Era uno degli appuntamenti più attesi al Festival di Spoleto il balletto che ieri sera, sul palco del Teatro Romano, ha visto il debutto della L.A. Dance Project di Benjamin Millepied. Che però non ha saputo incontrare le aspettative del pubblico, accorso numeroso come sempre. Ad aprire un ‘classico’ del giovane coreografo francese (36 anni) che il prossimo anno dirigerà il corpo di ballo dell’Opéra di Parigi, Closer. Forse la giovane età dei ballerini e la mancanza quindi di quella maturità che la coreografia richiede è riuscita appena a scaldare lo spettatore. Ma è con il secondo quadro – Winterbranch, elaborato nel 1964 da Merce Cunninghan, il padre della post modern dance – che il Romano si è ‘acceso’ registrando le critiche (e i fischi) di parte del pubblico, che qui al Festival non si ricordavano da decenni. Poca danza, zero musica (a parte un frastuono insopportabile, pur scritto da La Monte Young, che alla fine ha fatto rilasciare al pubblico un sospiro liberatorio avvertito anche in piazza della Libertà), solo una buona dose di arte figurativa influenzata da gesti che richiamano al buddhismo zen da cui Cunninghan rimase affascinato. Sono passati troppi anni, 40 in pratica, da quando in America prese piede questo tipo di danza antiaccademica, dove ogni contenuto di natura emotiva o narrativa veniva bandito. Ed è probabilmente per ricordare questo pezzo di storia della danza che l’erede di Nureyev ha deciso di inserire Winterbranch nello spettacolo presentato in prima nazionale a Spoleto.
Costumi a parte, di debole effetto scenico, solo Moving Parts, ideata da Millepied e presentata lo scorso settembre, riscatta in parte una serata che ha rischiato di gettare una luce d’ombra sul programma danza del festival. Stasera si replica alla presenza, fra le altre autorità attese, del ministro Lorenzin e del Capo della polizia Alessandro Pansa.
(Car. Cer.)