(Carlo Vantaggioli)- Danza “pigliatutto” dovremmo dire, o meglio ancora, “ve l’avevamo detto”. In tempi non sospetti (i primi anni del nuovo corso del M° Giorgio Ferrara), scrivemmo a più a riprese che predisporre un serio programma di danza al Festival, avrebbe consentito di avere già mezzo successo dell’intera kermesse in tasca. Ed oggi, oltre ad essere ancora fortemente convinti di ciò che sotenevamo, abbiamo prove in abbondanza del fatto che compagnie di grido come il San Francisco Ballet facciano la differenza in una programmazione artistica.
Ieri sera (4luglio ndr.) il Teatro Romano, era stracolmo di spettatori, fin sugli “strapuntini”. Un pubblico molto attento e sorprendentemente molto giovane. Tantissimi i ragazzi che con gli immancabili telefonini, immortalavano con la foto ricordo le gesta artistiche dei ballerini della celebre compagnia americana, mentre per l’ennesima volta i fotografi e gli operatori ufficiali accreditati, o almeno una parte di loro, sono rimasti fuori dal teatro a girarsi i pollici. Una pessima nota organizzativa che dovrà presto trovare una soluzione, poiché è inaccettabile che si voglia avere una stampa a disposizione (accreditandola appunto) e poi non si sia in grado di farle fare il proprio lavoro, imponendolo, quando è necessario o agli operatori partner ufficiali o alle stesse compagnie che sulla questione dell’immagine la fanno sempre troppo lunga. Del resto il Festival di Spoleto non è la sagra di Vattelapesca (con tutto il rispetto per Vattelapesca), e dunque chi firma i contratti per il Festival può ben pretendere, se del caso, di avere a disposizione i canonici 3 minuti di foto e riprese da concedere a tutti gli accreditati.
Ma oggi è la festa del San Francisco Ballet, e quindi celebriamo il ritorno a Spoleto dopo circa 30anni di questa famosa compagnia di danza professionale che è anche la più antica in America, risalendo la sua fondazione al lontano 1933.
E 30 sono anche le stagioni di direzione artistica della compagnia, del coreografo islandese Helgi Tomasson, a cui va il merito di aver portato con successo la compagnia alla ribalta internazionale.
Scoperto da Jerome Robbins nella sua nativa Islanda, parte alla volta degli Stati Uniti grazie ad una borsa di studio per la New York’s School of American Ballet. In seguito, ha fatto parte di compagnie quali Joffrey Ballet, Harkness Ballet, e New York City Ballet, ove diventò uno dei più famosi principal dancers.
Tomasson ha creato oltre 40 coreografie; tra i numerosi riconoscimenti ricordiamo Ufficiale dell’Ordine delle Arti e delle lettere in Francia, laurea ad honorem alla Juilliard School, e Gran Cavaliere con Stella dell’Ordine del Falcone, la più prestigiosa onorificenza islandese.
Nel 2008, traghetta la compagnia alla sua 75esima stagione, che include il New Works Festival, dove presenta 10 prime mondiali di altrettanti celebri coreografi. Nel 2012 ha ricevuto il Dance USA Honor Award per la sua straordinaria leadership nel campo della danza.
Se c’è una parola che più di altre rappresenta il senso dell’esibizione del San Francisco Ballet a Spoleto57, è “leggerezza”. Non intesa come carenza di contenuto, ma come assenza di peso, un piacevole senso di galleggiamento degli splendidi ballerini della compagnia che persino nella loro fisicità appaiono decisamente poco muscolari e molto più “spirituali”.
I passi delle coreografie tendono a questo risultato scenico e si può ben dire che questa è la cifra stilistica della compagnia. Prova ne è la mancanza di rumori sul palcoscenico riconducibili al peso corporeo dei danzatori. Anche al termine dell’esecuzione di un Brisè o di un Grand jetè, la ricaduta del ballerino sul linoleum del Romano assume la dimensione di un atterraggio lunare.
Colpisce la somiglianza corporea, tra loro, dei ballerini, che evidentemente devono avere determinate caratteristiche per poter eseguire certe coregrafie.
