L'analisi della Banca d'Italia: così la pandemia ha impattato sull'economia e sulle famiglie umbre nel 2020 | PIl -9%, export crollato (-12,8%)
In Umbria ci sono 35 mila giovani che non studiano e non lavorano. Più di un quinto di coloro tra 15 e 34 anni. Nell’anno in cui è iniziata la crisi Covid, il loro numero è aumentato di un quarto in soli 12 mesi.
E’ solo uno degli effetti negativi della pandemia, evidenziati dall’analisi della Banca d’Italia, sulle famiglie e sull’economia umbra. Che nel 2020 ha visto una contrazione del Pil del -9% (in linea con il dato nazionale), ma con una maggiore contrazione delle esportazioni: -12,8% rispetto a una media nazionale che ha segnato -9,8%.
I settori economici più colpiti
L’industria ha perso l’11,8% del valore aggiunto, soprattutto nella prima parte dell’anno, a seguito del lockdown imposto anche a molte aziende. A risentirne maggiormente sono state le piccole imprese e i settori della meccanica e dell’abbigliamento.
Anche l’agricoltura è stata molto colpita, perdendo il 9,6% del valore aggiunto. Ma le attività più penalizzate sono state ovviamente quelle dei servizi legati al turismo e al tempo libero. Le presenze turistiche in Umbria sono state dimezzate, con la perdita di 3/4 dei flussi dall’estero non compensato dal buon recupero (+17,9%) del turismo italiano in estate.
L’edilizia
Più contenuta la flessione in edilizia (-5,9%) grazie anche alle opere pubbliche. L’edilizia è anche l’unico settore in cui è aumentata nel corso del 2020 l’occupazione.
Le compravendite sono calate del 5% (pesa la dinamica della prima parte dell’anno), con una buona tenuta nei piccoli centri. I prezzi sono però ancora scesi mediamente dell’1,2%.
Dinamiche che dopo 9 anni di calo continuo hanno portato a crescere anche il credito alle imprese di costruzione.
Smart working
Durante la pandemia il 10,1% degli umbri ha lavorato in smart working. Molto meno che nel resto d’Italia (15%) e di quanto avvenuto nelle regioni del Centro (17%).
Il livello di digitalizzazione della regione è in linea con quella italiana, che però è tra gli ultimi posti in Europa.
L’occupazione
Se il blocco dei licenziamenti ha consentito di limitare la perdita di occupati (-1,8 %), tra coloro che non avevano un contratto a tempo indeterminato la flessione in un anno è stata del 17,6%. A pagare la crisi e la precarietà sono stati principalmente i giovani sotto i 29 anni e le donne, che avevano trovato lavoro nei servizi al turismo e nel tempo libero.
Sostegno alle imprese umbre che assumono:
contributi pagati per 3 anni
Una dinamica che ha appunto portato alla forte crescita degli inattivi (+4,5%), i cosiddetti Neet, cioè dei giovani tra 15 e 34 ani che non studiano e non lavorano. Quota che è salta al 20,7%.
La dispersione scolastica è stimata al 38,2%: al di sotto della media nazionale, ma peggio dell’Umbria ci sono solo le regioni del Meridione.
Calo demografico
Questo continua a spingere i giovani laureati ad andarsene dall’Umbria. Un fenomeno che dal 2013 vede un saldo negativo tra i laureati in arrivo e quelli che se ne vanno altrove.
In generale, peggiora l’andamento demografico: al perdurante calo delle nascite si aggiunge il sempre minore afflusso migratorio.
Le famiglie
L’andamento della fiducia delle famiglie ha rispecchiato le diverse fasi dell’emergenza pandemica. Gli interventi pubblici di sostegno hanno attenuato significativamente la flessione del reddito disponibile (-2,3 % in termini pro capite) e contribuito a contenere l’aumento della disuguaglianza. Il calo dei consumi (-11,1 %) è stato molto più intenso di quello del reddito anche per la difficoltà a effettuare acquisti e per i timori del contagio. Vi è corrisposto un marcato incremento della propensione al risparmio prudenziale; i depositi sono aumentati (7,8 %), anche nelle classi di giacenza più contenute.
Il ricorso all’indebitamento ha frenato principalmente per la minore domanda di credito al consumo.