Ricorso contro le assoluzioni di Palamara e Fuzio

Ricorso contro le assoluzioni di Palamara e Fuzio

Redazione

Ricorso contro le assoluzioni di Palamara e Fuzio

Lun, 29/11/2021 - 14:06

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Contestato il presupposto secondo cui le comunicazioni non erano coperte da segreto d’ufficio, in quanto ancora non secretate dal CSM

La Procura generale di Perugia chiede che la Corte d’appello disponga il rinvio a giudizio per Luca Palamara. Impugnata la sentenza con cui il gup del Tribunale di Perugia che lo scorso 15 ottobre aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Palamara, all’epoca dei fatti magistrato, dalle accuse di rivelazione di segreto d’ufficio in concorso con Riccardo Fuzio, già procuratore generale della Corte di Cassazione. Per quest’ultimo la Procura generale perugina ha parimenti impugnato la sentenza assolutoria dello scorso 23 luglio.

Secondo la sentenza del tribunale perugino, la rivelazione delle notizie, comunicate in data 3 aprile 2019 al collega Palamara da parte del dott. Fuzio, quale componente del Comitato di Presidenza del CSM, non erano coperte da segreto d’ufficio, in quanto ancora non secretate dal CSM, per cui si è ritenuto che il fatto non sussiste.

Le contestazioni della Procura generale

La Procura generale di Perugia contesta tale presupposto e per l’effetto ha impugnato la decisione assolutoria innanzi alla Corte d’Appello di Perugia. Se per un verso la decisione del Tribunale riconosce il concorso di ambedue i magistrati nella condotta rivelatrice di notizie d’ufficio, ad avviso della Procura Generale perugina l’allora Procuratore Generale della Cassazione, quale membro di diritto del Comitato di Presidenza del CSM, era tenuto, proprio per la sua funzione, ad osservare il segreto sugli atti di cui era venuto a conoscenza, che nello specifico erano costituiti dal contenuto di un esposto presentato da un magistrato nei confronti dell’allora Procuratore della Repubblica di Roma.

Per l’effetto, l’aver comunicato le notizie per telefono a Palamara, che aveva interesse a conoscerle – secondo la Procura generale – ha costituito violazione del segreto a cui il magistrato, anche quale titolare del potere di azione disciplinare, era comunque tenuto.

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