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BARBARA RIGHETTI COSTRETTA A FAR CAUSA ALLO STATO. E’ LA MOGLIE DELL’INDIMENTICATO MARCO AMICI

Redazione

BARBARA RIGHETTI COSTRETTA A FAR CAUSA ALLO STATO. E’ LA MOGLIE DELL’INDIMENTICATO MARCO AMICI

Lun, 28/07/2008 - 17:50

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di Ilaria Bosi (*)

Non è certo una che molla, Barbara Righetti. Lo ha dimostrato quando, al quinto mese di gravidanza, si è improvvisata detective col pancione per fare piena luce sulla misteriosa scomparsa di suo marito, l'orafo spoletino Marco Amici. Lo ha ribadito quando, dopo aver trovato alcune delle prove schiaccianti che hanno incastrato il killer, Enrico Cesare Borrometi, non si è persa una battuta dell'estenuante processo, riuscendo anche a incrociare per pochi istanti lo sguardo di quell'assassino che, per qualche migliaio di euro, ha mandato in frantumi i suoi sogni. La sentenza d'appello l'ha certamente piegata, ma non ne ha segnato la resa. Perché Barbara è una donna forte. E lo ha confermato quando, delusa da quella legge che, come ripete spesso, «non ha reso giustizia a mio marito», ha deciso di scrivere un libro, raccontando tutta d'un fiato quella terribile esperienza di donna ferita. Ferita due volte: dalla brutale uccisione del marito, ma anche dall'indifferenza e dalla diffidenza che hanno caratterizzato il suo lungo percorso a ostacoli verso verità.Il suo libro, Diario di un delitto, scritto di getto quando alle ferite era stato aggiunto il sale di una condanna non certo esemplare (16 anni e 4 mesi), ha scosso le coscienze. Le tragedie non possono mai diventare routine. Si è abituati alle fiction e non si pensa mai che il confine tra finzione e realtà è spesso legato da un filo sottilissimo. La vedova di Amici, nel suo autentico calvario, si è sentita più volte violata.

E a cinque anni da quell'efferato omicidio, Barbara Righetti si rivela ancora una volta come il simbolo di una donna che per avere giustizia è disposta a lottare contro tutto e tutti. Anche se è una battaglia durissima. Perché non è facile alzarsi la mattina e mettersi quella maschera che le impone di trasmettere normalità, serenità e sicurezza alla sua bambina, che non ha mai visto suo padre e continua a chiedersi perché, a differenza dei suoi amichetti d'asilo, non potrà mai giocare con lui, «perché è in cielo, tra gli angioletti».

