Festival 2Mondi, l'Opera è tornata! | Pelleas et Melisande, ovvero "far l'amore nelle vigne" - Tuttoggi.info

Festival 2Mondi, l’Opera è tornata! | Pelleas et Melisande, ovvero “far l’amore nelle vigne”

Carlo Vantaggioli

Festival 2Mondi, l’Opera è tornata! | Pelleas et Melisande, ovvero “far l’amore nelle vigne”

Dom, 25/06/2023 - 11:37

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In un Teatro Nuovo pienissimo (ma non al completo), i commentatori si sono divisi nel giudizio. Ma l'importante è l'Opera che torna

La prima domanda che ci si potrebbe porre dopo aver visto il debutto di Pelleas et Melisande al Festival dei Due Mondi di Spoleto, ieri 24 giugno, è perchè scegliere questo lavoro di Claude Debussy, per far ripartire la tradizione di un Opera al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, in apertura della manifestazione.

Dopo due anni di stop e con la spada di Damocle del Concerto in Piazza Duomo che anche in questa edizione del ritorno, ha tolto il primato all’Opera per l’inaugurazione della kermesse festivaliera (e sappiamo purtroppo come è andata a finire), la scelta di un titolo non propriamente di ascolto per tutti i gusti, denota una accentuata propensione al rischio da parte della direzione artistica.

Un rischio che nella stretta scelta musicale ha in sè una ragion d’essere, soprattutto se ci si riferisce alle prime critiche ragionate in occasione del debutto del lavoro di Debussy nel 1902. Si scrisse infatti all’epoca che era andata in scena un’opera dove non c’era nessuna imitazione, né di Wagner né di Gounod, e che per la sua originalità aveva per forza di cose scatenato opposizioni.

Tant’è che conoscendo -immaginiamo e speriamo- la delicatezza nella scelta, la produzione di questa Opera a Spoleto è dovuta passare attraverso l’opzione di un pacchetto preconfezionato, una vera e propria “ospitata” al netto di una blanda collaborazione per la realizzazione dei costumi di scena. Non ci sarebbe stato il tempo e forse la giusta esperienza per una produzione altra, fatta in casa.

Ancora una volta protagonista della programmazione spoletina, e autore del preconfezionato, è il M° Ivan Fischer, “attraente” Direttore d’Orchestra e chaperon della Budapest Festival Orchestra che come Festival di Spoleto abbiamo in residenza artistica sin dall’avvento di Monique Veaute alla guida del Due Mondi.

Fischer, inoltre, con la sua  Iván Fischer Opera Company, ha prodotto di fatto l’Opera e ne gestirà- diciamo- le sorti artistiche al netto di alcune collaborazioni con:  Müpa Budapest, Spoleto Festival dei Due Mondi e Vicenza Opera Festival.

Tralasciando la Mupa con la quale Fisher si può dire gioca in casa, andrebbero comprese e circostanziate le altre due collaborazioni, una delle quali –quella con Vicenza- ha già riserbato qualche sorpresona tempo fa e che Tuttoggi.info aveva scovato in rete. Riassumendo, prima che il Festival dei Due Mondi presentasse il programma ufficiale di Spoleto66, a Vicenza si vendevano dalla fine di febbraio 2023 i biglietti dello stesso tipo di allestimento spoletino, con tanto di cast messo in rete e dettagli che contraddicevano alcune esternazioni nostrane sul debutto “speciale” a Spoleto. Una questione imbarazzante dal punto di vista organizzativo e che ha visto anche qualche frizione interna al Due Mondi.

In verità il M° Fischer ha già venduto il pacchetto col fiocco anche ad altre città (forse anche Amburgo), ma di per se la questione così posta, finisce solo per infastidire per le modalità noi autoctoni e niente più.

Come detto sopra, la collaborazione spoletina è relativa solo ad una parte dei costumi dell’Opera, mentre tutto il resto è arrivato già bello e pronto, in imballaggio e con le istruzioni di montaggio accluse come per il Lego. E meno male che nei costumi non abbiamo rivali, come testimonia anche l’allestimento di alcuni splendidi pezzi di scena del Maggio Musicale Fiorentino e del Regio di Parma, esposti nel foyer del Nuovo (vedi foto).

Ma andiamo con ordine

L’Opera

Claude Debussy compone Pellas et Melisande alla fine dell’800 dopo aver visto a teatro l’omonima piece scritta da Maurice Maeterlinck, riuscendo con questo nell’intento sempre sperato di coniugare teatro e musica in una forma innovativa. Si trattava di descrivere musicalmente un dramma a carattere amoroso pensato in un luogo immaginario molto prossimo ad una favola di stampo seicentesco, con palazzi con le torri, giardini rigogliosi, foreste, grotte e pozzi, anelli che si perdono e le code di capelli che scendono senza soluzione di continuità dalle finestre per avvolgere spasimanti rapiti da sospetto feticismo. Il tutto spingendo la musica fuori da confini molto definiti e tracciati da autori monumentali come appunto Wagner o Gounod. Non è un caso che l’opera piacque molto a Maurice Ravel che con altri musicisti dell’epoca ne avevano le tasche piene dei wagnerismi nibelungici e parsifaliani, considerati addirittura nefasti.

