Assolta la caposala citata in giudizio dalla Corte dei conti. Per l'infermiere condanna ridotta: lunga catena di carenze prima del suo errore
In 4 avevano perso la vista da un occhio a seguito di altrettanti interventi alla cataratta avvenuti lo stesso giorno – il 12 maggio 2015 – all’ospedale di Spoleto. Ora la Corte dei conti dell’Umbria ha condannato un infermiere che, secondo quanto ricostruito, con il suo comportamento avrebbe causato la cecità parziale di un uomo e tre donne.
Avrebbe infatti per errore inserito, “nell’asta portabottiglie del facoemulsificatore”, “un liquido di infusione diverso da quello di regola utilizzato: bicarbonato di sodio all’8,4%, in luogo di una soluzione salina bilanciata ad uso oftalmico”.
La Procura regionale della Corte dei conti aveva citato in giudizio due persone, all’epoca entrambe dipendenti del San Matteo degli Infermi: la coordinatrice infermieristica – difesa dall’avvocato Massimo Marcucci – ed un infermiere, dieso dall’avvocato Lietta Calzoni. A seguito di quanto avvenne 8 anni e mezzo fa, infatti, i due erano stati oggetto di provvedimenti disciplinari da parte dell’ospedale ed erano stati sospesi per un giorno dal lavoro con privazione della retribuzione. Entrambi, quindi, sono finiti sotto la lente della magistratura contabile, che ipotizzava che “la loro condotta, riguardante l’erroneo inserimento di un liquido dannoso nell’occhio dei pazienti operati di cataratta, era connotata da maniesta imperizia e negligenza, nonché da grave disattenzione“. Veniva dunque loro chiesto un risarcimento di 550.250 euro nei confronti della Regione Umbria, pari a quanto era stato corrisposto in totale ai quattro cittadini rimasti ciechi da un occhio a seguito dell’intervento in questione.
Durante il processo di natura contabile, però, la coordinatrice infermieristica ha dimostrato la sua estraneità ai fatti, visto che non era nemmeno presente nel momento e nel luogo del fatto, oltre al fatto che tecnicamente il suo ruolo non era dotato di poteri direttivi. La caposala ha dunque “ribadito che non spettava a lei controllare le procedure e la corretta applicazione dei protocolli di rilievo gestionale riferiti all’amministrazione dei farmaci. L’incarico di media complessità a lei attribuito non avrebbe potuto implicare la predisposizione di procedure e protocolli, o addirittura regolamenti, la cui adozione spettava certamente a livelli superiori di competenza e responsabilità“. Una tesi che i giudici hanno accolto, respingendo dunque la richiesta di risarcimento a lei ascritta.
Quanto invece all’infermiere – uno spoletino oggi 67enne – che aveva materialmente scambiato il liquido per l’intervento alle cataratte, si è difeso evidenziando che “il contenitore della soluzione di sodio bicarbonato all’8,4% e della soluzione salina bilanciata per uso oftalmico erano praticamente identici e, quindi, assai facilmente confondibili, in quanto anche l’etichettatura dei due farmaci era del tutto similare. Ha evidenziato che, alla data del 12 maggio 2015 (e ancora sino al 16 gennaio 2017) non era stati adottati dall’azienda sanitaria né protocolli, né procedure per l’individuazione e la gestione dei farmaci ‘LASA’, tantomento con specifico riferimento – come pure sarebbe stato fondamentale – ai farmaci destinati al blocco operatorio ed alla sala operatoria del reparto di oculistica. Per cui, ha sostenuto che non avrebbe potuto essergli ascritta la quota di danno imputabile a soggetti che, pur non convenuti, avevano omesso di adottare le doverose procedure aziendali di gestione del rischio in relazione alla somministrazione dei farmaci ‘LASA'”. Insomma l’errore commesso dall’infermiere sarebbe stato solo l’ultimo di “una lunga catena di carenze e di errori commessi da altri soggetti“. Anche perché la soluzione di bicarbonato, destinata ad uso anestesiologico e quindi non utilizzabile nelle operazioni oftalmiche, sarebbe stata erroneamente riposta nell’armadio farmaceutico della sala operatoria da altri.
All’esito del procedimento, la Corte dei conti ha dunque condannato l’infermiere a risarcire la Regione Umbria per un importo parziale rispetto a quanto chiesto dalla Procura contabile: 183.416,64 euro, oltre alle spese di giudizio.