Imprenditore, innovatore, legato ad un’associazione di categoria. E ancora: donna, dell’area ternana, proveniente dal settore pubblico. Ma anche, professionista, candidato alle ultime politiche, ex segretario del Pd umbro. Da quando la presidente Marini ha detto che “il cambio di assetto istituzionale (chi non è ancora entrato nella Terza Repubblica può chiamarlo rimpasto, ndr) non è un tabù”, è tornato di gran moda “Indovina Chi?”. Ma come nel celebre gioco, le faccette dei papabili per un posto a Palazzo Donini possono cadere, una dopo l’altra. Che poi, i posti dove recuperare le “eccellenze del partito” sacrificate nelle sfide dei collegi uninominali o far entrare “soggetti della società civile, organizzata e non”, non sono solo quelli in Giunta. Certo, complice l’austerità, il numero delle società pubbliche o partecipate non è più quello di un tempo. Però, ad esempio, c’è chi guarda all’assetto di Sviluppumbria (l’agenzia uscita rafforzata dalle varie riforme) o all’Arpa, sempre più centrale visto il crescente peso dei vincoli ambientali in ogni materia.
Più facile, forse, indovinare i nomi in uscita. Uno è quello dell’assessore Bartolini. Un tecnico per un tecnico, non sconvolgerebbe nulla, né scatenerebbe guerre intestine. L’altro nome è quello di Giuseppe Chianella, l’assessore ai Trasporti che non è salito nemmeno sul Frecciarossa. La sua pecca principale, però, è essere un esponente di quel Psi che non ha lasciato il segno in queste elezioni: né dove ha sostenuto il candidato del Pd (come nel caso di Bocci nel collegio folignate), né dove non ha preso ufficialmente parte alla contesa (ma in casa dem si teme che i socialisti abbiano addirittura remato contro) come nella “fatal Perugia” di Leonelli. Il quale, sentita aria di tramontana già prima di aprire le urne, prospettava a questo e a quel compagno di partito di scaldarsi per entrare in Giunta proprio al posto di Chianella.
Ma al di là della rabbia del candidato-segretario sconfitto, la questione socialista va valutata con qualche attenzione prima di prendere decisioni senza ritorno. Nella Direzione del Pd di mercoledì (anche sulla base delle scelte che farà la Direzione nazionale lunedì) il tema sarà trattato. A dieci giorni esatti dal voto che ha portato il centrodestra ad essere la prima coalizione ed i 5 stelle il primo partito. “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” politico umbro, appunto.
Riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di raccontarli, partendo da domenica 4 marzo.
Leonelli come Bersani
Non è seduto al tavolo di un’osteria e non beve birra. Però l‘immagine del segretario Leonelli da solo nella sede del Pd ad attendere i risultati che vengono comunicati dai seggi, ricorda quella dell’ex segretario dem, poi passato al nemico, ma senza troppo far male (non è riuscito neanche a votare se stesso). Gli altri candidati all’uninominale sono chi nel proprio collegio, chi nel proprio bunker, chi a letto con la febbre. Quelli dei listini proporzionali in ordine sparso. Non c’è neanche il pretesto del derby della Madonnina, rinviato.
I pochi giovani di belle speranze che attendono il verdetto delle urne con il segretario se ne vanno quando capiscono che il cappotto è bello che confezionato.
Su un angolo della nuova sede di via Bonazzi, pacchi di santini e volantini non distribuiti. Sarà stata questa, forse, la causa di una simile sconfitta?
La Bocci-atura
“Ma Bocci che lavoro fa?” si chiede più d’uno all’indomani del risultato che lascia l’ex sottosegretario all’Interno fuori dal Parlamento e, al momento, senza cariche politiche l’uomo che, a soli 22 anni, era stato eletto sindaco della sua Cerreto di Spoleto, senza mai fermarsi più tra Asl, Montana, Regione e Parlamento. Una consolazione per il duo Marini-Leonelli? Ufficialmente no, anche se qualche battuta è scappata. E comunque, dicono sia il segretario (ormai ex) sia la governatrice, scelte diverse per liste e collegi non avrebbero cambiato il risultato.
