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Lettura di un artista: il Professor d'Atanasio spiega Vermeer

Redazione

Lettura di un artista: il Professor d'Atanasio spiega Vermeer

Dom, 23/12/2012 - 13:38

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Alberto d'Atanasio

La mostra “Vermeer il secolo d’oro dell’arte olandese” alle scuderie del Quirinale, iniziata il 27 settembre 2012 è un evento che fa della nostra Patria un osservatorio unico su ciò che è la cultura moderna della storicità dell’arte internazionale, e almeno in questo in Italia siamo davvero primi. Grande deve essere stato lo sforzo organizzativo dei curatori, Sandrina Bandera, soprintendente per il Patrimonio artistico di Milano, Walter Liedtke, responsabile del comparto European Paintings del Metropolitan di New York e Arthur K. Wheelock, curatore del settore Northern Baroque Paintings alla National Gallery di Washington che hanno permesso al Bel Paese di avere un altro primato, il più alto numero di opere esposte del maestro di Delft. L’altro primato che corona il lavoro degli organizzatori, si sta ottenendo con il numero dei visitatori che supera i duecentomila a soli due mesi dall’inaugurazione. Jan o Jannis Vermeer svela a Roma i tratti fantastici del suo fare arte del suo dialogare con la luce e con una riproduzione del vero che nessuna tecnica fotografica potrà mai restituire. Otto sono i quadri del maestro esposti nelle sale delle scuderie del Quirinale di dimensioni assai ridotte, ma la magia di cui si diventa partecipi è talmente coinvolgente che il visitatore si sente come rapito e proiettato in un’atmosfera intima, domestica, quasi segreta. Ho visto e percepito, nelle sale magnificamente allestite, un silenzio che sapeva di meditazione e di chiara distinta emozione, stupore. Ho sentito riecheggiare le parole di Marcel Proust: “Vermeer, il più grande pittore di tutti i tempi”. Poco si sa di quest’artista la cui fama per quanto riguarda l’arte olandese è seconda solo a quella di Rembrandt. Tutto ciò che sappiamo sulla sua vita e sulla formazione artistica sono pochi dettagli e scarni documenti, tutto il resto è frutto di congetture. Figlio di Reynier Jansoon ( il cognome Vermeer non appare mai prima del 1630) che esercitò almeno tre diverse attività a Delft prima di tutto fu tessitore, produceva un particolare e costoso tessuto di seta denominato “caffa” e da qui forse la caratteristica di Jan di riprodurre fedelmente i tessuti dando l’idea della trama rivida degli arazzi o l’impressione precisa della lucentezza dei tessuti preziosi. Successivamente Vermeer padre svolge l’attività di albergatore, da alcuni carteggi emerge infatti che nel 1630 gestì una locanda dal nome emblematico De Vliegende Vos (la volpe volante). Ma ciò che fu importante per la formazione del giovane Jan fu la terza attività che il padre svolse contemporaneamente a quelle di tessitore e albergatore, Reynier Janz fu infatti anche mercante d’arte come risulta dalla documentazione della corporazione di San Luca nell’anno 1631. Jan era secondogenito di Reynier e Digna Baltrens famiglia protestante, fu battezzato nella chiesa nuova di Delft il 31 ottobre 1632. Quasi nulla si sa della sua infanzia e della sua formazione artistica certo è che dai dipinti dell’epoca le locande vengono descritte come luoghi turbolenti, frequentati da gente d’ogni tipo e quindi ricche di stimoli per un giovane che stava ampliando la sua conoscenza della pittura con i numerosi artisti che vendevano i quadri al padre. All’inizio del 1640 l’attività di mercante d’arte costituiva la principale fonte di ricchezza dei Vermeer e anche questo può aver incoraggiato Jan a intraprendere la carriera artistica. I documenti della corporazione di San Luca registrano il nome di Johannis Vermer come pittore il 29 dicembre del 1653 col numero 78, a soli 21 anni. Alla sua formazione artistica contribuirono le conoscenze con Carel Fabritius e Leonaert Bramer; il primo come annotò il poeta Arnold Bon, segnò una modalità nel fare arte che Vermeer proseguì dopo la morte di Fabritius nel 1654 in seguito all’esplosione del deposito delle polveri da sparo, ma Bramer certamente fu fondamentale nella vita relazionale di Jan perché fece in modo che si realizzassero le nozze con Catharina Bolnes, una ragazza appartenente a una famiglia cattolica e molto benestante. La madre di lei, Maria Thins, era