REINTRODOTTO NEL PARCO DEI SIBILLINI IL CAMOSCIO APPENNINICO (Foto e schede) - Tuttoggi.info

REINTRODOTTO NEL PARCO DEI SIBILLINI IL CAMOSCIO APPENNINICO (Foto e schede)

Redazione

REINTRODOTTO NEL PARCO DEI SIBILLINI IL CAMOSCIO APPENNINICO (Foto e schede)

Ven, 12/09/2008 - 18:45

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Mercoledì 10 settembre sarà ricordato come un giorno storico per le politiche di conservazione della biodiversità a livello europeo: proprio in quel giorno è infatti avvenuta l'immissione in natura dei primi camosci appenninici nel territorio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.Trasportati con un elicottero dell'Esercito Italiano dal Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, i camosci sono stati liberati in ambienti d'alta quota nel territorio del Comune di Ussita, in un'area che sulla base degli studi di fattibilità è risultata ottimale. Con l'importante apporto del Comune di Ussita e sotto l'attento sguardo degli zoologi e dei veterinari dei due parchi, del Corpo Forestale dello Stato, della Provincia di Macerata e del Servizio Veterinario dell'A.S.U.R. di Camerino si sono svolte le operazioni di rilascio che proseguiranno nei prossimi giorni fino ad arrivare all'immissione in natura di un massimo di quindici esemplari.

Il progetto, attuato nel quadro del Piano d'Azione Nazionale per il Camoscio del Ministero dell'Ambiente, è un passo decisivo per la creazione di una nuova colonia nei Sibillini. Ricordiamo infatti che il Camoscio appenninico, sottospecie esclusiva dell'Appennino centrale, è l'unico mammifero italiano ad essere inserito nella Lista Rossa dell'IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), essendo considerato a forte rischio di estinzione, in quanto sopravvissuto, agli inizi del XX secolo, con un unico piccolo nucleo solamente nel Parco Nazionale d'Abruzzo. Dal 1991, grazie ad una serie di progetti – alcuni dei quali finanziati dall'U.E. – il camoscio è stato poi reintrodotto nel Gran Sasso e nella Majella. La costituzione del quarto nucleo di camoscio appenninico sui Monti Sibillini corona così un sogno che per anni è stato perseguito anche da molte Associazioni ambientaliste tra cui CAI, Legambiente e WWF. Vista la delicatezza dell'operazione è necessario che nell'area del rilascio sia garantita la massima tranquillità anche da parte degli escursionisti; per questo gli agenti del Corpo Forestale dello Stato svolgeranno un'attenta azione di sorveglianza che continuerà anche nei prossimi giorni.

Carta d'identità del camoscio

Sulla base di studi genetici, morfologici, paleontologici e comportamentali, il camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) è ritenuta una sottospecie a sé stante ben differenziata dal camoscio alpino.È una specie particolarmente legata a terreni aspri e rocciosi che usa come zone di rifugio per sfuggire ai predatori. Pur essendosi dimostrato un erbivoro molto adattabile, in grado di far fronte alle variazioni delle disponibilità vegetali durante l'anno, è molto selettivo in quanto opera una scelta mirata nell'ambito delle specie presenti nel periodo.Durante il periodo estivo i gruppi di femmine e giovani frequentano le praterie d'altitudine, mentre i maschi pienamente adulti tendono a rimanere nelle zone boscose più in basso, riunendosi alle femmine solo per il periodo riproduttivo, in novembre. All'arrivo della neve scendono in aree forestate meno esposte al vento e ripide, frammentandosi in piccoli gruppi. I parti avvengono tra maggio e giugno e viene dato alla luce un solo piccolo.