L’aria “frizzantina” del nord
Tutt’altra aria si respira nelle sedi, spuntate come funghi negli ultimi mesi anche in Umbria, della Lega. Che ha tolto la parola “nord” dal nome, per pescare anche sotto il Rubicone, ma da queste parti ha inviato uno che non ha proprio l’accento col donca. Il commissario senatore Stefano Candiani, alle comunali di due anni fa, diceva di sentire il profumo di un’aria “frizzantina” che spirava anche in Umbria. Il suo naso aveva anticipato solo di qualche mese il profumo (o la puzza, a seconda della sensibilità olfattiva) del cambiamento: la Lega fa un balzo fino al 20% e manda a Roma, dall’Umbria, 4 parlamentari, tanti quanti il Pd. La presidente Marini non ha dubbi: è la Lega l’unico vincitore in Umbria di questa tornata elettorale.
C’era una volta l’Umbria rossa, gli eletti e l’analisi
Sant’Andrea, mezzo miracolo
Conta più aver confermato il vittorioso trend dello storico successo a Perugia o l’aver dovuto cedere all’alleato padano la leadership del centrodestra, in virtù del doppio dei voti presi dal simbolo di Alberto da Giussano? Forza Italia guarda il bicchiere mezzo pieno, ma un po’ mastica amaro. Una mezza delusione mitigata dal sorriso di Raffaele Nevi e Fiammetta Modena, che approdano per la prima volta in Parlamento. Del resto, l’amuleto Romizi, allevato in casa, lo si è dovuto dividere con gli alleati. Crede ancora nel miracolo il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno. Un incarico assegnato alla coordinatrice regionale Polidori (Consob?) gli aprirebbe le porte della capitale. Nulla da fare, invece, per l’incarico di commissario per la ricostruzione: in caso di vittoria di Forza Italia, Berlusconi avrebbe chiamato Bertolaso. Ora, forse, nessuno dei due.
Quattrotorri come a Lourdes
Fratelli d’Italia ha scelto l’Hotel Quattrotorri come proprio quartier generale per trascorrere la lunga notte delle elezioni. Prima ancora che scattino le 23, Prisco dice al suo staff: “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare”. C’è il clima sereno di chi non ha nulla da perdere. La corsa è in salita contro Leonelli. Addirittura proibitiva quella di Zaffini (arrivato più tardi con la moglie Alessia) contro l’uscente Giulietti. Quando arrivano i primi risultati dalle urne per il Senato, qualcuno chiede di verificare la taratura della calcolatrice. “Non diciamo nulla, mancano ancora tante sezioni” è il mantra che Zaffini continua a ripetere. Un applauso accompagna la vittoria matematica: Giulietti non può più rimontare, inizi a pensare al sequel del suo libro, per raccontare il ritorno da Montecitorio a Palazzo Bourbon. A questo punto, anche Prisco ci spera: “Se abbiamo vinto al Senato…”. I risultati, dopo 100 sezioni scrutinate, confermano la vittoria anche alla Camera. Dà però un’occhiataccia a chi è andato a prendere troppo presto una bottiglia di spumante (niente champagne, qui si beve rigorosamente italiano) e non vuole foto. Poi, scatta la festa. Addirittura, per tutto il lunedì confida in un clamoroso ingresso in Parlamento anche Eleonora Pace. Ipotesi poi sfumata. Ma ci si può accontentare dei due parlamentari piazzati: non male per chi naviga intorno al 5%.
Cinquestelle in agrodolce
Primi, senza aver vinto. I cinquestelle guardano quel 27% (mezzo punto in più alla Camera) che, unitamente allo sfaldamento del Pd, significa sorpasso e palma del primo partito in Umbria. Nei collegi uninominali, però, non basta per scucire il cappotto del centrodestra. E nel gioco dei resti, vale “solo” tre parlamentari, i riconfermati Lucidi al Senato e Ciprini e Gallinella alla Camera. I ranghi restano serrati, come annunciano i candidati ai collegi uninominali, pur sconfitti. Tra due anni si vota per le regionali. Certo, per tentare il colpaccio occorrerà fare qualcosa di più, ma l’impresa non è impossibile, vista la volatilità dell’elettorato, anche in Umbria. Resta in attesa Paola Giannetakis: magari ci spera ancora di fare il ministro dell’Interno, qualora Di Maio venga incaricato di formare il nuovo Governo e trovi i voti che mancano. Un viaggio verso il Viminale senza passare dall’Umbria.
