Alzi la mano chi degli attuali sfiducianti, dei neopentiti, degli oranti o dei genuflessi del sindaco Umberto de Augustinis non lo conosceva a perfezone.
E se adesso ci fosse qualcuno che vi dice, “Ve l’avevamo detto…” ? Si può pensare che sia un esercizio di commento troppo facile o persino scontato e banale? Il solito intervento a gamba tesa dei giornalisti?
Alzi la mano chi degli attuali sfiducianti, dei neopentiti, degli oranti o dei genuflessi del sindaco Umberto de Augustinis non conosceva per filo e per segno tutte le inclinazioni, le pieghe e gli angolini remoti del carattere e della natura di colui su cui avevano investito fiducia umana, prima ancora che politica, per guidare un territorio ed il suo popolo.
Sono diventate di culto le parole del Consigliere della Lega Cesare Loretoni, che quasi piegato in due dal rammarico ha continuato a dire per giorni “Ma aveva un curriculum straordinario…”! Come se nella Lega poi ci fossero tutti questi super esperti “cacciatori di teste” che sanno interpretare al millimetro i curricula dei candidati.
Se davvero dovesse essere una sorpresa scoprire solo ora che il magistrato di lungo corso, ma abilissimo nocchiero delle stanze del potere romanocentrico, ha una empatia politica verso il prossimo, una prossemica e un pensiero progettuale assolutamente speculare al Monolito di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, allora davvero si deve prendere atto che tutto ciò che gli è ruotato attorno è frutto di una comunità di Primati, proprio come quelli che appaiono nel famoso film di fantascienza.
Ma ricordiamoci anche come va a finire la faccenda, però. Nel film tutto cambia, dopo l’apparizione del Monolito, quando uno degli animaletti pelosi scopre la funzione di un osso usato come clava. Paradosso del processo naturale della vita, come genesi invece della morte per violenza.
Due pesi e due misure
E pensare che i segnali erano stati copiosi prima e durante la sindacatura. Come quando in campagna elettorale si organizzò una cena romana con i maggiorenti del PD per avere il placet alla costituzione di una Grosse Koalition alla tedesca che governasse Spoleto con il monolito-civico ben piantato all’ombra del Monteluco. Con il risultato di farsi dare invece un discreto ma fermo “due di picche” , causa destre imperanti. Un pò si, ma anche no.
O come quando si è trattato di redarguire i nemici o gli amici. La Consigliera Marina Morelli che le scappa il “Down” tra una affabulazione e l’altra, crocifissa dal monolito in persona. Per non parlare poi della reazione al limite dell’incomprensibile verso Marco Trippetti che si limita a leggere in aula la mozione di sfiducia. Il consigliere del PD deve averla interpretata così bene che alla fine anche il monolito si è autoconvinto di aver sbagliato tutto, con relativa incazzatura e rapido ripasso in aula dei propri titoli onorifici, giusto per riconnettersi con se stesso.
Quelli invece che annunciano (Mario Mancini) che all’Ospedale di Spoleto “si muore”, o danno degli idioti ai consiglieri in aula, o hanno problemi di schiacciamento alle gonadi causato dall’opposizione, ecco per tutti questi il sindaco è uscito e dorme, o sta al telefono con Chigi. Deliziosa la giustificazione per i toni apocalittici del Mancini, causati “per il troppo amore che ha per l’Ospedale“. Pensa tu se gli stava sugli zebedei…
A Spoleto, al netto della sfiducia dell’11 marzo, dei ricorsi tignosi e della disinformazia stile Sputnik News, attendiamoci una guerra per bande, che peraltro sono già una caratteristica fondante della città da secoli e che solo una lunga dominazione papale è riuscita appena a sopire. Uno scenario balcanico che un nostro indimenticato amico e sodale, ex-sindaco, riassumeva con un efficace grido di battaglia “E ora dividiamoci in gruppi di uno…”.
È già iniziata infatti una discussione interessantissima su eventuali ricorsi al Tar o a qualche giudice del paese dei Nonsochì (quelli del Grinch) promossa da stampa di settore, costituzionalisti alla amatriciana e politologi laureati con le figurine Panini. Quel famoso “meglio” di cui parlava il sindaco prima che venisse piallato dalla sfiducia. Mentre a Perugia il Prefetto Grandone ha mandato in appena 24 ore la Commissaria Prefettizia, Dott.ssa Tombesi ad occuparsi della cosa, prima che qualche buontempone si azzardi a fare ulteriori danni.
E allora, è troppo facile promuovere il contrario di quello che il detto invece ci ricorda sempre come una regola ferrea, “chi rompe paga e i cocci sono suoi…”.
Non esistono manovre di smarcamento plausibili per poter affermare che le condizioni sono cambiate. La realtà è che Umberto de Augustinis, attualmente sfiduciato e dimissionario sindaco di Spoleto, è quello che è, presumibilmente sin dalla sua pubertà. E tutto il resto sono scelte, appunto.
Esterofilia e furbizia
Il provincialismo autorevole degli spoletini, legato ad una robusta dose di menefreghismo misto a una presunta saggezza furbesca, di natura agreste o silvana a seconda delle pendenze collinari, continua a produrre danni irreparabili a un territorio che notoriamente ammazza le sue migliori menti nella culla e coltiva una insana passione per tutto ciò che si trova fuori dalle mura ciclopiche.
