Sono Graziella Marota di Porto Sant'Elpidio in provincia di Ascoli Piceno. Ho perso un figlio di soli 23 anni il 20/06/2006, in una fabbrica, con il cranio schiacciato da una pressa tampografica. Sono veramente stanca e arrabbiata di ascoltare i rappresentanti di Confindustria sia a livello territoriale, regionale e nazionale che tutelano sempre e in qualsiasi contesto gli imprenditori. La ricchezza economica di questo paese non esisterebbe, se non ci fossero le braccia degli operai a lavorare per i “vostri” imprenditori, che nella maggior parte dei casi agiscono ancora nell'illegalità, nel non rispetto della vita umana, e per un solo scopo: “IL DIO PROFITTO”. Per queste mie affermazioni sono stata attaccata direttamente dal presidente regionale di Confindustria Marche Vitali, il quale ha affermato che non bisogna sempre puntare il dito contro gli industriali, cioè questa classe “privilegiata”.Così la definisco, perchè se non si lavora in sicurezza, a rimetterci la pelle è sempre il più debole, e cioè l'operaio. Io credo che ognuno di noi debba considerare il lavoro come un mezzo per vivere e non per morire. Quando c'è una morte sul lavoro c'è sempre un diretto responsabile, che giustamente viene anche tutelato dalla giustizia: vedi il caso di mio figlio Andrea Gagliardoni, i cui responsabili sono stati condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena. Miei “cari” rappresentanti di Confindustria, Vi auguro che ognuno di voi possa provare il dolore, la disperazione e la sofferenza di perdere un proprio caro per pochi euro al mese, ma sicuramente ciò non potrà mai accadere, perchè è poco rischioso stare seduti in poltrona e dirigere.Graziella Marota, mamma di Andrea Gagliardoni.
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