di G.A.
L’inquinamento risalirebbe a diversi anni fa e sarebbe presente, nella maggior parte dei casi, in concentrazioni generalmente basse e comunque al di sotto dei limiti di potabilità (10µg/L come posto dal D. Lgs. 31/2001), sarebbero queste, in sintesi, le conclusioni dell’indagine condotta da Arpa e Provincia di Terni nell’area denominata Conca Ternana in merito alla presenza di tetracloroetilene, tricloroetilene e altri solventi.
L’indagine, i cui risultati sono stati presentati questa mattina nella sala del consiglio della Provincia di Terni, alla presenza del sindaco Leopoldo Di Girolamo, del dirigente all’Ambiente Donatella Venti e del direttore tecnico di Arpa Giancarlo Marchetti, era stata eseguita in un periodo di tempo compreso tra la primavera del 2013 e l’autunno 2014 e aveva interessato 127 punti di captazione delle acque sotterranee (di cui otto già facenti parte della rete regionale di monitoraggio), per un’estensione complessiva di 24 kmq, su finanziamento della Regione Umbria.
All’origine dell’indagine, vi era stata la sintesi tra le indicazioni della rete regionale di monitoraggio degli acquiferi di interesse regionale e i dati emersi da un’indagine effettuata nell’estate 2010 al seguito dello scoppio dell’emergenza per la contaminazione da tetracloroetilene nell’area del polo chimico ternano (ex Polymer).
Per quanto attiene alla metodologia, il progetto si è articolato in più fasi, seguendo una strategia di approccio già sperimentata in altre realtà territoriali della regione Umbria. Si è proceduto, nello specifico, iniziando da un’analisi delle aree già notoriamente interessate da criticità, proseguendo poi con una valutazione della distribuzione spaziale delle concentrazioni in rapporto alle caratteristiche piezometriche della falda (relative cioè alla pressione in un punto generico di una massa fluida). A questa fase iniziale, ne sono seguite altre, ciascuna delle quali programmata in tempo reale sulla base dei risultati dei campionamenti progressivamente effettuati.
Secondo Marchetti, dai risultati dello studio emerge chiaramente che “l’inquinamento è complessivamente basso e inferiore ad altre realtà dell’Umbria, anche se in alcuni punti circoscritti, di circa un kmq (il 6% del totale analizzato) è necessario vietare l’uso dei pozzi perché abbiamo rilevato livelli di inquinanti superiori alla soglia di potabilità stabilita dalla norma vigente”. Marchetti, Di Girolamo e Venti, inoltre, sono d’accordo nel precisare che i sistemi di captazione delle acque potabili, essendo dotati di strumentazioni di filtraggio, immettono nella rete pubblica “acqua pulita e assolutamente potabile”.
Secondo quanto si legge nelle conclusioni dell’indagine, l’ampiezza della contaminazione e le concentrazioni misurate suggerirebbero di ricollegare la contaminazione evidenziata ad eventi “datati oltre a quelli già precedentemente rivelati da indagini pregresse, i dati finora acquisiti non hanno consentito l’individuazione di sorgenti secondarie di contaminazione associabili alle potenziali sorgenti primarie”.
Alla luce dei risultati emersi dallo studio, si ritiene necessario proseguire il monitoraggio attraverso la predisposizione di una Rete Locale di Valutazione che permetta di tenere sotto controllo l’evoluzione della contaminazione in termini di magnitudo e di ampiezza dei perimetri individuati.