Leonelli convoca la segreteria Pd
Un po’ candidato un po’ segretario, ma comunque costretto a portare la croce dello sconfitto, nel “day after” Leonelli convoca la Segreteria del partito. In gran parte gioca in casa, ma non mancano scambi di accuse. Da Perugia si torna a chiedere ragione della composizione delle liste. Molti territori lamentano l’assenza di un proprio nome in lista, visto anche il risultato ottenuto dove di rappresentanti il Pd ne esprimeva invece a iosa. Una riunione che segue di un’ora l’annuncio di Renzi circa le sue “misteriose” dimissioni. Anche Leonelli si dimette, ma ipotizza che possa restare in carica la Segreteria, fino al Congresso. Un’ipotesi rimasta sul campo meno di ventiquattr’ore, perché poi tutti si dimettono. “E comunque a quel Chianella…” afferma l’ultimo che esce prima di chiudere la porta.
Pd, come da copione: Leonelli lascia, ma tenta la reggenza “renziana”
Il guado socialista
La replica di Rometti non si fa attendere: “E’ comprensibile che dopo quanto accaduto all’ex segretario regionale del Pd Leonelli, visto l’esito della propria vicenda politica e personale (il dito entra tutto nella piaga, ndr) si possa perdere lucidità; meno comprensibile che si perda la memoria”. E allora, ecco un breve promemoria: gli assessori li sceglie la presidente della Regione, la quale sa che fu eletta con il voti determinanti dei socialisti. Quanto alla memoria dei fatti più recenti, Rometti ricorda “l’umiliazione politica, deliberata non a Roma, ma a Perugia”, che ha portato all’esclusione dello stesso Rometti da uno dei cinque posti all’uninominale. Ultimo memorandum per l’ex segretario Pd: i candidati che li hanno coinvolti, come Bocci e Damiano, hanno avuto l’appoggio socialista; a Perugia invece “Leonelli e i suoi hanno preferito fare affidamento ad un’associazione animata da fuoriusciti dal Partito Socialista, con il malcelato obiettivo di creare problemi al nostro interno”. Per ora il fronte con la presidente Marini non viene aperto. Non conviene a nessuno, in questa fase.
Batticuore Verini
Il martedì, a un giorno e mezzo dalla chiusura delle urne, i candidati del proporzionale sono ancora nel limbo. Occorre vedere il gioco dei resti, che però è su base nazionale. Verini viene dato prima dentro, poi fuori, poi ancora dentro, poi fuori… I bookmakers tolgono il suo nome dalle scommesse. Un po’ più tranquillo Grimani, a cui l’annuncio urbi et orbi di Renzi ha sdoganato il secondo posto buono per il Senato. La sua elezione sembra però lasciare più musi lunghi che sorrisi nel Pd.
Elezioni 2018, i resti salvano Verini
Arbusti…
Determinanti a Perugia per far perdere Leonelli. Questi gli unici voti “utili” di Liberi e Uguali in Umbria. Per il resto, la quota 3% solo sfiorata raccolta in quella che veniva definita “l’Umbria rossa” (dove LeU veniva addirittura accreditata del 7-8%) è un risultato non proprio da cespuglio, ma lontano dall’essere (anche in prospettiva futura) un albero da coltivare per avere frutti. Un arbusto, ecco. E non certo sempreverde.
… e cespugli.
Nessuno ne parla, ma a queste elezioni hanno partecipato anche loro, vecchi e nuovi partitini. Sapevano di essere cespugli prima di iniziare (tranne qualcuno che vantava sondaggi taroccati) e ne hanno avuto conferma dagli elettori. Che, se possibile, li hanno sfrondati ancora un po’ più.
Gamba senza scarpa
“Noi con l’Italia – Udc”, la “quarta gamba” del centrodestra, si è dimostrata così corta da non arrivare nemmeno a toccare terra. Più che aiutare a correre, così è un peso morto. Lo sa Sandra Monacelli, che accusa il suo partito di essersi concentrato solo al Sud. Visto il risultato, non è che l’impegno da queste parti avrebbe modificato di molto le cose.
L’Europa porta male
Nella coalizione di centrosinistra, i paracadutati radicali raccolgono quel tanto che basta per dare un aiutino al Pd. Ma non dovevano essere la principale forza europeista? Se è così, più che all’Europa, gli umbri guardano alle Seychelles. Porta male il nome “Europa” anche a Insieme, la lista socialista con un po’ di verde, messa in piedi all’ultimo momento dopo le pressioni di un preoccupato Leonelli su Renzi. Non ci fossero stati in lista in Umbria, nessuno se ne sarebbe accorto.