molto contraria alle nozze e cambiò idea solo per l’intercessione di Leonaert che pare sborsò non pochi fiorini e un quadro: la mezzana che Vermeer riprodusse sullo sfondo di alcuni suoi quadri, tra questi: signora seduta alla spinetta e concerto a tre; quasi a voler lasciare un segno tangibile della sua storia personale nell’atmosfera domestica che mirabilmente riproduceva. Vermeer fece di tutto per acquietare la futura suocera e per dimostrare la sua ferma decisione a sposare Catharina si convertì al cattolicesimo. Ed è dopo questa scelta che i suoi dipinti si vestono di simbolismi religiosi come si nota nell’opera Santa Prassede e Allegoria della Fede. Del suo Matrimonio non sappiamo nulla, si può però dedurre che i due fossero molto uniti perché lui si trasferì nel quartiere cattolico, ebbero quindici figli di cui quattro morirono in tenera età e solo undici crebbero fino ad un’età adulta. Jan Vermeer, già prima del matrimonio, era noto come un valentissimo pittore e la sua fama crebbe molto rapidamente, sempre dagli archivi della corporazione di San Luca, in fatti, si legge che nel 1662 venne eletto alla prestigiosa carica di decano della corporazione, incarico che gli fu rinnovato per altri due anni, dal 1670 al 72; in quest’anno venne chiamato a L’Aia per valutare dodici quadri di scuola italiana, non sono riuscito a sapere quali autori avessero eseguito le opere esaminate da Vermeer, ma la valutazione fu severa e il giudizio trascritto deciso e duro: (“Croste di pessima qualità”).
Poco sappiamo della sua carriera artistica quello che è chiaro che la produzione di Vermeer fu molto scarna, possedeva una tecnica lenta e laboriosa, i prezzi erano molto elevati anche perché usava colori di alta qualità e quindi molto costosi. A conferma di questo c’è una peculiarità che lo distingue dagli altri artisti contemporanei, l’uso del blu, una tonalità che lui posa in molti dipinti e armonizza con altre tinte con una capacità davvero geniale, usò gli accostamenti tonali come un architetto stabilisce lo spazio tra vuoti e pieni. Il blu lapislazzuli che Jan usava era costosissimo all’epoca e lui lo comprava nonostante i debiti accumulati, aggiunti a quelli ereditati dal padre, fossero divenuti insostenibili. Il blu derivava dal lapislazzulo che era importato dalla Cina e dalla Persia, da qui giungeva in Germania, dove veniva triturato, reso polvere e poi venduto agli speziali che a loro volta lo mettevano a disposizione degli artisti a prezzi altissimi. Vermeer usava il blu per ottenere il lucido riflesso delle sete e dei tessuti preziosi. L’uso del blu e delle sue tonalità nelle opere del maestro di Delft è autentica poesia, nei suoi quadri questo colore è messo quasi fosse un contrappunto musicale, ed è spazio che dona profondità ad una monocroma parete, oppure è il colore del vestito che equilibra i toni accessi dei risvolti di un colletto, di una gonna. Jan elabora la preziosità del lapislazzuli con la stessa capacità dei pittori rinascimentali e crea assonanze con i rossi e con le tonalità complementari al blu, con il violetto e con il verde, ne sono un esempio evidente la fanciulla con il cappello rosso che fa da manifesto alla mostra, la fanciulla col bicchiere di vino e la donna in piedi alla spinetta. Il blu di Vermeer è la profondità dei ricordi che tramite il quadro diviene memoria e promulga il suo eco nell’infinito. Vermeer riesce a creare in maniera mirabile un’armonia tra oggetti, figure e tonalità complementari in una rappresentazione che è poi la restituzione dal vero, con la tecnica pittorica, di un interno domestico. Ma non c’è la visione didascalica, narrativa e talvolta fredda che si denota nei dipinti dei suoi contemporanei, ciò che Jan realizza, in maniera geniale, è il dare l’idea di uno spazio che si manifesta e al contempo si disgrega con la luce. È come se quest’artista avesse a cuore la definizione dell’aria, dell’atmosfera di un microcosmo dipinto. Nei dipinti di Vermeer la luce che entra dalla finestra definisce le cose e le figure perché se ne percepisca l’emanazione nel tempo e nello spazio più che la loro oggettiva presenza. Ciò che quest’artista è riuscito a qualificare è il tempo esatto in cui un’emozione si genera. È come se la luce e i colori fossero gli ingredienti di un’alchimia che fissa l’espressione di un fatto, di un evento che a che fare con l’anima e più che con le cose. Le persone stesse nei quadri di Vermeer sono testimoni di un vento interiore che li fa protagonisti della scena dipinta, per cui i quadri alle pareti, gli arazzi, le carte geografiche, gli sguardi, i monili indossati dalle donne altro non sono che le rive d’isole dove approdare perché la mente non naufraghi rapita dall’immagine illusoria. In questo modo il maestro permette che l’osservatore abbia cognizione della razionalità nel riconoscere gli oggetti dipinti e al contempo lo stupore nel riconoscere uno stato d’animo.
