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Omicidio Ovidio, il patrigno assassino verso l’appello

Sara Minciaroni

Omicidio Ovidio, il patrigno assassino verso l’appello

Pietro Cesarini reo confesso già condannato a 30 anni di carcere affronterà il processo di secondo grado
Dom, 25/01/2015 - 11:23

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Sulla morte del diciassettenne di Pietrafitta di Piegaro, massacrato a colpi di matterello dal patrigno Pietro Cesarini c’è ancora un capitolo da scrivere. Si tratta del processo d’appello a carico del sessantunenne la cui data per la prima udienza è stata fissata dalla Corte d’Assise nella seconda metà di febbraio. Ovidio Stamulis è stato ucciso il 5 ottobre del 2012 e l’ex camionista di Monterotondo aveva da subito ammesso le sue responsabilità.

La sentenza del Gup di Terni Luigi Panariello (il processo si è svolto con il rito abbreviato) è arrivata lo scorso 31 gennaio e al Cesarini (condannato a 30 anni) sono state addebitate anche le aggravanti della crudeltà per le modalità con cui è stato commesso il crimine e quella per aver agito “nei confronti di un affine in linea diretta”. Il giudice ha invece ritenuto di dover escludere da un lato le aggravanti per futili motivi e dall’altro le attenuanti generiche. Il Cesarini, è stato anche condannato al risarcimento di una provvisionale di 200 mila euro di cui 150 mila riconosciuti alla madre di Ovidio e 50 mila al fratellino che quest’anno compirà 10 anni.

Altro destino hanno invece avuto i capi di imputazione B,C e D quelli riguardanti cioè le presunte violenze sessuali nei confronti della moglie e i maltrattamenti in famiglia nei confronti sia di Ovidio che della madre. Per questi capi di imputazione, come richiesto tra l’altro dal procuratore Francesco Novarese e dal sostituto Flaminio Monteleone, l’imputato è stato assolto per non aver commesso il fatto, in base al comma 2 dell’articolo 530 del codice penale, che descrive l’insufficienza della prova.

La difesa aveva da subito annunciato ricorso. Per l’avvocato Francesca Massi di quella sentenza contò soprattutto il fatto che Pietro Cesarini venne riconosciuto come il responsabile dell’omicidio, in preda ad un raptus, ma senza premeditazione e che non venne giudicato come “un mostro” all’interno delle mura domestiche. Per gli avvocati Maori e Donati, che difendono il figlio e la moglie Florentina era invece ancora tutto da dimostrare “il martirio subìto dalla donna”.

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