Avendo cura di non sconfinare nel blasfemo, possiamo ragionevolmente affermare che per un melomane La Bohème di Giacomo Puccini è un po’ come il Padre nostro, un vero atto di fede. Ed i motivi sono molti, ad iniziare dalla straordinaria musica scritta per l’opera, nuova, a tratti rivoluzionaria e avvolgente, fedele compagna di ogni passaggio librettistico del duo Giuseppe Giacosa-Luigi Illica, che invece ebbero più di una difficoltà ad adattare il testo alla struttura operistica, in un certo senso piuttosto rigida. Non si contano più quante rappresentazioni di questo capolavoro sono andate in scena dopo il debutto nel 1896, al Regio di Torino, con la direzione d’orchestra di un allora poco meno che trentenne, Arturo Toscanini.
Allestita in tutte le fogge, con ogni tipo di costume, scena e ambientazione temporale, terribile banco di prova per la maturità vocale dei cantanti che si cimentano con il genere pucciniano, La Bohème è ancora oggi un opera che riempie il teatro “a prescindere”. Forse merito della diffusione mediatica di alcune celebri arie dell’opera da parte di cantanti-monumento come fu Luciano Pavarotti, che La Bohème “frequentò” più di una volta.
Anche nelle varie stagioni del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, il capolavoro pucciniano è stato messo in scena più volte, soprattutto per la forte valenza educativa che rappresenta per i giovanissimi cantanti del Concorso Europeo, avviati alla carriera.
Chi scrive ricorda con particolare emozione le due edizioni del 1978 e del 1981, con la direzione d’orchestra del M° Carlo Frajese, nelle quali, immeritata comparsa, ricoprimmo il ruolo di Tambur Maggiore, ovvero una sorta di giannizzero-mazziere che batte il tempo in testa alla colonna delle guardie che sfilano davanti al Caffè Momus nel secondo Quadro dell’opera.
La divagazione personale ci è utile però per far comprendere come nel patrimonio delle conoscenze personali, anche di chi non si può definire melomane, arie de La Bohème come “…che gelida manina”, siano ormai note quasi come Affari Tuoi.
Pregevole dunque la scelta del Lirico di rappresentare ancora una volta l’opera pucciniana nel corso della 69^ Stagione subito dopo una serie strepitosa di novità come Tarataratarata, Christmas Eve e La Finta Tedesca. Un tuffo nel rigore esecutivo, contraddistinto anche da scelte precise come quella delle scene, gli storici fondali e quinte dipinte di Ercole Sormani e Marzio Cardaropoli, ed i costumi tutti riconducibili all’ambientazione storica dell’opera, ed un ottimo lavoro di supervisione nell’allestimento scenico di Andrea Stanisci. Dunque il regista Giorgio Bongiovanni, ormai una presenza rassicurante al Lirico Sperimentale, dedica tutta la sua inventiva solo ai movimenti di scena e alla caratterizzazione dei personaggi, fornendo di un brio insospettabile alcuni dei quadri dell’ opera, e restituendo al pubblico una vivacità del contesto bohemien parigino, che spesso nella traccia primaria del dramma pucciniano, passa in secondo piano.
Merito anche di alcuni dei protagonisti di Spoleto, che hanno sufficiente gioventù anagrafica e forza vocale per rendere al meglio l’idea di un gruppo di scapigliati e squattrinati di talento, chiusi in una soffitta fredda e buia di inizio ottocento.
Stupendo il secondo Quadro composto da Bongiovanni, Chez Momus, animato come non ci si aspetta, affollato, colorato, persino rumoroso, ma al tempo stesso geometrico luogo di esecuzione di più voci, di gag librettistiche e sceniche in cui il talento di tutti è messo a dura prova. A partire dal Coro delle Voci bianche del Lirico diretto da Mauro Presazzi, e dal Coro del Lirico, efficaci e mai sopra le righe.
