Bancarotta fraudolenta, maxi confisca da 33 milioni a imprenditore tifernate

Bancarotta fraudolenta, maxi confisca da 33 milioni a noto imprenditore tifernate

Redazione

Bancarotta fraudolenta, maxi confisca da 33 milioni a noto imprenditore tifernate

Monitorata l'attività dell'imprenditore umbro dagli anni '90 in poi. Condannato per bancarotta fraudolenta, ora arriva la confisca da record
Gio, 16/07/2020 - 11:29

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Maxi confisca in corso a carico di un noto imprenditore umbro – il tifernate Gabrio Caraffini – condannato per bancarotta fraudolenta. I finanzieri del Gico di Perugia stanno infatti eseguendo un decreto di sequestro, e contestuale confisca, per un valore da record  di ben 33 milioni di euro. Si tratta di beni mobili, immobili e partecipazioni societarie.

Il decreto è stato emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Perugia, su proposta della locale Procura della Repubblica.

Imprenditore condannato per bancarotta fraudolenta

Il destinatario del provvedimento è un noto imprenditore umbro, Caraffini appunto, che, a partire dalla fine degli anni ‘90 ad oggi, ha collezionato numerosi precedenti penali per bancarotta fraudolenta, tra cui una condanna definitiva a 5 anni di reclusione, nonché per trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, reati tributari e contro il patrimonio.

Riconosciuta dal Tribunale la pericolosità socio – economica dell’imprenditore, è stata disposta nei suoi confronti anche la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per un periodo di tre anni.

Come avveniva la bancarotta fraudolenta

L’esecuzione del provvedimento rappresenta l’epilogo di una complessa attività investigativa svolta dai militari dell’articolazione specialistica del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Perugia ed avviata a seguito di una preliminare analisi effettuata, a livello centrale, dallo S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza di Roma.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la bancarotta fraudolenta avveniva attraverso il reiterato ricorso a società “schermo”, anche di diritto estero, appositamente costituite e gestite formalmente da vari prestanome, per compiere numerose operazioni immobiliari e societarie in completa evasione d’imposta. Le plusvalenze milionarie così ottenute non venivano solo sottratte al fisco, ma alle stesse società, che una volta depredate erano destinate al fallimento.

Documenti relativi agli ultimi 20 anni

Al fine di provare l’origine illecita del rilevante patrimonio riconducibile, direttamente o indirettamente, all’imprenditore, è stata acquisita copiosa documentazione riferita all’ultimo ventennio. Tra i documenti ci sono i contratti di compravendita dei beni e delle quote societarie, nonché numerosi atti pubblici che hanno interessato, nel tempo, il suo nucleo familiare. Successivamente, per ogni transazione, sono state verificate le movimentazioni finanziarie sottostanti alla creazione della necessaria provvista economica.

Il copioso materiale così reperito è stato sottoposto a circostanziati approfondimenti, da cui è emerso che gran parte delle attività economiche e dei beni entrati nella disponibilità del proposto nel periodo monitorato, coincidente con il suo curriculum criminale, non hanno trovato alcuna giustificazione nei redditi “ufficialmente” dichiarati.

La confisca al termine dell’iter procedurale

Gli accertamenti svolti dalle Fiamme Gialle sono quindi stati trasmessi alla Procura di Perugia, la quale ne ha condiviso gli esiti ed ha avanzato, al locale Tribunale, la richiesta di applicazione sia della misura di prevenzione personale che di quella patrimoniale. Solo al termine di un’attenta disamina e del previsto iter procedurale, il Tribunale ha emesso il provvedimento odierno, che rappresenta il risultato della costante azione, svolta in sinergia tra la Guardia di Finanza e l’Autorità Giudiziaria, di aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati, da restituire alla collettività.

(foto di repertorio)

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