Antibiotico e cortisone. Tachipirina se il paziente ha febbre. Il Remdesivir, un antiretrovirale già utilizzato per l’Ebola, ha dimostrato di avere efficacia soltanto se somministrato nei primi giorni dall’insorgere dei sintomi Covid. E quindi non viene dato a tutti i pazienti.
E poi tanto ossigeno, quello che il Coronavirus, quando si “attacca” ai polmoni, toglie a chi si è infettato in modo grave. “Una malattia che comporta peggioramenti repentini“, spiega il colonnello Gaetano Luigi Nappi, chirurgo vascolare, direttore dell’ospedale militare da campo installato dall’Esercito in uno dei parcheggi dell’ospedale di Perugia per far fronte all’emergenza Covid.
Una malattia che può rivelarsi letale soprattutto per le persone anziane o con patologie. Ma che in alcuni casi determina gravi rischi anche per pazienti meno in là con gli anni, come purtroppo dimostrano alcuni decessi avvenuti anche in Umbria.
“Abbiamo intubato anche un paziente di 50 anni” conferma il colonnello Nappi. Nonostante all’ospedale militare transitino pazienti Covid con criticità medio-basse. In alcuni casi trasferiti dagli ospedali regionali, dopo un miglioramento.
Pazienti, spiega, che hanno comunque bisogno di un monitoraggio costante. Anche coloro che sono autosufficienti. Proprio perché il Covid può comportare peggioramenti che richiedono interventi mirati. Di giorno, tutto il personale sanitario militare è a disposizione. Di notte, si alternano con i turni squadre di tre infermieri, tre oss, con il coordinatore e il medico di guardia. E ovviamente c’è la reperibilità continua.
Ognuno dei 37 posti letto ha un armadietto e un piccolo comodino. La finestrella della tenda resta chiusa. L’interno è illuminato dalle luci gialle. Su cui si muovono medici e infermieri protetti dalle tute bianche diventate tristemente famose in tutto il mondo.
Per quanto si cerchi di rendere confortevole l’ambiente, si sta in una tenda, a combattere con un virus subdolo. Per questo nell’ospedale da campo c’è anche uno psichiatra, per aiutare i pazienti che mostrano segni di disagio.
Anche per questo, accanto al cocktail di farmaci e all’ossigeno, il personale dell’ospedale militare cerca di “somministrare” ai pazienti rassicurazioni e gentilezza. “E’ quello che ho raccomandato sin dal primo giorno in cui è stato attivato l’ospedale” spiega il colonnello Nappi. Soprattutto sui pazienti anziani o più fragili, l’umore è un alleato fondamentale per battere il Covid. Come dimostra la signora Anna Maria, dimessa nei giorni scorsi, guarita e negativa.
Altri pazienti, ormai fuori pericolo e asintomatici, lasciano l’ospedale da campo con ancora l’esito del test positivo. Destinati ai Covid Hotel o alle proprie abitazioni, se hanno la possibilità di isolarsi dai propri familiari.
Quegli affetti con cui, nei giorni di degenza all’ospedale militare, hanno continuato a restare in contatto. I pazienti che sono in condizione possono comunicare attraverso il proprio cellulare. Per gli altri, la comunicazione viene assicurata dal numero messo a disposizione dall’ospedale militare stesso. Amore che arriva al cuore. Importante come l’ossigeno che, dalle grandi cisterne installate fuori dall’ospedale militare, viene fatto arrivare fino ai polmoni di chi sta combattendo contro il Covid.