“Realtà o verità?” – lo chiede il Diavolo in persona, o meglio: lo chiede Woland, il Diavolo interpretato da Michele Riondino nel debutto di ieri sera de “Il Maestro e Margherita” di Andrea Baracco al Solomeo Cucinelli.
Lo spettacolo è superbo, così come è stato superbo il lavoro svolto sul testo originale da Letizia Russo: “Il Maestro e Margherita” è uno dei romanzi più ‘difficili’ della letteratura del ‘900, ma, soprattutto è un romanzo russo del ‘900 ed è un romanzo di Michail Bulgakov. Riuscire a trovare la via per un riadattamento teatrale è già stato un successo, ma l’allestimento complessivo, un capolavoro.
Sceneggiatura, scenografia, musiche, costumi, caratterizzazione dei personaggi, tempi, tutto è un fluire armonioso di grande impatto emotivo che pone il pubblico di fronte ad alcuni dei grandi interrogativi dell’umanità: “Dio esiste? Satana esiste? Se Dio esiste perché esiste il male? Se Satana esiste perché Dio non lo argina? L’uomo è libero di scegliere nella costante lotta tra il bene e il male?”. Bulgakov è una specie di Kafka ‘capovolto’; è il ‘male’ che salva ‘i buoni’ (abbandonando qualsiasi visione manichea tra queste due forze che, invece, si compenetrano) e la punizione, il castigo, non si abbattano sugli ‘inetti’, ma sui burocrati e i segmenti della società che Bulgakov considerava ingranaggi dell’ordine opprimente.
Il riadattamento del testo, escludendo parte del graffio di Bulgakov sulla feroce critica contro la dittatura, mantiene il garbato modello di Flaubert nell’umanità e la dolcezza di Gesù, nell’eterea Margherita, ma è molto più incisivo l’altro modello del “Faust” di Goethe.
“Io sono una parte di quella potenza che vuole costantemente il male e opera costantemente il bene” (Faust) – è questa la missione di Woland-Riondino, mefistofelico, ironico, potente, macabro, che si muove su due piani temporali (quello legato alla storia del Maestro e Margherita e quello legato alla vicenda di Ponzio Pilato) con sbalorditiva efficacia, senza creare ‘traumi’ alla sequenzialità della fabula.
Behemot, Azazello, Hella, Korov’ev, nessuno poteva immaginare in modo più vivido e verosimile questi personaggi del ‘sottosuolo’. Il Maestro è forse volutamente il personaggio più ‘anonimo’, è l’inetto, incapace di agire, ancorato al suo fallimento di scrittore (non a caso Francesco Bonomo è anche Ponzio Pilato tormentato dal mal di testa per l’incapacità di comprendere la bellezza e il messaggio salvifico di Cristo ), che, per contrasto, fa emergere la monumentalità di Margherita (Federica Rosellini).
Margherita è la Margherita di Bulgakov; docile amante segreta e poi strega ‘crudele’. La dolcezza e poi la vendetta, la quiete e poi la tempesta, il bene e poi il male. Margherita è l’eroina dello spettacolo, è il personaggio dinamico che determina, insieme a Woland, lo scorrere degli eventi; è una moderna Medea dai capelli diafani.
Una crema magica la trasforma in ‘regina’ del Sabba al gran ballo di Woland, e Margherita può volare (eccezionale la scena dell’altalena), è diventata una strega e ‘moglie’ di Satana. Una scelta fatta per amore del Maestro, ma anche come emancipazione dalla sua condizione di piccola borghese. Ecco il tema del male e del ‘cannocchiale rovesciato’ (dal piccolo bene al sommo male e dal sommo male al piccolo bene, e viceversa) che tornano: è lei a scegliere Woland per il suo bene, mentre il maestro vorrebbe solo dimenticare. Il finale cambiato è il colpo di genio.
“Tutto sarà giusto, è su questo che è costruito il mondo” – dice Woland nel finale del romanzo, e Margherita accetta di uccidersi pur di liberarsi dall’ingranaggio perverso della società dalla quale si sente estranea ed estraniata.
La scelta conferisce invece a Margherita una ulteriore licenza di eroina. Si uccide e uccide il Maestro, agisce, non subisce. L’ordine costituito è rotto, per sempre, e il passaggio attraverso le porte dell’Inferno dei due amanti è l’atto simbolico dell’avvenuta rivoluzione, tutta femminile.
Fotografie di Guido Mencari | www.gmencari.com