Perugia, inaugurata oggi la mostra “Da Raffaello a Canova, da Valadier a Balla” - Tuttoggi.info

Perugia, inaugurata oggi la mostra “Da Raffaello a Canova, da Valadier a Balla”

Redazione

Perugia, inaugurata oggi la mostra “Da Raffaello a Canova, da Valadier a Balla”

I Palazzi Baldeschi e Lippi Alessandri aprono le porte, ecco i 100 capolavori dell’Accademia Nazionale di San Luca
Mar, 20/02/2018 - 19:19

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Dopo il prologo romano dello scorso 16 febbraio, L’Accademia Nazionale di San Luca di Roma si presenta a Perugia con la prestigiosissima antologia di opere d’arte che descrive un lungo percorso di Accademici e dei loro Principi che inizia dalla fine del Cinquecento e arriva fino al Novecento.


“Da Raffaello a Canova da Valadier a Balla”, 5 secoli d’arte in mostra curati da Vittorio Sgarbi


Questo il cuore della mostra “Da Raffaello a Canova, da Valadier a Balla. L’Arte in cento capolavori dell’Accademia Nazionale di San Luca” inaugurata oggi a Perugia che rimarrà aperta fino al 30 settembre 2018.

Voluto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e organizzato dalla Fondazione CariPerugia Arte il percorso espositivo si snoda tra Palazzo Baldeschi e Palazzo Lippi Alessandri, due edifici storici di proprietà della Fondazione adibiti a spazi museali.

In totale sono 100 opere dislocate seguendo un ordine cronologico – con un’attenzione anche alla suddivisione per aree geografiche -, alcune delle quali sono uscite dai depositi della sede di Palazzo Carpegna, come spiega lo stesso curatore Vittorio Sgarbi: “Quando sono entrato nei depositi dell’Accademia di San Luca per la prima volta l’emozione è stata molto forte, perché non vi erano opere minori o marginali ma spesso capolavori che non avevano lo spazio per essere esposti. Fra queste opere c’erano ritratti di Accademici, gessi di Canova, dipinti di paesaggi, ma anche un affresco staccato di Guercino che, insieme ad un altro affresco staccato di Raffaello – immagine dell’emblema stesso dell’Accademia di San Luca, che parte proprio dal nome di Raffaello – sono esposti a Perugia”.

Oltre a quelli che danno il titolo alla mostra, troviamo artisti come Bronzino, Pietro da Cortona, Rubens, Vicar, Hayez, Giambologna, e molti altri ancora che coprono gran parte della storia artistica nazionale e internazionale, di cui l’Accademia romana è stata una indiscussa protagonista. Un elegante catalogo edito da Fabrizio Fabbri Editore le documenta una ad una con foto e relative schede tecniche redatte da esperti.

Dopo il saluto del Segretario Generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia Fabrizio Stazi e l’intervento del Segretario Generale dell’Accademia Francesco Moschini, che ha coordinato i lavori, ha preso la parola il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, Giampiero Bianconi: “Questo percorso sancisce una sorta di gemellaggio tra Perugia e Roma che coinvolge anche Bard, grazie al contributo che l’Associazione che gestisce il Forte di Bard ha dato per il restauro di alcune opere che si possono ammirare in mostra. Sin dalla sua nascita – lo scorso anno ha festeggiato i 25 anni – la Fondazione ha prestato attenzione sia alla salvaguardia sia alla promozione dei beni artistici e culturali. Crediamo sia un fattore fondamentale per lo sviluppo socio-economico del nostro territorio e, parallelamente, un’occasione per valorizzare l’offerta culturale dell’Umbria, così da richiamare turisti su scala nazionale e internazionale”.

L’Accademia di San Luca è lieta di aver prestato parte del suo cospicuo patrimonio per questa mostra – ha commentato il suo Presidente Gianni Dessì nel corso dell’inaugurazione – e di inserirla in un contesto così ricco di espressioni artistiche come è il centro storico di Perugia, espressioni confacenti anche al nostro patrimonio. Apriamo la mostra con una sala dedicata a Raffaello – che proprio del Perugino è stato allievo – da cui parte una molto pregnante idea dell’arte che l’Accademia in qualche modo ha incarnato, seguendo un modello di classicità e rigore che continua ad essere presente anche nelle opere degli artisti contemporanei”.