Applauditissimi i cantanti. La soprano Chiara Isotton, una Mimì energica difronte al male che la consuma, mai rassegnata, con una voce squillante e a tratti indomabile. Una Musetta strepitosa, la soprano Sabrina Cortese, ottimo recitativo e voce sicura in una presenza scenica decisamente aderente al personaggio. Giulio Boschetti, baritono, da vita ad un Marcello imperioso, con una voce tonante, in alcuni passaggi anche troppo, ma che nel corso dell’opera mostra tutte le sue doti attoriali in maniera inequivocabile. Indomabile il baritono Tommaso Barea che mette in scena uno Schaunard scanzonato, atletico e vocalmente cristallino, senza incrinature anche quando duella con il sodale Colline a colpi di paletta per il fuoco del camino, rotolando per il palcoscenico da consumato stuntman.
Il basso Alessandro Tirotta, Colline, una presenza amalgamata e indispensabile nel quartetto di scavezzacollo parigini, con una voce dal registro non molto profondo, ma ineccepibile, a cui tocca una delle arie più dolci e tristi al tempo stesso di tutta l’opera, “…Vecchia zimarra”. Il segno che il genio compositivo a volte sta nei dettagli.
Un simpatico e divertente Maurizio Cascianelli, basso, nella doppia parte di Benoit-Alcindoro.
Ed infine il tenore Ivaylo Mihaylov, Rodolfo, su cui vanno spese due parole in più. Quella di Rodolfo è una parte che nel contesto dell’opera rappresenta forse più marcatamente che negli altri personaggi la dualità della vita. Non a caso tra le professioni dei 4 la sua è quella di poeta, fatto questo che non gli impedisce di essere anche bon vivant e sciupafemmine. Con la differenza però del ravvedimento. Rodolfo, nel corso dell’opera riconsidera il suo rapporto con Mimì ed infine soffrirà. Per un ruolo come questo la prestanza vocale e attoriale è indispensabile, e non tanto per i passaggi tonali arditi che Puccini dissemina nelle arie che lo riguardano, ma perchè le due cose sono inscindibili nell’economia dell’ opera che è un continuo bilanciamento tra dramma della vita e gioia di vivere.
Ahimè, Ivaylo Mihaylov, ha purtroppo una voce appena sufficiente, al punto che in alcuni passaggi è decisamente sovrastato dall’Orchestra O.T.Li. S. che pure ha suonato in maniera degnissima, senza colpi di testa, merito dell’esperto direttore Carlo Palleschi, che ha un bel da fare nell’evitare che ciò accada. Lo stesso Marcello-Giulio Boschetti, deve trattenersi in un paio di passaggi del quarto Quadro per non superarlo nei toni alti.
Tecnicamente il tenore è inappuntabile, e vocalmente esegue tutto quello che è scritto in partitura, ma francamente in quanto a presenza scenica e potenza vocale la distanza dagli altri protagonisti è evidente. Il che non costituisce reato di lesa maestà sia chiaro. E’ solo andata così !
Nel complesso un ottimo nuovo allestimento dell’opera da parte del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, che potrebbe a breve riservare qualche sorpresa. Alcune indiscrezioni raccolte nel foyer del Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, dicono di promettenti contatti con l’Oriente per una prossima tournèe. Sarebbe un nuovo ed eccezionale riconoscimento per l’ente lirico spoletino che già in altre occasioni ha dato lustro di se all’estero. Ed il piatto forte, nel caso di accordo, sarà proprio La Bohème. Incrociamo le dita.
Da segnalare il quasi il soldout nella vendita dei biglietti per tutte è 3 le repliche spoletine. La sera della prima, venerdì 25 settembre, erano presenti in sala il sindaco di Spoleto Fabrizio Cardarelli, il vicesindaco Maria Elena Bececco, l’assessore alla cultura Gianni Quaranta, che alla fine dello spettacolo si sono uniti al pubblico, prima in un applauso lungo e commosso, poi nella fila ai camerini per complimentarsi con gli artisti.
Da domani Lunedì 28 settembre iniziano le repliche de La Bohème in giro per tutta l’Umbria a partire da Teatro Morlacchi di Perugia, con replica il 29 settembre. Seguiranno :
Assisi il 30 settembre
Città di Castello il 1 ottobre
Todi il 2 ottobre
Orvieto il 3 ottobre
Come sempre, da non perdere, perchè in fondo La Bohème del Lirico è meglio di Affari Tuoi.
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