La scena, l’orchestra e i cantanti

Detto questo non è di poco conto come una simile contesto viene allestito in scena ai nostri giorni. Escludendo le cucine, i bar o l’ufficio della Posta, come sempre condannava il compianto Giorgio Ferrara, il tandem della regia spoletina, Ivan Fischer e Marco Gandini, immagina una intricata vegetazione che copre il 90% del palcoscenico, unita a 3 elementi scenici che salgono e scendono come novelle torri svettanti o luoghi di profondità, come grotte segrete in cui i protagonisti dell’opera ambientano di volta in volta contesti necessari al racconto.

E per complicarsi per bene la vita, il duo Fischer-Gandini sposta in scena l’intera orchestra (flauti, oboi, corno inglese, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, basso tuba, timpani e archi), che piccola non è, togliendola dal Golfo Mistico per cui-vale la pena ricordarlo sempre- il M° Menotti fece una dura battaglia in difesa durante i lavori di restauro del teatro tra gli anni ’80 e ’90, temendo che si intaccasse l’acustica perfetta sin li registrata.

La resa musicale non è sembrata risentirne, anche se a voler essere puntigliosi il suono ha perso una sua rotondità che nel lungo lavoro di Debussy potrebbe essere decisiva. Si tratta infatti di 5 atti e 12 quadri, per circa 3 ore e mezza di esecuzione.

Ora si capisce bene che se l’Orchestra occupa quasi il 90% del palcoscenico e i cantanti si muovono e serpeggiano in spazi limitatissimi fuori dagli elementi scenici che salgono e scendono, concentrarsi sull’amato Debussy per oltre 3 ore può diventare una sorta di supplizio di Tantalo.

Imbarazzante nel 4° atto l’uccisione di Pelleas in una frazione di palcoscenico di non più di 3 metri quadrati con uno spadone sguainato e tre protagonisti (Gouland, Melisande e Pelleas) a contendersi un mozzico di scenografia rischiando, alla peggio, di cadere tra il pubblico o di franare tra gli orchestrali.

Mentre l’idea delle cosiddette torri mobili salva capra e cavoli per le ambientazioni previste in partitura, tutto il resto perde mordente e persino rende inutili i cantanti in scena. Avrebbero potuto cantare con più efficacia seduti sul bucolico boccascena e sarebbe stata una bella cosa, al netto però dello spazio occupato dal finto laghetto fatto con lo specchio come si faceva nei presepi fatti a casa.

Ora, che Fischer sia un eccellente direttore di orchestra e la Budapest sia una encomiabile Ensemble orchestrale non giustifica il fatto che si metta in ombra la prestazione dei cantanti impegnati in equilibrismi entro centimetri di scenografia, con mossette e movimenti liofilizzati. Di sicuro non siamo in presenza di partiture vocali vertiginose, di quelle che mettono in difficoltà le ugole, anzi tutto scorre liscio nei recitativi, tutti giocati tra note di facile presa, ripetibili e abbordabili anche per voci incerte. Ma se la musica prende il sopravvento, mentre l’intento era di coniugare teatro a musica, a Spoleto abbiamo ascoltato solo un ottimo cd di musica. E la cosa si poteva fare comodamente anche a casa.

Tra vigne, edera…e liane?

Nel 1974 Lucio Battisti pubblicò un album, Anima Latina, per alcuni scritto sotto effetto di qualche saporita spora fungina, in cui c’era un brano molto noto, Due Mondi.

Come prevedibile la nostra cialtronaggine di giornalisti di campagna ci ha suggerito che nel testo di Due Mondi, nomen omen, c’è un passo che recita “Voglio te, una vita…Far l’amore nelle vigne…Cade l’acqua, ma non mi spegne…Voglio te”. Mai verso fu più adatto per l’ambientazione del Pelleas et Melisande di Spoleto66.

Sosteniamo con forza e dopo ragionata riflessione, che la foresta presente in scena, dove si nascondono gli orchestrali e i cantanti strisciano furtivi nella speranza di non rimanervi impigliati, è un Vigneto incolto.

Ne abbiamo discusso con qualche avventore del Nuovo tra cui il Sindaco Andrea Sisti (elegantissimo a suo modo in abito blu e papillon blu elettrico) che da esperto agronomo ha ipotizzato una sorta di foresta di liane. Non siamo molto d’accordo per il diametro eccesivo dei rami. Altri invece, ragionevolmente hanno immaginato una foresta di edera, dove in effetti i rami possono arrivare a dimensioni notevoli. Ma se questo è, ci tocca cambiare riferimento. Urge dunque citare Nilla Pizzi e la sua L’Edera, “Son qui , tra le braccia ancor, avvinta come l’edera”. Il bucolico busillis, ne siamo certi, proseguirà tra accese discussioni nei prossimi giorni. E dobbiamo tutta questa nostra confusione allo scenografo Andrea Tocchio che immaginiamo abbia ricevuto discrete indicazioni in merito dal duo registico Fisher-Gandini. Purchè se ne parli!