Il Presidente della Fondazione CariPerugia Arte, Giuseppe Depretis, nel rimarcare l’importanza di ospitare in Umbria un progetto espositivo con artisti del calibro di Raffaello, Bronzino, Pietro da Cortona, Guercino, Rubens, Wicar, Hayez, Giambologna, Canova, Valadier e Balla, ha voluto sottolineare l’impegno della CariPerugia Arte nel promuovere i propri percorsi tra i giovani attraverso attività didattiche mirate ad avvicinarli al mondo dell’arte. Il presidente ha poi ricordato che grazie ad alcuni accordi siglati con Trenitalia – Official Carrier della mostra – e Busitalia per il trasporto e con Saba-Sipa per i parcheggi, i visitatori della mostra potranno usufruire di numerose agevolazioni.

All’inaugurazione è intervenuta anche l’Assessore alla Cultura della Regione Umbria, Fernanda Cecchini: “Non posso che apprezzare l’attività svolta dalla Fondazione – ha detto – che organizza mostre di grande qualità offrendo ulteriori possibilità di avvicinarsi al mondo dell’arte che vanno a integrarsi con quanto organizzato a livello istituzionale. Credo che questo sia un grande valore aggiunto, non solo per la crescita culturale ma anche per lo sviluppo turistico dell’Umbria”.

Al termine degli interventi il Segretario Generale dell’Accademia di San Luca Francesco Moschini, co-curatore insieme a Vittorio Sgarbi del progetto espositivo, ha spiegato il percorso nel dettaglio.

LA MOSTRA

PALAZZO BALDESCHI

I percorso si apre con il “Modello architettonico della chiesa dei Santi Luca e Martina”, di cui non si conosce l’autore. Realizzato in gesso e legno, raffigura in scala 1: 50 la chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro Romano. Non è nota la data della sua esecuzione avvenuta, si ritiene, tra il 1932 e il 1933 per illustrare il progetto di Gustavo Giovannoni, in quegli anni Presidente dell’Accademia, per l’isolamento dell’edificio dalle costruzioni che da sempre ne circondavano i lati e l’abside. La chiesa, una tra le più importanti testimonianze del barocco romano, venne realizzata a partire dal 1634 su progetto di Pietro Berrettini da Cortona (1596-1669), al tempo Principe dell’Accademia. Sorgeva nel luogo in cui sin dall’antichità si trovava una chiesa dedicata alla martire romana santa Martina, divenuta dal 1588 sede dell’Accademia di San Luca. Negli ambienti della chiesa, consacrata poi anche a san Luca, protettore dei pittori, e nelle stanze di un vecchio granaio adiacente, si svolgevano le attività dell’Accademia.

Sala dei Quattro Elementi

Il percorso espositivo prende avvio con il Ritratto di Girolamo Muziano eseguito da Giuseppe Ghezzi alla fine del XVII secolo, per rendere omaggio all’illustre fondatore dell’Accademia nel 1577. La Prima Sala si apre così con alcune significative testimonianze della pittura fiorentina del Cinquecento, come l’Annunciazione di Biagio d’Antonio Tucci, la Madonna con Bambino attribuita a Francesco di Giorgio Martini ed un Putto reggifestone, rara testimonianza della pittura a fresco di Raffaello. Proprio la produzione del maestro urbinate è stata a lungo presa a modello dagli artisti accademici, tanto da ascrivere quest’ultimo a ideale fondatore dell’Accademia stessa. La tavola rappresentante la Madonna con il Bambino e santa Caterina, entrata a far parte delle collezioni accademiche come opera di Matteo di Giovanni per mezzo del lascito di Michele Lazzaroni del 1935, è forse da ricondurre alla mano di Umberto Giunti. Quest’ultimo, riconosciuto come uno dei maggiori falsari senesi che dagli inizi del XX secolo, ha messo a dura prova l’“occhio del conoscitore”.

