Serata conclusiva della seconda edizione della rassegna jazzistica organizzata da Visioninmusica. Successo di pubblico e due bis concessi
In principio fu Stephane Grappelli e il suo violino con il Quintette du Hot Club de France fondato con Django Reinhardt nel 1934. Poi seguirono molti altri, e gli archi classici, dagli anni ’50 in poi, non sono più stati gli stessi, piegati ad arte sulla partitura di stampo jazzistico e blues. Ed esiste anche, da qualche parte, una teoria per cui alla base strumentale storica del Blues ci sarebbe comunque un violino.
Saper scrivere la musica
Tanto che il pretesto è nello strumento ma poi, occorre una robusta dose di sapienza compositiva per non creare mostri informi.
E ci vuole anche una “sfacciataggine” gloriosa come quella di Silvia Alunni, deus ex machina di Visioninmusica per scegliere un duo come quello di BartolomeyBittmann (violoncello, violino e mandola), per chiudere, ieri 12 novembre, il ciclo di Spoleto Jazz Season 2021 al Teatro Caio Melisso.
Terzo ed ultimo concerto che dava un po da pensare per la sua spinta originalità. E’ pur vero che le platee degli appassionati già conoscevano le abilità di musicisti italiani come Giovanni Sollima o Mauro Pagani, violoncello il primo e violino (ma molto altro ancora…) il secondo. Chi li aveva ascoltati almeno una volta si era reso conto da subito di che razza di magia erano in grado di compiere sullo strumento un certo genere di artisti non allineati.
A Spoleto la bravura tecnica di BartolomeyBittmann è apparsa subito indiscutibile. Ed anzi, lo confessiamo apertamente, i dubbi che ci avevano attanagliato studiando su Youtube una certa rassegna di loro esibizioni, sono svaniti in un lampo quando dal vivo ci siamo subito resi conto di come ogni piccolo o grande passaggio sullo strumento, ogni melodia, ogni pizzicato ogni fraseggio è il frutto di una grande idea compositiva.
La verità è che BartolomeyBittmann sanno scrivere di musica magnificamente ed è questo il quid della serata al Caio.
Piegare gli “archi”
Come i sommi sacerdoti del culto di Ahura Mazda vivificano il fuoco senza sosta, così BartolomeyBittmann scaldano e piegano elettrificandoli i loro archi classici, di fattura settecentesca (come hanno raccontato alla platea), ad una sonorità che si deve senza dubbio definire, Progressive.
E a pensarci bene non escludiamo che Niccolò Paganini, in alcune sue composizioni, sia stato il vero primo musicista prog della storia.
Ma a parte le iperboli, BartolomeyBittmann non si possono racchiudere in un contenitore unico, ma vanno analizzati composizione dopo composizione e solo così ci si accorge di quanti suoni sono padroni. Nei loro brani c’è tutto un vissuto che prende avvio da una evidente formazione classica ma si infila dritta dritta nella metamorfosi strumentale di geni come Ian Anderson dei Jethro Tull quando suona Bourée. Bittmann, per altro, ci prova in continuazione a mettere la gamba a squadra sul ginocchio come era solito fare il vecchio Ian.
Nibelungico wagneriano
Il tutto in un programma che risente molto della provenienza “geografica” musicale dei due: l’Austria. Qualcosa a metà tra le profondità del nibelungico wagneriano e le ariose elevazioni favolistiche di Andreas Vollenweider e la sua arpa elettrificata in Caverna Magica. Ce ne accorgiamo proprio nel brano Krystallos che riscuote non a caso una ovazione della platea di Spoleto.
Ma la metamorfosi degli archi di BartolomeyBittmann è talmente spinta che in alcuni brani si arriva persino a rimaterializzare, una dimenticata orchestrazione che fece storia nientemeno che al Festival di San Remo del 1999: i Quintorigo con Rospo.
BartolomeyBittmann ci provano anche con la voce, ma solo come ulteriore strumento, proprio come il “cantare la voce” di stratosiana (Demetrio Stratos) memoria.
Il duo viennese è un abile forgiatore di nuovi schemi musicali e conosce l’arte di “piegare” lo strumento al bisogno contingente. E’ valsa veramente la pena poterli ascoltare ed anche vedere dal vivo, perchè le documentazioni youtubiche non gli rendono giustizia.
Dal duo al quartetto
Per quello che possiamo aggiungere a nostro gusto, ci piacerebbe ascoltarli presto con nuove composizioni scritte di pugno, non più per duo ma per un quartetto/quintetto, dove una semplice sezione ritmica potrebbe liberare le preziosi mani di Bartolomey al violoncello, suonato spesso alla ricerca degli armonici come faceva spesso Jaco Pastorius nel basso fretless.
Mentre Bittmann potrebbe dedicarsi completamente alla melodia, magari con l’appoggio strutturale di una tastiera tipo Hammond. “Ipotesi di lavoro”, come direbbe un nostro amico che la sa lunga! Ipotesi però che non li spingano molto oltre (genere Penguin Cafe Orchestra per intenderci) ciò che brillantemente hanno dimostrato di essere.
E se questa è stata la seconda edizione dello Spoleto Jazz Season, visto il grande successo (due bis concessi) della serata conclusiva e che in teatro era presente anche il sindaco di Spoleto, Andrea Sisti in compagnia dell’Assessore “al turismo”, Giovanni Maria Angelini Paroli, ci aspettiamo grande sostegno istituzionale per una prossima terza e più ampia stagione, tanto da spingere Silvia Alunni a superarsi in “sfacciataggine” !
Il concerto è stato dedicato in apertura all’Avv. Salvatore Finocchi, scomparso nella notte tra l’11 ed il 12 novembre, nella sua qualità di Presidente della Fondazione CaRiSpo che da subito ha sempre sostenuto la stagione jazzistica spoletina.
Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)
(modificato alle 13,17)