Alessia ha appena quattro anni e mezzo, ma sembra già consapevole del fatto che sua mamma è anche il suo papà. «Eppure – racconta Barbara – più passa il tempo e più le sue domande si fanno incalzanti. Parla sempre più spesso di suo padre, forse prova a immaginarlo, di sicuro sente il peso dell'assenza di una figura paterna». Barbara lavora nel reparto di oculistica dell'ospedale di Spoleto. E' una stimata ortottista e quando indossa il camice riesce sempre a tener su quella maschera, che la rende gioviale e rassicurante. «Come mi sento? Indurita e inaridita da questa storia». Ma quando getta la maschera, anche solo per qualche istante, la sua sensibilità emerge in modo travolgente, quasi disarmante. Abituati, come si è stati, a vedere in lei quel muro invalicabile di orgoglio, spesso manifestato in rabbia. «Ce l'avevo con tutti», ammette.La vicenda giudiziaria, sul fronte penale, è finita da un pezzo. Ma per Barbara è appena iniziata una nuova battaglia. Ancora una volta in prima linea, con la solita determinazione. Farà causa allo Stato. Perché di quei 75mila euro che la Corte d'appello aveva stabilito come provvisionale del risarcimento non ha mai visto un centesimo. Borrometi, l'assassino, risulta nullatenente. Da un anno si trova alla Gorgona, il carcere in un’isoletta dell’arcipelago toscano. Probabilmente già tra un anno e mezzo potrà riassaporare la libertà con i primi permessi. Mentre lei si è dovuta accollare anche tutte le spese legali, con la beffa di non poter fruire del gratuito patrocinio per poche migliaia di euro. A ridarle speranza è stato il ritaglio di giornale mostratole da un'amica, in cui si riferiva di un caso analogo al suo: le famiglie delle vittime di reati violenti, laddove non si scopra il responsabile o nel caso in questi fosse nullatenente, possono intentare causa allo Stato. Barbara non ci ha pensato due volte: ha contattato l'avvocato Claudio Defilippi, del foro di Milano, che insieme alla collega Debora Bosi sta seguendo il caso.L'atto di citazione è stato già depositato nel Tribunale di Roma: Barbara Righetti chiede allo Stato un risarcimento di 250mila euro. «La strada è percorribile – spiega l'avvocato Defilippi – perché l'Italia è inadempiente alle direttive europee. Dalla Convenzione di Strasburgo al più recente Testo Verde, elaborato nel 2001 dalla Commissione Europea per analizzare il tema dei reati violenti e finalizzato ad approfondire il profilo del risarcimento a carico del colpevole e le modalità di intervento dello Stato quando sia impossibile essere risarciti dal condannato. Purtroppo l'Italia risulta tra i pochi stati europei a non aver recepito questa direttiva, classificandosi agli ultimi posti. L'inadempienza del nostro Paese dà facoltà al cittadino italiano di adire le varie Corti nazionali (sulla base della sentenza Francovich) per ottenere la condanna dello Stato al risarcimento dei danni, risultanti per la mancata trasfusione del diritto europeo».Barbara si è aggrappata a questa possibilità: «Ho speso un patrimonio per le spese legali. Non mi sono sentita tutelata dallo Stato, ma abbandonata». Punta al risarcimento per garantire un futuro a se stessa e alla sua bambina, che aveva in grembo quando Marco è stato ucciso, e di cui il papà non ha mai saputo il sesso: «Ci piaceva l'effetto sorpresa e non volevamo sapere in anticipo se fosse un maschietto o una femminuccia. Marco non ha potuto saperlo, anche se in cuor suo immaginava che fosse una femmina. Lo diceva spesso».Che tipo era Marco Amici? Barbara lo descrive come un uomo «eclettico e carismatico, dalle mille sfaccettature. Una persona fuori dal comune, nel bene e nel male. Un uomo che lascia qualcosa. Cosa gli rimproveravo? Di essere presuntuoso, troppo sicuro di sé, si sentiva quasi invincibile. E questo lo portava a fidarsi troppo delle persone». Anche di quelle sbagliate, come Enrico Borrometi. L'assassino le ha mai chiesto scusa? «Niente di niente. Né lui, né la sua famiglia. Silenzio assoluto. E assordante. Sarei disposta a perdonarlo? No, mi ha rovinato la vita». Barbara è originaria di Parma, si era trasferita in Umbria per amore di Marco. Dopo questa brutta storia, ha mai pensato di fare le valigie e cambiare ambiente? «No, assolutamente. Resto a Spoleto. Qui mia figlia ha i suoi amichetti, qui ci sono le sue radici. Anche se spesso mi sento sola. Mi divido tra il lavoro e la cura di mia figlia. Sento il peso di dover essere sempre forte e coraggiosa. Come mi ha cambiato quest'esperienza? Sono molto diffidente, scruto sempre chi mi sta di fronte: temo di essere fregata. I miei ritmi sono vertiginosi e a volte mi dico: a differenza dell'assassino di mio marito, io non ho neanche l'ora d'aria». Se potesse tornare indietro di 5 anni c'è qualcosa che non ripeterebbe? «Non escluderei alcune persone ai funerali, come invece ho fatto per rabbia, perché mi sono sentita ferita».Sono state tante, forse troppe, le leggende circolate dopo la scomparsa di Amici. Dalla fuga con l'amante, a un piano studiato con la moglie per scappare all'estero. Fino alla finzione della morte per riscuotere un'assicurazione. Ma la speranza che dietro la scomparsa potesse esserci il tentativo di rifarsi una vita, spacciandosi per morto, è crollata vicino a Eboli. La storia di Marco Amici, purtroppo, non ha avuto nulla a che vedere con quella pirandelliana del “Fu Mattia Pascal”.

(*) per IlMessaggero.it


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