Sala della Sapienza

Questa sala accoglie due opere del Bronzino, il Sant’Andrea e il San Bartolomeo, eseguite per la pala d’altare della chiesa Madonna delle Grazie a Pisa e rimossa negli anni Ottanta del Cinquecento. La pala raffigurava un Cristo portacroce e i sei santi Bartolomeo, Andrea, Giovanni evangelista, Michele arcangelo, Pietro martire e Stefano. Le due tavole qui esposte sono state vendute nel 1821 all’Accademia di San Luca dal pittore neoclassico Vincenzo Camuccini. Entrambe rivelano una fuga prospettica in direzione della tavola con il Cristo portacroce, sottolineata dai motivi geometrici del pavimento, e l’attenzione del Bronzino nei confronti dell’anatomia del corpo. Aspetto, quest’ultimo, ancora più evidente nella figura di San Bartolomeo scorticato che a lungo è stato preso a modello proprio per l’insegnamento dell’anatomia in Accademia.

Il San Marco in terracotta, probabilmente opera dello scultore Andrea Corsali (precedentemente attribuita a Vincenzo Danti), è stata realizzata intorno al 1560 per la cappella di S. Luca nella basilica della Ss.ma Annunziata di Firenze e testimonia l’adesione dell’artista alla maniera michelangiolesca.

Sala della Verità

In questa sala spicca il Bacco e Arianna di Pietro da Cortona, che riprende i Baccanali di Tiziano, alla cui pittura il Berrettini aderisce nel primo periodo della sua produzione, ormai prossimo alle grandi commissioni di Palazzo Barberini a Roma e Palazzo Pitti a Firenze. Risale all’ultimo quarto del XVI secolo l’Autoritratto alla spinetta con la fantesca di Lavinia Fontana, documento di esemplare importanza per l’affermazione di una consapevole identità della donna artista nel maturo Rinascimento. Seguono i protagonisti dell’arte veneta del Cinquecento: Paris Bordon, Jacopo Bassano e Palma il Giovane, qui presente con le due opere Sansone e Dalila e David e Betsabea.

Sala delle Muse

In questa sala sono presenti opere di esponenti della pittura fiamminga e olandese, come Peter Paul Rubens e Anton Van Dyck (qui in mostra con l’olio su tela Vergine con angeli musicanti e il suo disegno preparatorio), che soggiornarono a lungo in Italia, e del raro Michael Sweerts, che affronta il tema popolare, lontano dai generi accademici, con la stessa competenza e attenzione riservata alla grande “pittura di storia”.

Segue una Madonna con il Bambino che le porge un frutto di Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato, Il sogno di Giacobbe di Francesco Guarino, il Ritratto di Tommaso Laureti eseguito da Orazio Borgianni, e La cattura di Cristo nell’orto del Cavalier D’Arpino, illustre esponente del Manierismo romano a capo di una delle botteghe artistiche più importanti del tardo Cinquecento, in cui transitò lo stesso Caravaggio. In questa sala è poi esposto un Anacoreta di Salvator Rosa, che testimonia l’ultima produzione di soggetti letterari e filosofici del pittore napoletano. Sono inoltre presenti due teste di Pier Francesco Mola, provenienti dal lascito di 183 dipinti che nel 1753 Fabio Rosa donò per volere testamentario all’Accademia. Le teste, un tempo attribuite all’allievo Francesco Giovani, sono state recentemente restituite alla produzione di ‘teste di carattere’, che costituisce uno dei filoni più caratteristici del Mola.

Sala di Diana ed Endimione

La volta della Sala di Diana ed Endimione è affrescata in “stile torloniano” da Mariano Piervittori, che qui appose la data “1856”. Il centro della volta è occupato dal mito di Diana ed Endimione (Luciano, Dialoghi degli Dei). Inquadrato dentro una ricca fascia decorativa che include, in corrispondenza dei lati lunghi, gli stemmi di Ubaldo Baldeschi e Tecla Balleani, esso è incentrato, come di consueto, nella figura del bellissimo Endimione, immerso nel sonno eterno, e in quella di Diana che, invaghita di lui, va a trovarlo tutte le notti.

Le opere collocate in questa sala abbracciano una produzione che riflette gli influssi dei maggiori protagonisti dell’arte seicentesca romana e napoletana. Nelle due tele, Loth e le figlie e La Carità Romana, l’austriaco Daniel Seiter, dopo la decorazione della Cappella Cybo in Santa Maria del Popolo, rimarca il suo inserimento nell’ambiente artistico romano accostandosi alla maniera tardo secentesca di Giacinto Brandi e Carlo Maratti. La Disputa di San Girolamo con i dottori della Legge rappresenta un unicum iconografico, ed è stata solo di recente restituita alla produzione di Filippo Vitale, che come in altri casi ha visto le proprie opere attribuite ad Hendrick de Somer o al maestro Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto. La sala si chiude con il Carnefice con la testa del Battista, che dopo il recente restauro è stato accostato da Francesco Petrucci alla maniera di Giovan Battista Beinaschi.

