L’8 marzo la seconda sezione del Tribunale civile di Roma ha emesso la sentenza che condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a risarcire gli eredi della famiglia di David Raggi con 7mila e 200 euro a testa (padre, madre e fratello, per un totale di poco più di 21mila euro) secondo la legge 122 del 2016 che regola l’accesso al fondo delle vittime dei reati intenzionali violenti.
“Una sentenza inaspettata che ci lascia perplessi” – ha commentato a TO il legale difensore della famiglia Raggi, Massimo Proietti, che, davanti alla stessa sezione ha in corso altri due procedimenti relativi al ‘caso Rota’ e al ‘caso Pagani’.
Domani ricorrerà l’anniversario della morte del giovane ternano, ucciso tra la notte del 12 e 13 marzo nel 2015 con un fendente all’aorta in pieno centro da un cittadino clandestino ubriaco, e sarà una ricorrenza ancora più triste.
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Proprio in riferimento al ‘caso Rota’, sul quale si è ancora in attesa della Cassazione, la Corte ha voluto valutare il profilo di costituzionalità della legge 122, inviando la documentazione del processo alla Corte di Giustizia Europea tramite apposita ordinanza.
Mentre dunque si profila una questione di legittimità europea di diritto, uno dei giudici della II sezione Tribunale di Roma ha deciso, l’8 marzo, di applicare la legge 122.
Rigettate le altre istanze della difesa
Il legale Proietti, nel corso del suo impianto difensivo, aveva citato in giudizio i Ministeri dell’Interno e di Giustizia perché l’assassino di David, Amine Aassoul ‘Aziz’, non avrebbe dovuto trovarsi in stato di libertà , in quanto già condannato a quasi 7 anni per reati commessi precedentemente nelle Marche e non doveva trovarsi in Italia, visto che la sua richiesta di protezione internazionale non avrebbe potuto trovare accoglimento per la mancanza di requisiti.
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Secondo la sentenza dell’8 marzo, invece, non ci sarebbero responsabilità dei Ministeri di Giustizia e dell’Interno. Nel primo caso, la Corte ha ritenuto che ‘Aziz’ non potesse essere espulso perché convivente con la madre cittadina italiana. Nel secondo caso, invece, la Corte non ha rilevato sufficienti responsabilità.
“Sicuramente ricorreremo in appello – commenta l’avvocato Proietti a TO – anche la motivazione della convivenza con la madre non risulta convincente, perché, di fatto, Aziz viveva nella clandestinità”.