoleto come trama identitaria e motore di sviluppo per costruire il destino comune di questa città, di tutte le sue iniziative, festival incluso”. Gli autori del documento si firmano, in linea con il gioco, “I palloni gonfiati””.
Denuncia o invito?
Più che una denuncia, quella che sta andando in scena in piazza del Mercato (nessuno si è sognato di rimuovere i palloncini), sembra quindi un invito a rimanere con gli occhi aperti. Di sicuro un invito al direttore artistico Giorgio Ferrara che però, dalla sua, ha i numeri del botteghino, la soddisfazione degli esercenti, le luci e la movida ricreatasi in centro storico. Specie quest’anno dove la stella del Festival brilla ancor più per lo scivolone nell’oscurità in cui sembra cadere un’altra kermesse umbra di richiamo internazionale come Umbria Jazz.
Tra storia e futuro
L’odierna, pacifica protesta rischia di dividere ancora una volta la città da un progetto comune, una visione d’insieme che va ricercata. C’è bisogno di ristabilire la verità storica, oggettiva, incontestabile di ciò che è stato il Festival (nel bene quanto nel male), del perché Menotti fondò proprio qui il Festival, di quanta fattuale invenzione fu capace di creare e degli anni scialbi che ne decretarono il declino. Chissà che ne penserebbe proprio il fondatore. Costretto dall’aldilà a vedere chi lo mette nel tabernacolo, che lo vorrebbe nel dimenticatoio, chi fa le agiografie del bel tempo che fu con l’incenso in una mano e un prosecco nell’altra.
Da oggi c’è anche chi lo soffia e lo gonfia in un palloncino. Mancava solo la santificazione per elio. Di certo la maldestra operazione artistica di cancellarne la memoria è una mossa di per sé sbagliata. E qui la responsabilità è tutta della Fondazione. Ma neanche rendere la città un santuario menottiano. Poteva bastare l’intitolazione del Teatro Nuovo, basterà senz’altro la ridenominazione di piazza della Signoria con annessa statua. La cosa più importante sarebbe stata fissare già dieci anni fa una data, magari il 7 luglio, giorno del compleanno del compositore, da dedicare ad uno spettacolo in linea con lo spirito artistico che fu del Maestro. Magari in Piazza Duomo, ad ingresso gratuito. Così da mantenere viva la memoria, elemento utile (non sempre indispensabile) per tracciare nuovi (nuovi) orizzonti. Per il bene delle Arti e, non di meno, della Città di Spoleto.
Hanno collaborato Sara Cipriani e Carlo Vantaggioli
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