DISAGIO, “ANTI-DIVI” E MARKETING: L’ESPRESSIONISMO DI ARISTIDE LORIA (PHOTOGALLERY) - Tuttoggi.info

DISAGIO, “ANTI-DIVI” E MARKETING: L’ESPRESSIONISMO DI ARISTIDE LORIA (PHOTOGALLERY)

Redazione

DISAGIO, “ANTI-DIVI” E MARKETING: L’ESPRESSIONISMO DI ARISTIDE LORIA (PHOTOGALLERY)

Mer, 06/02/2008 - 10:15

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di Filippo Benedetti Valentini

Olio, pastelli, acrilico, stencil, fotografia e computer. La tecnica è solo un esperimento, l'arte una ricerca. Ventisette anni, nasce e vive a Spoleto. La sua pittura parla diversi linguaggi, ma lo sguardo sa bene dove soffermarsi: individui, punto; presi dal mucchio, dove si confondono, e sbattuti su legno e tela. Vengono alla luce, i perdenti, solo se si cercano: si chiamano Underdogz, e sono gli “anti-divi”, gente comune. Lorìa è riservato, ma guardarlo negli occhi è sufficiente per scoprirne un po'. Poi, si domanda com'è cominciato tutto, il resto…

Quando hai iniziato a dipingere? “Nel 2001, a Firenze. Mi sono iscritto alla facoltà di disegno industriale ed ho studiato grafica, fotografia e disegno. Il primo passo però è stato lo studio della storia dell'arte: sono rimasto colpito da Schiele, l'espressionismo tedesco e la pop art, ma a me la pittura piace tutta. Così ho iniziato con i primi esperimenti, ma poi alcuni li ho distrutti e buttati via…

Distrutti? “Bè, su alcuni ci ho ridipinto sopra…Perché vedi, dipingere su tela costava troppo, allora ho deciso di usare le tavole di legno, per necessità. Poi però, ho visto che la risposta del colore sul legno era migliore. Quindi tuttora preferisco le tavole. Anche il fatto di usare questi sfondi, spesso uguali, è stato determinato dall'elevato costo che hanno le stampe fotografiche su tela, tecnica che avrei preferito sperimentare. Ma avevo voglia di dipingere, perciò ho sviluppato quest'altro filone. Poi faccio anche gli altri”

Il tuo non è un percorso unitario “A me piace portare avanti tre o quattro stili diversi. Ci sono pittori che fanno tutta la vita lo stesso quadro: magari hanno successo con un filone, e martellano sempre con quello. E' una questione di mercato: primo, per dipingere ci vogliono i soldi, secondo, chiaro che si preferisce vendere piuttosto che no. Per me però, c'è un limite”.

Dove sta il confine tra l'arte ed un buon artigianato? “Guarda, se un pittore dovesse cambiare modo di lavorare solo per produrre di più, quella non sarebbe arte. Ma se al tuo modo di dipingere riesci a dare un riscontro economico, è cosa buona. Il mercato dell'arte è molto legato ad alcune “figure”, che soprattutto dall'ultimo dopoguerra decidono il buono e il cattivo tempo. Galleristi, critici. Tra l'altro oggi l'arte è esplosa, in moltissime forme. Quindi molte volte il valore è legato a questioni che hanno poco a che vedere con l'arte stessa”.

E tu sei dentro, oppure guardi da fuori? “Adesso cerco una figura che si occupi dei miei lavori. Io non venderei mai un mio quadro a cinquanta euro, come neanche ad un prezzo altissimo: sarebbe arbitrario ed imbarazzante. Chi sono io per decidere? Ci vuole qualcuno che sappia proporre i miei quadri”.

Cioè il tuo nome “E' come nel marketing: la pubblicità spinge un nome, non un prodotto. Certo, ci sono grandi artisti oggi, ma anche degli altri, secondo me, sopravvalutati. Ma è chiaro: ognuno vuole vivere della propria arte, perché è quello che piace fare. Esattamente come in altre professioni”.

