La prima sezione della Corte di Cassazione ha confermato oggi le condanne in via definitiva di Ndrec Laska e Artan Gioka, autori della rapina sfociata nel cruento omicidio di Sergio Scoscia, picchiato a sangue con un martello e della madre Maria Raffaelli, il cui cuore cessò di battere prima di quello del figlio a causa dello spavento dopo essere stata legata ed imbavagliata. Per Perdoda Marjana, considerata la mente e basista della rapina, confermata la condanna a 4 anni e 6 mesi di reclusione.
Era la notte del tra il 5 e il 6 aprile del 2012, teatro del massacro il casolare di Cenerente dove l’ex orafo viveva con la madre. La Corte d’Assise d’Appello di Perugia nel 2014 aveva confermato la condanna all’ergastolo per Ndrec Laska, reo confesso per l’omicidio dopo che il suo dna venne ritrovato sotto l’unghia del cadavere di Sergio Scoscia. Prova che lo incastrò e lo portò ad una condanna all’ergastolo in primo grado. Insieme a lui era stato condannato anche il “palo” Artan Gjoka detto Anton la cui condanna dal primo grado all’appello era passata dall’ergastolo a 20 anni di reclusione.
E’ ancora in corso invece il processo davanti alla Corte d’appello di Perugia il secondo gradi di giudizio per Alfons Gjergji, il terzo componente del commando che a differenza degli altri non aveva scelto di essere giudicato con il rito abbreviato e che in primo grado è stato condannato all’ergastolo con tre anni di isolamento diurno.
L’omicidio di Cenerente è senza dubbio considerato uno dei più tremendi fatti di sangue che l’Umbria ricordi. Sergio Scoscia è morto asfissiato, strangolato dopo esser stato colpito a martellate alla schiena e al volto, con lo stesso martello recuperato dagli inquirenti sul luogo del delitto. Almeno dodici i colpi sferrati, alcuni dei quali inflitti dopo che l’uomo era già a terra, privo di conoscenza. Una violenza inaudita. Svariati colpi che lo hanno devastato, anche al volto. Lasciandolo a terra, riverso nel suo stesso sangue a pochi centimetri dalla madre, Maria Raffaelli, morta in seguito al malore che l’ha colta alla vista del figlio torturato e allo spavento per l’assalto di incredibile violenza. Particolari agghiacciati emersi nel corso dei processi per dare conto del tipo di aggressione che subirono madre e figlio dal gruppo di criminali che “cercavano l’oro” e che alla fine del massacro si spartirono secondo quanto ricostruito dagli uomini della Mobile di Marco Chiacchiera coordinati dal pm Claudio Cicchella, un bottino di poco più di trecento euro a testa.