Apre la serata “7 for Eight” di Helgi Tomasson, su musiche di Johann Sebastian Bach. Rappresentata per la prima volta nel gennaio del 2004, è ormai una pietra miliare del repertorio del SFB. Per Spoleto e l’Italia si è trattata della prima assoluta.
7 movimenti coreografici, come sette sono i movimenti della musica bachiana, di una eleganza superlativa. Non un passo distinguibile da altri per imperiosità o forza ma un amalgama armonioso che impedisce di staccare gli occhi dall’esecuzione. E non si può distinguere con cognizione di causa se sia la musica o i movimenti dei ballerini il vero “complice” della bellezza di questa coreografia, che ha in se un quid di favola nordica, come le origini di Tomasson,
Segue nel programma della serata “Variations for Two Couples”, coreografia di Hans van Manen, le musiche di Benjamin Britten, Einojuhani Rautavaara, Stevan Kovacs Tickmayer, Astor Piazzolla e i costumi di Kaso Dekker, indispensabili e belli nella loro semplicità. Il lavoro di Manen insegue una contemporaneità che non riesce mai a sovrastare il senso classico dei movimenti coreografici e tuttavia ha in se la bellezza dell’insieme. Negli Adagio di questa coreografia i pas de deux assumono un significato di impalpabilità che incrina in qualche misura la tensione della narrazione. Ed il continuo alternarsi dei due sentimenti rende questo balletto un pezzo di bravura assoluta magnificamente reso dai 4 ballerini in scena.
Nella seconda parte della serata invece, spazio ai divertissement con due coreografie che esprimono gioia e sciolgono la tensione creativa, mettono in mostra le bravure individuali e non sono esenti, ahinoi, da qualche banalità. Con le migliori intenzioni si mette in scene un breve “Voices of Spring” con musiche di Johann Strauss II e coreografia si Sir Frederick Ashton, in cui l’ingresso della coppia di ballerini è salutata da un piccola pioggia di petali di rose. Decisamente inglese come interpretazione, visto anche che la prima rappresentazione del pezzo fu al Covent Garden di Londra nel 1977 (in occasione dell’opera Il Pipistrello). Possiamo dire non proprio all’altezza della prima parte del programma.
Chiusura di serata con “From Foreign Land”, 6 movimenti dedicati ad altrettante nazioni europee, a loro modo, culle della danza e della musicalità. Con Russian allegretto, Italian presto, German andante, Spanish Molto vivace, Polish allegro con fuoco, Hungarian molto allegro e l’Ensemble finale, il coreografo Alexei Ratmansky con la musica di Moritz Moszkowski, rende omaggio ai temperamenti delle rispettive nazioni citate unendo classici movimenti coreografici a una sorta di sceneggiatura della storia, condita di mossette e luoghi comuni sulla natura caratteriale degli abitanti delle singole nazioni. Per fare festa e celebrare la gloriosa compagnia di San Francisco, è stata una coreografia perfetta, ballata ottimamente. Da inserire invece in un programma blasonato e con una prima parte strepitosa, un azzardo molto “americano”.
Citiamo tutti i componenti di questo magnifico ensemble:
principals- Joan Boada, Frances Chung, Jaime Garcia Castilla, Mathilde Froustey, Tiit Helimets, Luke Ingham, Davit Karapetyan, Maria Kochetkova, Vitor Luiz, Pascal Molat, Carlos Quenedit, Sofiane Sylve, Yuan Yuan Tan, Sarah Van Patten
solisti- Dores André, Sasha De Sola, Shane Wuerthner
corpo di ballo- Elizabeth Powell, Myles Thatcher
Ma ci consentiamo anche un personale apprezzamento per la bravura e bellezza armoniosa di Yuan Yuan Tan e Tiit Helimets protagonisti del I° Movimento di “7 for Eight” (nella foto di copertina Agf-Antonelli).
Nel complesso lo spettacolo del San Francisco Ballet strappa applausi a scena aperta e molte chiamate alla ribalta della compagnia, perchè l’amore per la danza a Spoleto va bel oltre qualsiasi valutazione di merito e diventa pura passione per il genere d’arte.
Per la replica di questa sera si annuncia già il secondo sold out. Dunque Festival dei 2Mondi gode di ottima salute.
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(foto ufficiali Agf-Antonelli)