Ex socialisti alla bilancia
Insulti e minacce (sgradevole l’augurio di una fucilazione di schiena rivolta alla consigliera comunale corcianese Maria Chiara Giraldo) non fanno desistere Massimo Monni, il socialista antifascista approdato alla petalosa lista Lorenzin dopo aver militato in Forza Italia. Dello scambio di voti socialisti a Perugia, se c’è stato, Prisco ha beneficiato più di Leonelli.
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Resistenza al microscopio
Si è parlato tanto di fascismo e antifascismo in questa campagna elettorale. Anche a Perugia, dove presunti fascisti e antifascisti se le sono date, finendo indagati dopo esser passati per l’ospedale. Uno scontro al microscopio, invece, quello alle urne. Giusto per la cronaca, Potere al Popolo batte CasaPound 6.773 voti contro 6.399. Parliamo, rispettivamente, dell’1,31% e dell’1,25% di coloro che si sono recati alle urne in Umbria. Antifascisti vincitori anche nell’altro scontro, visibile solo con i potenti mezzi dell’Istituto Pasteur: il Partito Comunista conquista 4.521 voti per fermare la marea nera (2.428 voti) di Forza Nuova. Tra di loro, per evitare scontri, si piazza il Popolo della Famiglia (3.817 voti). Ci ha visto più lungo Simone Pillon, che ha scelto la Lega per far valere la sua idea di famiglia: tradizionale e pura, con un colpo solo.
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In fondo in fondo…
Mille e 9 voti per “10 Volte Meglio”. In pratica, 101 voti per ognuna delle cose che i seguaci umbri del giovane imprenditore Andrea Dusi hanno promesso di saper e poter fare per il bene dell’Italia. La ricerca della felicità ha fatto comunque più presa sugli umbri del Valore umano (921 voti).
“Il 4 marzo sulla scheda elettorale ritroverai dopo tanti anni l’edera, simbolo del Partito Repubblicano Italiano” esortava gli elettori il candidato di Pri – Ala, Federico Salvati. Forse che gli umbri, quel simbolo, non lo abbiano riconosciuto pur avendolo cercato a lungo sulla scheda?
Marini nella Terza Repubblica
Ma torniamo ai grandi problemi dei grandi. Al mercoledì, dopo un incontro con i principali amministratori comunali Pd, anche Catiuscia Marini dice la sua sul voto. In realtà, già in mattinata manda un chiaro messaggio al suo partito: nessun accordo con i cinquestelle. Con i quali non c’è alcuna affinità politica. E poi, tre anni di continui insulti e agguati politici… Un ringraziamento alla Segreteria regionale (che si è dimessa tutta insieme a Leonelli, ribadisce più volte), un messaggio da decifrare ai socialisti (programma di governo e uomini e donne per attuarlo, non si ridefiniscono secondo i vecchi schemi), una mano tesa agli sconfitti, a cominciare dai 5 dell’uninominale: Marini afferma che questo non è il tempo dei processi, né della resa dei conti. Il tempo arriverà, forse già nella Direzione regionale di mercoledì.
Regione, Marini: “Il cambio di assetti non è un tabù. Ma non chiamatelo rimpasto”
Ricci come un extraterrestre
Aveva radunato i suoi prima della definizione delle liste per le politiche, torna ad arringarli dopo il voto. Claudio Ricci (il primo candidato alle Regionali 2020) guarda a Palazzo Donini ma fa un pensierino a futuri palcoscenici politici nazionali. “Dall’Umbria – annuncia – può nascere un’Italia civica, moderata e popolare”. Una politica di un’altra dimensione.
Il futuro del Pd umbro
L’appuntamento di mercoledì per il Pd umbro sarà fortemente condizionato dalle scelte della Direzione nazionale, che di fatto detterà tempi e modalità anche per la definizione dei nuovi gruppi dirigenti regionali. Per evitare il “Congresso permanente” temuto anche da Marini, in Umbria si profila una reggenza. Che sarà comunque di profilo renziano, giusto per ribadire le gerarchie. Come di fede renziana sono i parlamentari umbri. E proprio una di loro, la capolista umbra Anna Ascani, potrebbe assumere l’incarico di gestire il partito fino al Congresso.
Lunedì a Palazzo Cesaroni, tradizionale analisi dei flussi elettorali a cura del Dipartimento di economia dell’Università di Perugia. Per alcuni, a sentire certi numeri e dinamiche, sarà piuttosto un reflusso. Gastrico.