Una esterofilia dilagante che invece di coltivare nel proprio orto germogli ubertosi, strappa le piantine del vicino per rimpolpare il giardinetto di casa che non si ha voglia ne tempo di curare. Nel corso della sanguinosa seduta dell’11 marzo scorso, risuona ancora nell’aula consiliare la voce di Ada Urbani (Assessore alla cultura!) che apostrofa gli sfiducianti con il roboante “Voi spoletini…”, come se la stessa appartenesse alle terre di Narnia e dunque in grado di separare il suo destino da quello dei felloni entrando e uscendo da un armadio speciale messo proprio nel Salotto delle Eccellenze, di sua invenzione e arredato con tanta cura.
Ecco un esempio calzante di quando cerchi all’esterno la soluzione ai tuoi problemi. Per forza poi chiunque viene a Spoleto si sente a tempo determinato, e non si lega. Lo stesso de Augustinis, facciamoci caso, in molti suoi discorsi pubblici ha citato come prova inconfutabile del “io sono uno di voi…” la sua 40ennale residenza e convivenza nel e con il territorio. E tutti i primati che zompettavano intorno si davano di gomito, come a dire “è uno di noi…evvai”.
Salvo poi scoprire che lui la barba se la faceva tutti i giorni per andare a Roma, mentre loro ancora avevano problemi di pulci in mezzo al pelaccio setoloso, prima di andare a Pincano.
Lo aveva capito anche il duo Bruno Lauzi-Paolo Conte in tempi non sospetti che la natura umana si differenzia per chilometraggi limitati, “con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così , che abbiamo noi prima di andare a Genova…”.
Chi scrive abita a San Silvestro da più di 25 anni e ancora oggi, parlando con qualche residente sentiamo usare la famosa espressione “vado a Spoleto…” come se poco meno di 10 chilometri fossero il confine del mondo conosciuto.
E diciamolo chiaramente, non conta nulla essere di destra, di sinistra o del soppalcato. Ci siamo dimenticati chi ha fatto il ballottaggio alle ultime elezioni comunali? Ecco, non aggiungeremo altro.
Le colpe del territorio
Non è bastato nemmeno come segnale preoccupante il fatto che una buona parte della Giunta ha poco, se non nulla, a che fare con Spoleto, tanto da non sapere nemmeno dove si trova Pontebari, probabilmente confusa con “struttura in cemento armato posizionata in Puglia”.
E se tutto questo non fosse ancora sufficiente, molto spesso l’atteggiamento, l’approccio operativo, è anche di natura elitaria, culturalmente da veri colonizzatori, alla “io so io e voi…”. Ecco il resto della frase lo conosciamo tutti ormai.
Di tutto questo e molto altro, portano le colpe coloro che provenienti dal territorio ed impegnati in politica non hanno trovato il modo di costruire un progetto di futuro plausibile. L’unica vera novità, condita di scazzi, lazzi, errori, ma anche in alcuni casi di straordinari gesti umani e lungimiranza, è stata quella del compianto Fabrizio Cardarelli.
Ma anche in questo lo spoletino ha trovato il modo di dividersi in “gruppi di uno” e anzi consentire lo smantellamento prematuro, si badi bene, della sola impalcatura per lasciare invece tutto lo spazio libero al Monolito.
Oggetto che per essere notato, anche a lunga distanza, ovviamente ha bisogno di essere unico, indivisibile, e soprattutto con il nulla intorno che possa evitare eventuali disturbi alla visione delle poche, banali linee di cui è costituito.
E a chi da giorni va strillicchiando che l’arrivo del Commissario prefettizio è la sciagura delle sciagure, vorremmo chiedere, ma cosa c’è di diverso rispetto a prima? Quali sarebbero i rischi enormi per questa città che non siano già stati corsi tutti in precedenza? E i 3 anni che sono trascorsi invano? Chi li ripaga quelli?
Atteso poi che il Commissario sarebbe poco più che una presenza di garanzia e per un periodo di pochissimi mesi.
Si pensi invece seriamente a fare un mea culpa, a confessare pubblicamente i peccati e, questa volta, a trovare il modo di non “arcapezzare” nuovi monoliti da piantare nella valle mea spoletana. Questo sarebbe già un bel fare e un ben pensare.
E a chi è stato valutato e soppesato politicamente, ricordiamo una delle arie più belle dell’ Artaserse, scritto dal compositore napoletano Leonardo Vinci su libretto di Pietro Metastasio: l’aria di Arbace. Un magnifico esempio di canto per soprani castrati, come era di gusto per l’epoca (1730 prima rappresentazione).
Se è vero come è vero che “Nemo propheta acceptus est in patria sua“, per chi si sente spoletino fino al midollo per i 40 anni di presenza sul territorio, allora non resta che cantare dolorosi :
Vò solcando un mar crudele
Senza vele e senza sarte,
Freme l’onda, il ciel s’imbruna
Cresce il vento e manca l’arte
E il voler della fortuna
Son costretto a seguitar.
Infelice in questo stato
Son da tutti abbandonato
Meco sola l’innocenza
Che mi porta a naufragar.
E ricordiamocelo, un Monolito è per sempre!