Maxi risarcimento per assenze dei dipendenti pubblici, da Assisi il caso finisce alla Corte Costituzionale - Tuttoggi.info

Maxi risarcimento per assenze dei dipendenti pubblici, da Assisi il caso finisce alla Corte Costituzionale

Flavia Pagliochini

Maxi risarcimento per assenze dei dipendenti pubblici, da Assisi il caso finisce alla Corte Costituzionale

La ex dipendente infedele, condannata a pagare 6 mesi di stipendio al Comune per danno all’immagine, sostiene che la norma è incostituzionale: e la Corte dei Conti sospende la maxi multa
Ven, 12/10/2018 - 16:08

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Torna alla ribalta delle cronache il caso della dipendente infedele del Comune di Assisi, licenziata dall’Ente dopo aver attestato (falsamente, secondo il Comune; regolarmente secondo l’ex dipendente, che sostiene di aver saltato la pausa pranzo) di aver lavorato quattro ore in più in altrettante date dei primi mesi del 2017. Nel Comune di Assisi è presente un marcatempo, assente invece nell’ufficio del turismo dove la dipendente lavorava (e dove i fogli degli orari degli arrivi e delle presenze venivano compilati a mano, spesso a giorni di distanza).

Il licenziamento non è in discussione, ma lo è invece il risarcimento: la Corte dei conti – Presidente dott. Salvatore Nicolella, Consigliere relatore dott. Pasquale Fava, Consigliere dott.ssa Chiara Vetro – ha infatti accolto un’eccezione sollevata dall’avvocato della giovane, Siro Centofanti, secondo cui la pena contabile è sproporzionata al reato. E della vicenda sarà interessata la Corte Costituzionale, visto che la pena è stata comminata in base a una norma del decreto attuativo (articolo 1 del decreto legislativo 116) della riforma Madia, che ha stabilito la condanna per danno di immagine provocato dai cosiddetti “furbetti del cartellino” all’ente di appartenenza, prevedendo un minimo di sanzione non inferiore a sei mesi di stipendio.

La ex dipendente del Comune, oltre ai 64 euro per le quattro ore di stipendio mancato, dovrà pagare 20.000 euro, che però il legale ritiene sproporzionati, una considerazione che la Corte dei Conti fa propria ritenendola “eccesiva, sproporzionata e manifestamente irragionevole”. In particolare, l’avvocato contesta due punti, che la legge 124/2015, appunto la Madia, non conteneva una delega al Governo per introdurre norma in materia di responsabilità contabile, sia che la previsione di un danno, pari alla retribuzione di sei mesi, viene ritenuta “assurda e sperequata” rispetto ad assenze di poche decine di minuti.

E infatti il Comune – nel ribadire la correttezza del suo operato – spiega che a questi rilievi non ha nulla da eccepire. “La dipendente licenziata – è scritto tra l’altro in una nota – ha modificato l’orario di uscita, anticipando di un’ora rispetto a quello da lei dichiarato e attestato, rivelando una predeterminazione intenzionale. Da ciò la condanna, salvo discutere sull’entità della sanzione. Il Comune di Assisi ha collaborato con le forze dell’ordine per l’acquisizione delle fonti di prova utili per il processo penale, in cui si costituirà parte civile, e ha assunto tutte le determinazioni in sede disciplinare, con il licenziamento in tronco della dipendente infedele, così come ha provveduto ad informare la Procura regionale della Corte dei Conti per l’inizio dell’azione di responsabilità”. Anche il Comune però ammette che “la seconda parte della sentenza effettivamente solleva, con ampia disamina alla luce anche delle norme sovranazionali e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dubbi di costituzionalità della norma, anche per difetto di delega del legislatore delegante, e su questo sarà chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale, che dovrà dire se il legislatore delegato abbia superato i limiti della delega e se abbia esercitato legittimamente la sua discrezionalità legislativa. La sentenza contiene, però, altri elementi di sicuro interesse per l’opinione pubblica”.

E se l’avvocato Centofanti, e con lui la ex dipendente comunale, vedrà riconosciute le sue ragionila norma che prevede il danno minimo di 6 mesi verrebbe annullata e decadrebbe per tutti i dipendenti pubblici italiani, con annessi possibili ricorsi da parte di chi ha già pagato.


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