È fantastico notare come questo Maestro abbia usato la sua casa come studio di posa. Nei suoi quadri si notano spesso i medesimi pavimenti, la medesima finestra, le medesime suppellettili, la stessa sedia con i pomi a guisa di musi leonini. Sembrerebbe che lo scopo del pittore sia stato, essenzialmente, quello di rappresentare l’infinitamente piccolo del microcosmo domestico perché in esso si potesse ritrovare la magnificenza dell’infinitamente grande. È così che l’osservatore, nel sorriso di una ragazza che accorda il liuto o che ci guarda mentre sfiora i tasti del virginale, si senta invitato all’interno di uno spazio che è una stanza solo nell’evidenza, ma in effetti altro non è che l’antro dove si muovono sensazioni, sentimenti ed emozioni. Il pittore ha fermato l’attimo e non l’ha fatto disegnando le figure nella fissità classicistica, ma riproducendo l’atmosfera stessa che l’evento dipinto ha emanato ed emana. La stessa Santa Prassede tratta da un dipinto di Felice Ficherelli, uno dei dipinti del “dopo conversione al cattolicesimo”, (anche se qualcuno ritiene non sia stata dipinta nel 1655 ma sia invece attribuibile al periodo giovanile) è costruita nell’atto in cui si rivela la praticità che rese la fanciulla martire, ed anche qui la luce e il colore donano la freschezza di un fatto che si dilata nel tempo e nello spazio quasi a parafrasare la teoria agostiniana. Potrei affermare che la tecnica di Vermeer anticipa gli impressionisti non tanto e non solo per i dettagli che si rivelano con piccoli tratti di colore quanto per il concetto “filosofico estetico” in cui l’artista sente l’esigenza di fissare un momento preciso che si realizza in un contesto che si rivela immerso nella modulazione di una luce solare, che nel caso del maestro di Delft, entra da una finestra. C’è un altro aspetto che pone Vermeer in parallelo con gli impressionisti; questi erano suggestionati dalle nuove scoperte della fisica sull’ottica e sulla fotografia per il maestro di Delft si ipotizza l’uso della “camera oscura”. Questo strumento, già in uso alla fine del XVII secolo e probabilmente utilizzato anche da Caravaggio come suggerisce Andrea Camilleri nel libro “il colore del sole” edito da Mondadori 2007, proietta una immagine su un supporto utilizzando uno specchio inclinato e una lente giustapposta. L’artista poteva dare un abbozzo complessivo a matita e rifinire poi con i colori, ma soprattutto aveva l’ingrandimento dei dettagli dello sfondo. I dipinti che più di altri fanno dedurre l’uso della camera oscura, sono militare e giovinetta sorridente, in cui la figura maschile è leggermente troppo grande; concerto a tre in cui il pavimento degrada in maniera diversa rispetto agli oggetti e la già citata, “ragazza con cappello rosso” in cui l’arazzo che si staglia dietro ha quasi un effetto astratto e sarebbe di difficile lettura se non fosse dipinto anche in altri quadri. Tuttavia l’esame a raggi x delle opere di Vermeer ha rilevato l’abitudine dell’artista di intervenire di continuo sulle sue immagini e questo fa dedurre che non le preparava con abbozzi preliminari. Certo è che quando la luce del sole su un oggetto proiettato attraverso la camera oscura, l’immagine pare disgregarsi, dissolversi in una mescolanza di luce colori e ombre. Nel 1675 ancora affannato dai debiti muore il funerale si tenne nella chiesa vecchia di Delft. Per tutto il diciottesimo secolo Jan Vermeer venne completamente dimenticato fu grazie a Théophile Thoré avvocato e giornalista con la predilezione per l’arte naturalistica olandese che si riscoprì l’arte e il genio di Jan Vermeer, un Artista che seppe unire un fare arte mirabile con la poesia del quotidiano, l’inifinitamente piccolo che rivela l’infinitamente grande. La mostra chiuderà i battenti il 20 Gennaio 2013.

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