Sala dell’Architettura

Nel corso del Settecento il prestigio dell’Accademia di San Luca raggiunse il suo apice, rimanendo a lungo un riferimento internazionale per le Arti, grazie al ruolo fondamentale svolto dall’attività didattica e all’istituzione dei concorsi. Nel 1754 Benedetto XIV fondò in Campidoglio l’Accademia del Nudo e ne affidò la direzione all’Accademia di San Luca. Dal 1702 ebbe inizio il più importante dei concorsi accademici, quello Clementino, dal suo fondatore Clemente XI Albani, svoltosi fino al 1869. Ogni tre anni venivano assegnati premi in medaglie a pittori, scultori e architetti, in occasione di solenni cerimonie che si svolgevano alla presenza del Pontefice. Le premiazioni divennero tra le occasioni più attese della vita artistica e culturale romana.

I concorsi erano articolati in tre classi corrispondenti a una progressiva difficoltà dei soggetti assegnati. I concorrenti avevano alcuni mesi di tempo per preparare il loro saggio, la cui autografia doveva essere confermata da una prova estemporanea eseguita in due ore nella sede del concorso.

I temi scelti nello svolgimento dei concorsi Clementini erano sacri, mentre erano profani quelli del concorso di pittura, scultura e architettura istituito con testamento dell’accademico pittore Carlo Pio Balestra a partire dal 1768. I concorsi Clementini e Balestra hanno lasciato all’Accademia numerose pitture, sculture e disegni che hanno arricchito le sue collezioni. Ne sono un esempio i disegni architettonici di Filippo Juvarra, vincitore del primo premio al concorso Clementino del 1705, appena giunto a Roma dalla natia Messina.

In questa sala anche due progetti di Giuseppe Valadier, il principale architetto attivo a Roma tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Valadier fu tra coloro i quali maggiormente legarono il proprio nome a quello dell’Accademia di San Luca, fin da quando nel 1775, a soli tredici anni, vinse il concorso Clementino.

Salone degli Stemmi

L’arte del XVIII secolo vede tra i suoi protagonisti anche Carlo Maratti, caposcuola a Roma della pittura di impostazione classicista e di derivazione emiliana, che contribuì a diffondere in Europa grazie anche a una folta schiera di collaboratori. Fortemente influenzate dalla produzione marattesca sono le opere di Benedetto Luti, il quale, nei due olii su rame, mostra la delicatezza del tocco che ne farà uno tra i più raffinati interpreti del primo Rococò romano.

In questa sala si può poi ammirare Venere e Amore, ultimo dipinto murale conosciuto del Guercino, dopo le grandi prove di Casa Sampieri a Bologna, del Casino Ludovisi, palazzo Costaguti e palazzo Lancellotti a Roma. L’opera, originariamente realizzata per le decorazioni della villa “La Giovannina” di proprietà del conte Filippo Maria Aldrovandi, testimonia la chiusura del cosiddetto “periodo di transizione” del Guercino (1623 – 1632), ovvero di quella fase di progressivo mutamento in direzione di uno stile meno “barocco” e più “classico”.

Di qualche decennio successivo sono, infine, Martirio di Santa Martina di Pietro da Cortona, – realizzata per l’altare della chiesa dei Santi Luca e Martina ai fori e datata 1669, anno della sua morte – e Riposo durante la fuga in Egitto di Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio (del 1668) e Rinaldo e Armida di Ludovico Gimignani, datata 1680 circa.

Gli statuti dell’Accademia prescrivevano che ogni accademico, al momento della nomina, lasciasse in dono un saggio della propria arte (la cosiddetta piece de réception, dono di ingresso).

Era poi richiesto al nuovo eletto di mandare in dono un proprio ritratto. Si creò, in tal modo, fin dal Seicento, una galleria che prese forma più concreta nel corso del secolo successivo.