I cantanti, i costumi e le luci

Pelléas Bernard Richter

Golaud Tassis Christoyannis

Arkël Nicolas Testé

Yniold Oliver Michael

un dottore Peter Harvey

Mélisande Patricia Petibon

Geneviève Yvonne Naef

Questi gli eroi, in tutti i sensi come sopra esposto, della prima spoletina. C’era attesa per la prestazione di Patricia Petibon che in Melisande ha trovato il suo cavallo di battaglia, come anche per Golaud –Tassis Christoyannis considerata una voce importante del panorama lirico.

Entrambi non hanno certamente avuto problemi, anche se la voce della Petibon ci è apparsa cauta forse per un lieve abbassamento dovuto magari alla tremenda umidità che ha avvolto Spoleto per giorni.

E tuttavia entrambi penalizzati dalla foresta malefica e poco incantata. Fantastico nella sua potenza di voce e precisione Arkël –Nicolas Testé. Forse il migliore.

Luci descrittive di Tamás Bányai che accompagnano senza sorprese particolari l’andamento delle torri e la vita nella foresta.

Sui costumi di Anna Biagiotti dovremmo aprire un capitolo a parte. e non perchè non siano stati all’altezza. Come già ampiamente detto sono il frutto della coproduzione con la macchina fisheriana, la Iván Fischer Opera Company, per conto del Festival dei Due Mondi.

In questo, la nota competenza internazionale della Biagiotti e dello staff spoletino (con Monica Trevisani già coordinatrice delle mostre sui costumi di scena degli anni menottiani), ha messo in campo qualità e capacità di soluzione di problemi che sempre arrivano durante un allestimento in costume. Il tutto però sempre secondo i desiderata del duo registico Fisher- Gandini, che in stravaganza ne ha da vendere. Il clou della messa in scena spoletina rimane la sfilza di cappe verdi e marrone sottobosco a tema che hanno indossato gli orchestrali per amalgamarsi con la foresta-vigneto (edera forse, ma liane decisamente no!)

Di sicuro effetto quella del Direttore Ivan Fischer che per avere un grado di comando-guida rispetto a tutte le altre dei professori d’Orchestra, è stata impreziosita (pare su sua richiesta) da un collare di foglie. Il risultato è a metà tra un ufficiale di grado superiore dei Carabinieri con i tipici baveri ornati da alamari vistosi e un Papageno della tradizione mozartiana nel Flauto Magico. Sic!

Senza contare che l’idea delle cappe in scena ad uso “amalgama” è una idea nota da tempo. Citiamo a memoria l’Orfeo di Monteverdi andato in scena al Teatro Liceu di Barcellona nel 2011 e diretto da Jordì Savall (di seguito alcuni estratti fotografici dalla rappresentazione).

Fortunatamente non capita spesso che professionisti straordinari come la Biagiotti debbano far buon viso a cattiva sorte durante un allestimento. Ma tant’è.

Pubblico, e commenti

Come prevedibile, in un Teatro Nuovo pienissimo (ma non al completo), i commentatori si sono divisi nel giudizio. Ma è un bene perchè qualunque esso sia, un Festival dei Due Mondi a Spoleto senza l’Opera non è più accettabile. Tuttavia gli applausi finali sono stati generosi e convinti. Ed è un buon segno.

Jamais! Lo scriviamo in francese così magari si capisce meglio.

Ne abbiamo presa una a scatola chiusa? Va bene lo stesso, per quest’anno, ma almeno siamo ripartiti. Ci sarà tempo e modo per capire meglio e fare bene. Magari evitando con più attenzione che qualche furbetto giochi su più tavoli con la stessa produzione.

Quello che in ogni caso non è in discussione è la bellezza della musica di Debussy. Tutto il resto è ovviabile, stando sempre attenti al fatto che spendiamo soldi pubblici e che il Festival non è una impresa privata.

Tra i vari ospiti presenti, abbiamo notato il Neo Presidente del MAXXI, Alessandro Giuli. La Direttrice Artistica del Festival, Monique Veaute, ne è Consigliere d’Amministrazione.

Nel palco (e retropalco) del Sindaco Andrea Sisti, presente anche l’assessore alla cultura Danilo Chiodetti.

Tra il pubblico anche una nutrita pattuglia di ospiti della neo associazione Spoleto Festival Friends guidata con la consueta verve e voce squillante da Ada Urbani.

Foto ringraziamenti: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)

Foto di scena: Festival dei Due Mondi

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