DISTRIBUZIONE

Il camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) è presente esclusivamente in Italia; l'areale attuale appare estremamente ridotto rispetto a quello che occupava nell'Olocene, quando comprendeva la catena Appenninica centro-meridionale, tra i Monti Sibillini e il Massiccio del Pollino.Durante i tempi storici, la caccia e il forte impatto esercitato dall'allevamento, principalmente ovi-caprino, portarono al progressivo isolamento dei nuclei e alla scomparsa di questa specie da gran parte del suo areale. Con la sua estinzione sul Gran Sasso intorno al 1890, rimase un'unica popolazione, nell'area che sarebbe poi diventata il Parco Nazionale D'Abruzzo nel 1922. Questo nucleo rimase per molto tempo a bassa densità, con ulteriori drastiche riduzioni in occasione delle due guerre, finché nel 1949 erano presenti non più di 40 individui.A partire dal 1991, due nuove colonie sono state costituite nei nuovi Parchi Nazionali della Majella e del Gran Sasso-Monti della Laga. La popolazione di camoscio attualmente presente sui massicci del Gran Sasso e della Majella è stimata intorno ai 350 esemplari, vale a dire il 29% dell'intera popolazione presente allo stato selvatico.Il camoscio è un animale molto elusivo che predilige le praterie di alta quota, oltre i 1700 metri, dove siano presenti delle zone rocciose in cui normalmente trova riparo dai pericoli. Un incontro con questo splendido mammifero può essere davvero una magnifica esperienza. Onde evitare azioni di disturbo che potrebbero pregiudicare la riuscita di questo importante intervento faunistico occorre tenere a mente, quindi, alcune regole comportamentali: nel caso si dovessero avvistare dei camosci – ma tali regole sono valide anche per l'incontro con altri animali selvatici – è bene rimanere tranquilli e godersi lo spettacolo, magari con l'aiuto di un binocolo, senza provare ad avvicinarlo e senza abbandonare il sentiero. Rimanere in silenzio e evitare movimenti bruschi è un segno di rispetto nei confronti di questi graditi ospiti e un ottimo modo per prolungare il tempo del vostro avvistamento.Infine, nelle zone di reintroduzione del camoscio, è bene intraprendere escursioni lasciando a casa gli animali domestici che, anche se tenuti al guinzaglio, recano comunque interferenze negative sulle attività biologiche degli animali selvatici.

OBIETTIVI

Una serie di lavori riguardanti l'ambito biometrico, etologico, genetico e paleontologico ha permesso di riunire il camoscio appenninico Rupicapra pyrenaica ornata Neumann, 1899, con altre due sottospecie (Rupicapra pyrenaica parva e Rupicapra pyrenaica pyrenaica) a costituire il gruppo dei camosci sud-occidentali Rupicapra pyrenaica, separatasi da quelli nord orientali Rupicapra rupicapra circa 45.000 anni fa.Il camoscio appenninico costituisce sicuramente una delle entità faunistiche italiane più rare, tale da essere inserito come specie prioritaria nell'Allegato II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE e in altri regolamenti comunitari, valergli l'iscrizione come sottospecie “in pericolo di estinzione” nella lista rossa dei mammiferi redatta nel 2002 dall'IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e indicato come “vulnerabile” dall'IUCN/SSC Caprinae Specialist Group, oltre a essere “particolarmente protetta” dalla legislazione italiana. Questo status è direttamente collegato alla storia passata e recente di questa sottospecie: mentre nell'Olocene era distribuito nelle aree montuose appenniniche comprese tra i Monti Sibillini e il Pollino, si ipotizza che con il passare del tempo queste popolazioni rimasero tra loro isolate e durante il periodo storico furono sottoposte a una pesante azione di sfruttamento dovuta alla caccia, utilizzo del territorio e concorrenza con il bestiame. In tempi storici l'areale documentato era ridotto al massiccio del Gran Sasso – dove l'ultimo esemplare sarebbe stato abbattuto verso la fine del 1800, e in località “Costa Camosciara” nell'alta Marsica dove nel 1915 veniva segnalato un branco superstite di questo ungulato formato da non più di 30 esemplari.Per i Monti Sibillini oltre al rinvenimento di reperti subfossili di 6 individui attributi a Rupicapra pyrenaica ornata che attestano la presenza di questa sottospecie nell'area sino a circa 10.000 anni fa, sono disponibili alcune citazioni storiche indicanti la presenza di “capri selvatici” (Colutius, 1795) che potrebbero far supporre la sopravvivenza del camoscio sino alla fine del 1700.Con l'istituzione del Parco Nazionale d'Abruzzo, promossa nel 1922 anche per proteggere questi ultimi esemplari, e le norme di tutela adottate, la popolazione si accrebbe fino a raggiungere i 100 capi nel 1929, ma durante il secondo periodo bellico si ebbe un nuovo crollo numerico (circa 80 esemplari nel 1941, 40 nel 1949); da quel momento, grazie anche a una più oculata gestione attuata dal 1969, la popolazione si è accresciuta, raggiungendo in questa Area Protetta una consistenza attuale stimata in circa 600 esemplari allo stato libero. La presenza però di un'unica popolazione, assestata in un'area di esigue dimensioni all'interno del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, e soprattutto poco diversificata da un punto di vista genetico a causa della prolungata permanenza a bassa densità, esponeva questa sottospecie al rischio di estinzione in caso di drastici cambiamenti ambientali o eventi epidemici. Sulla base di queste considerazioni sia lo specifico Piano d'azione per la sottofamiglia delle Caprinae redatto dallo IUCN/SSC Caprinae Specialist Group che il Piano d'azione nazionale per il Camoscio appenninico indicano come misura prioritaria di conservazione per questa sottospecie il raggiungimento di una consistenza complessiva superiore a 1.000 individui, suddivisi in 5 popolazioni distinte.Il programma di re-introduzione ha preso avvio nel Parco Nazionale della Majella nel 1991 a cui è seguita nel 1992, i primi rilasci per la costituzione del nucleo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga,Riguardo ai Monti Sibillini, in base alle caratteristiche morfologiche che questo massiccio presenta, è stato realizzato, nell'ambito del Progetto Life Natura 2002, uno studio di idoneità ambientale per verificare la possibilità di effettuarvi un'operazione di introduzione benigna al fine di costituire una nuova popolazione di camoscio appenninico.Questa analisi ha preso in considerazione sia i parametri ambientali presenti, sia i possibili fattori limitanti con particolare riguardo a quelli di natura antropica quali il carico di bestiame presente sui pascoli, le attività turistico-ricreative e l'accessibilità alle diverse aree. I risultati di questo studio, confermando quanto già emerso nello studio di fattibilità realizzato dal WWF nel 1996, indicano come dal punto di vista dell'idoneità ambientale per il camoscio appenninico.. ” tutto il gruppo dei Sibillini potrebbe costituire un esteso unicum ecologico per l'insediamento e il successivo sviluppo di una consistente popolazione di camoscio appenninico: tra le diverse aree individuate come idonee per la sua reintroduzione non si riscontrano barriere ecologiche di alcun tipo, per cui l'animale potrebbe utilizzare tutta la parte interna e in quota del comprensorio montuoso (circa 24.000 ha) senza incontrare ostacoli ai suoi spostamenti.”