In ossequio a questa tradizione entrarono in collezione, tra gli altri, uno degli studi preparatori per la grande Cena in casa di Simone Fariseo che rese famoso Pierre Subleyras, la Marina di Anzio di Claude Joseph Vernet, l’Allegoria della Speranza di Angelica Kauffmann e l’Autoritratto di Louise Elisabeth Vigée-Le Brun.

La cultura antiquaria settecentesca è testimoniata dalle vedute archeologiche di Giovanni Paolo Pannini. Dalla metà del XVIII secolo Roma è la capitale del Neoclassicismo: in questa sala sono in mostra le sculture di Vincenzo Pacetti e Joseph Chinard, ancora legate a un linguaggio tardo barocco, oltre al modello in gesso di Cristo di Bertel Thorvaldsen e alla Testa di Clemente XIII, realizzata da Antonio Canova per il monumento funebre del pontefice da erigersi nella Basilica di San Pietro. Questi due grandi scultori neoclassici sono ritratti nelle opere in marmo al centro della sala, realizzate rispettivamente da Pietro Tenerani e Alessandro D’Este, in omaggio al ruolo straordinario che hanno avuto all’interno della produzione artistica di inizi Ottocento e nell’Accademia di San Luca.

PALAZZO LIPPI ALESSANDRI

Ottocento e Novecento

Nel 1810, all’epoca del governo francese, venne assegnato ufficialmente all’Accademia il compito della formazione degli artisti.

Nel corso del XIX secolo furono istituiti numerosi concorsi. Ricordiamo, oltre a quello voluto da Antonio Canova, quello di pittura intitolato a Domenico Pellegrini, dal 1844, e quello a scadenza triennale di scultura voluto da Filippo Albacini con testamento del 1857. Seguono il concorso Originali di pittura e Poletti di architettura del 1869, il concorso Lana per le tre arti del 1872, Werstappen per la pittura di paesaggio del 1873 e Montiroli per l’architettura del 1887.

Nel 1874, a seguito dell’annessione di Roma al Regno d’Italia, fu sottratta all’Accademia la finalità istituzionale della didattica. Essa dovette, quindi, lasciare le aule di via Ripetta a Roma, assegnate alla nascente Accademia di Belle Arti, e ridurre la sua attività negli spazi della sede storica al Foro romano.

In seguito cominciò un periodo di decadenza economica che, dalla seconda guerra mondiale, con la svalutazione monetaria, comportò l’insufficienza delle dotazioni storiche e, conseguentemente, la cessazione dei concorsi.

L’Accademia di San Luca ha comunque ripreso l’attività di promozione delle arti tramite il conferimento di premi e borse di studio a giovani artisti e studiosi.

Questa seconda parte del percorso si apre con il ritratto di Valadier eseguito da G. B. Wicar. Al pittore neoclassico si deve, per volontà testamentaria, l’ingresso nelle collezioni dell’Accademia del Putto di Raffaello.

Non mancano opere di esponenti del Neoclassicismo, come Andrea Appiani, Vincenzo Camuccini e Francesco Hayez, così come si può vedere il predominio della ritrattistica: dalla grazia di derivazione ancora settecentesca di Gaspare Landi alla capacità di introspezione psicologica dei protagonisti del movimento milanese degli Scapigliati, Tranquillo Cremona e Federico Faruffini. Anche il Novecento si apre nel segno del ritratto, con Lawrence Alma Tadema, che si raffigura intento a dipingere al cavalletto, e Giacomo Balla, presente con l’opera Primi e ultimi pensieri (Autoritratto) del 1949, dove accosta il suo volto a quello della produzione di un autoritratto della figlia Elica.

Opere di Antonio Mancini, Camillo Innocenti, Carlo Mattioli, Alberto Viani concludono quello che può essere considerato un ricco e completo excursus fra i capolavori della storia dell’arte dal Cinquecento al Novecento.

DA RAFFAELLO A CANOVA, DA VALADIER A BALLA. L’ARTE IN CENTO CAPOLAVORI DELL’ACCADEMIA NAZIONALE DI SAN LUCA

PERUGIA, 21 FEBBRAIO – 30 SETTEMBRE 2018

Palazzo Baldeschi – Palazzo Lippi Alessandri

Orari: martedì- giovedì: 15.30/19.00; venerdì-domenica: 10.30/13.30 – 15.00/19.00. Chiuso il lunedì

Info e prenotazioni: o75/5734760

palazzobaldeschi@fondazionecariperugiaarte.it

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