Hai esposto dei quadri, pur sapendo che non avevano la possibilità di essere venduti o che comunque non avevano mercato in assoluto? “No, guarda, io la pittura la faccio per me, e basta. Questo è il mio percorso stilistico. L'esposizione è stata determinata soprattutto dal riscontro positivo nell'aver fatto vedere i miei lavori ad alcune persone. C'è un po' di ambizione e vanità, certamente. Se avessi voluto vendere, non avrei fatto questi lavori. I miei quadri hanno un impatto molto forte: non li metti mica in casa…Si, voglio entrare nel mercato, ma in “un certo” mercato. Vorrei che il mio lavoro fosse apprezzato. Non voglio fare lavori massacranti per due soldi. Detto sinceramente: se per avere un mio quadro qualcuno fosse disposto a pagare bene, sarebbe una soddisfazione. Inoltre potrei dedicare più tempo alla pittura”

Secondo te, un lavoro diventa arte solo quando viene messo dentro una galleria o all'interno di esposizioni? “Io reputo arte tutto ciò che è considerato come tale. Il fatto è che oggi c'è tanta gente brava che non riesce ad emergere. C'è sempre chi decide se una cosa è arte o no ed il contesto è fondamentale. Si pensi alle provocazioni di Duchamp (l'orinatoio “Fontana” del 1917, ndr). Oppure alla rivoluzione cubista che ha preso molto spunto dall'arte africana: quella, prima, non aveva alcun valore in Europa”.

Cosa intendi comunicare attraverso le tue tecniche? “Non so, forse la mia è arte concettuale. Ma quello che faccio io, è né più né meno ciò che vedi… Ci sono delle scelte precise però: ad esempio figure decentrate, decontestualizzate dallo sfondo e senza occhi. E' insomma un filone che racconta il disagio sociale, l'emarginazione. Mi piace tirare fuori degli aspetti che fanno parte di molte più persone di quanto si pensi, più di quanto si riesca a nascondere. Io comunque punto molto più sull'impatto immediato che sulla lunga riflessione.A mio avviso l'arte ha abbandonato da molto tempo queste persone. Siamo tutti noi, insomma”.

Sei convinto che l'arte abbia una importante funzione sociale, insomma “Per me l'arte non sempre serve a molto, ma è un elemento fondamentale per una società. Insomma, voglio dire, un quadro non cambia il mondo, ma arricchisce culturalmente. L'arte è una luce in più. Dovrebbe essere diffusa, insegnata di più nelle scuole, eccetera. C'è anche poco interesse da parte dei più giovani per l'arte. A volte è più facile…come dire…

Consumare piuttosto che riflettere? “Si! Pensa alla televisione, che è scandalosa, e invece potrebbe essere un buon mezzo per divulgare cose migliori delle molte stupidaggini che trasmette. L'arte è troppo ristretta ad un'élite. Io quando ho conosciuto alcuni pittori… mi si è aperto il mondo davanti, capisci? Potrebbe succedere ad altri. Questo non vuol dire che il mio lavoro è più importante di altre forme d'espressione; ma che ad una maggiore diffusione di ciò che è culturalmente valido corrisponderebbe un più ampio ventaglio di possibilità. Così ognuno potrebbe scegliere il linguaggio che preferisce”.

Cosa ti ha spinto a sperimentare nuovi stili, pur trattando le stesse tematiche? “E' stato un modo per sperimentare. Non ho abbandonato lo stile precedente (su sfondi gialli, ndr), ma interessandomi a diversi tipi di pittura, come la pop art e lo stencil, mi sono soffermato molto sull'impatto dei colori, sull'elaborazione grafica e fotografica”.

Quali sono i tuoi nuovi progetti? Stai già pensando a qualcosa di nuovo? “Sul piano pittorico, credo che investirò sulle tele, per realizzare nuovi lavori utilizzando fotografia e stampa digitale. Per il resto, spero che il Festival di Spoleto, quest'anno, possa essere un' opportunità per me ed anche per altri giovani spoletini che hanno bisogno di maggiore visibilità nel campo dell'arte”.


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