Luca Biribanti
Si è svolto ieri, presso la sala conferenza dell’ospedale di Terni, il convegno sulla “Tutela del diritto del minore alla bigenorialità: perchè la vita dei bambini si costruisce sulla somma degli affetti”. L’argomento è di grande attualità, vista l’esponenziale crescita di coppie separate e le conseguenze, spesso disastrose, a carico dei figli minori. Grazie all’impegno dell’associazione onlus “Tu sei mio figlio” e alla collaborazione dell’ Afad Terni si è potuto realizzare un dibattito di grande profilo con personaggi importanti della vita politica, giuridica e sociale. Al tavolo dei relatori, coordinato e moderato dalla psicologa Alessandra Parroni, erano invitati: Milena Falaschi, consigliere della Corte Suprema di Cassazione, Melita Cavallo, presidente Tribunale Minori di Roma, Maria Letizia De Luca, giudice del Tribunale di Terni, Matteo Santini, presidente del centro nazionale studi e ricerche sul diritto della famiglia e dei minori, Carlo Ioppoli, presidente Anfi nazionale, Pierfrancesco Bresolini e Stefano Maresca, dell’Adiantum, Alessio Cardinale, segretario nazionale Adiantum, Eleonora Montanari, presidente dell’associazione “Tu sei mio figlio” Guido Botondi, presidente Afad. Al convegno hanno preso parte anche gli studenti della Facoltà di Psicologia di Perugia che hanno seguito con interesse gli argomenti dibattuti in sala. Si è cercato di fare chiarezza sul concetto di bigenitorialità, “ovvero la possibilità di mantenere la stabilità dei rapporti con il padre e con la madre dopo una separazione – così la dottoressa Alessandra Parroni ci ha spiegato – è un interesse primario e un fondamentale diritto del minore. Per i genitori non è un potere nei confronti dei figli, ma al contrario impegno e responsabilità. Dal punto di vista giuridico-legale, con l’omologa della separazione i coniugi vengono autorizzati alla cessazione parziale degli obblighi reciprocamente assunti con il matrimonio. La fase successiva – ha proseguito la dottoressa – comporta la ridefinizione dell'”assetto esistenziale” di tutti i componenti della famiglia: dallo spostamento della residenza di uno dei coniugi alla determinazione delle suddivisioni patrimoniali e degli obblighi economici. In questa circostanza spesso la separazione diviene il “luogo pubblico” del conflitto e frequentemente le vittime sono i figli,quando utilizzati come strumento di dispute di carattere economico e affettivo. Le relazioni interpersonali subiscono cambiamenti, vengono “rinegoziate”, e riguardano, oltre i componenti della famiglia nucleare (padre, madre, figli), anche i membri delle famiglie di origine degli ex-coniugi e le amicizie e frequentazioni comuni. A questo momento segue una stabilizzazione e inizia il cosiddetto “divorzio psichico”, in cui avviene la riorganizzazione della rete di relazioni sociali e l’acquisizione di un nuovo stile di vita. Durante tale processo, che può essere anche molto lungo, i figli sono barche alla deriva in un mare in tempesta, in balia delle onde e delle perturbazioni create dai temi, spesso rivendicativi e rancorosi, espressi più o meno esplicitamente dai genitori”.
Cosa ci può dire riguardo la sua esperienza sul campo?
“Lavoro da molti anni con coppie di separandi e neo-separati e la cosa più difficile da comprendere per loro è che dopo la separazione, quando c’è una prole, non si torna “single”: la famiglia a cui si è data origine resta per sempre, non si cancella e non si ricostruisce con nuovi partner. Un adulto non diviene genitore di figli non suoi e non può compensare con la sua presenza l’eventuale assenza o inadeguatezza dell’ex-coniuge. Occorre allora che la coppia genitoriale sia aiutata a capire che un “cattivo” coniuge può comunque essere un buon padre o una buona madre. La mediazione effettuata dallo psicologo serve ad attenuare la conflittualità e a spostare i contenuti della comunicazione da ciò che concerne il rapporto di coppia (rivendicazioni, rancori, attribuzioni reciproche di “colpa”) a quanto riguarda invece i figli ( quando e come comunicare loro la decisione di separarsi, l’organizzazione quotidiana, il racconto di quello che fanno e dei sentimenti che esprimono, i bisogni che emergono, le regole educative condivise, il rapporto con i nonni e con le figure affettivamente significative). Ciò vuol dire imparare a relazionarsi non più come coppia coniugale, ma “genitoriale” e familiare. Ovviamente una separazione costituisce sempre e comunque una frattura esistenziale e comporta per ciascuno la ridefinizione, oltre che dello stile di vita, anche della propria identità e obiettivi esistenziali. In alcuni casi è come addentrarsi in un bosco e smarrire il sentiero. E’ necessario allora salire su un albero e guardarsi intorno da una prospettiva diversa, ampliare la visione per individuare la direzione in cui incamminarsi. In tali situazioni il ruolo dello psicologo come mediatore è quello dell’albero su cui salire, al fine di facilitare l’elaborazione di una “buona” e completa separazione. Saper effettuare il passaggio verso una “buona” separazione significa, paradossalmente, “salvare la famiglia” ai propri figli, interiorizzare il termine di un progetto di vita senza viverlo come un fallimento, riacquistare la fiducia nel futuro e la serenità indispensabili per garantire loro la conservazione di punti di riferimento autorevoli. Una volta, durante un colloquio, una bambina di sette anni, i cui genitori stavano affrontando una separazione giudiziale molto conflittuale, mi disse che la cosa che più desiderava in quel momento era che i genitori fossero “allegri, un pò felici”. In tanti anni di lavoro in effetti ho maturato la convinzione che un genitore “un pò felice” sia indubbiamente anche un genitore migliore, in grado di trasmettere la sicurezza e la continuità indispensabili allo sviluppo psicologico e affettivo di un figlio”.
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