CONTESTO SOCIO-ECONOMICO

Il progetto di reintroduzione è una continuazione del progetto “Life Natura 2002 – camoscio appenninico” nel cui ambito è stata realizzata l'Area Faunistica del Camsocio di Bolognola; essa si estende per circa 3 ha sul versante esposto a sud del M. Sasso Tetto (1624 m), nella medio-alta Valle del Fiastrone, proprio sopra l'abitato di Bolognola. In questo luogo boscato e rupestre è ospitato, in stato di “semi-libertà”, il Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata – una sottospecie del genere Rupicapra), che può quindi mantenere comportamenti e abitudini – anche nell'alimentazione e nella riproduzione – molto simili a quelli naturali. Ai due esemplari che provengono dal Parco Nazionale della Majella, liberati nel mese di giugno del 2006, si sono aggiunti due piccoli nati all'interno dell'area faunistica di cui non si conosce ancora il sesso.La reintroduzione in natura si svolge in aree non antropizzate, a quote elevate sui maggiori massicci dell'Appennino centrale, dove è in corso l'attuazione degli interventi nell'ambito del progetto APE – Appennino Parco d'Europa. Gli aspetti socioculturali più notevoli e diffusi sono basati sulla pastorizia e sulle attività agricole tradizionali.Sulla Majella, le attività zootecniche che persistono sono residuali e presentano al proprio interno una serie di contraddizioni, che poi sono le principali cause del degrado. È in questo contesto che si sviluppa l'abbandono del presidio del territorio da parte dei locali. Ad amplificare il tutto contribuisce anche il Regolamento comunitario sulla qualità e sanità dei prodotti alimentari, anche se una forma possibile di riorganizzazione del settore avverrà attraverso il nuovo Piano di Sviluppo Rurale che premia gli allevatori che svolgono la propria attività in maniera compatibile con il territorio in particolare dei SIC.La reintroduzione del camoscio appenninico è generalmente considerata un fattore positivo dalle popolazioni locali, perché interferisce poco con le attività produttive, salvo che per alcuni specifici aspetti della pastorizia e dell'allevamento del bestiame, adeguatamente descritti ed affrontati nel progetto.


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