(Ale. Chi.) – Un triste primato quello italiano: parliamo di quote rosa. L’Italia si caratterizza infatti nel contesto europeo per il più basso tasso di attività femminile e per il maggior scarto rispetto al tasso di attività maschile. L’Università degli Studi di Perugia sembra non essere da meno: è di qualche ora infatti l’uscita di un comunicato redatto da un comitato spontaneo di docenti dello Studium, che lamenta la scarza presenza femminile all’interno della “governance alta” di Palazzo Murena.
“Il Rettore – si legge nella nota – nella prima pagina del suo programma, ha inteso sfidare il grande ritardo dell’Italia, rispetto alla media europea, nella percentuale della presenza femminile nei ruoli di responsabilità, con l’intenzione di superare questa condizione dell’ateneo perugino e costituire, finalmente, l’affermazione di sostanza e non di prammatica dell’uguaglianza dei diritti. Nell’Ateneo perugino le discriminazioni di genere sono marcate: a guardare l’ultima relazione delle pari opportunità che risale agli A.A. 2005-2009, è uomo il 65% del personale docente e le differenze di genere si amplificano nella progressione di carriera, con l’85% dei professori ordinari uomini.
In questo contesto la situazione dell’Università di Perugia sembra, addirittura, peggiorare con le nuove regole della governance alta. Il Senato accademico, che vede la presenza di diritto dei Direttori di Dipartimento e che si è recentemente costituito, tra i suoi 29 componenti presenta sole 5 donne (17%). Guardando bene dentro i numeri, è certamente nel personale docente che si riscontra la minore presenza con una sola donna. Gli studenti seguono il principio delle pari opportunità con 2 donne su 4 rappresentanti (50%), mentre le rappresentanze (sindacali) del personale TAB sono tutte al femminile con 2 donne (100%)”.
Il comitato dei docenti continua a snocciolare altri dati più precisi: “L’affermazione di sostanza dell’uguaglianza dei diritti, allo stato attuale, ha prodotto un prorettore e un delegato per il polo di Terni che sono entrambi uomini, e 27 delegati per una politica della collegialità tra cui troviamo 7 donne (26%). Ma la vera governance alta si gioca nel Consiglio di amministrazione. Nella spartizione delle cinque macroaree, i nomi che circolano sono ancora tutti al maschile. Non è del resto un caso, poiché ciò che possiamo osservare è una sostanziale conservazione degli assetti di potere consolidati”.
Un trend che, secondo i docenti, deve essere invertito, pena la parità di genere stabilita anche dall’ordinamento giuridico, che “ha il suo fondamento nella Costituzione e trova attuazione in numerose norme di origine eurounitaria e nazionale”. Le presenze femminili, continua la nota, “devono peraltro essere non il frutto di candidature meramente strumentali, ma in grado di portare all’interno degli organi istituzionali un bagaglio di competenze utili a gestire in un momento particolarmente difficile il nostro Ateneo, che proprio per questo non può permettersi di non fare tesoro del contributo di tutti, donne e uomini. Un Consiglio di amministrazione diversamente formato sarebbe illegittimo. A darne conferma è anche l’indirizzo più recente della giurisprudenza amministrativa, secondo cui al principio di pari opportunità deve essere riconosciuta portata precettiva, non meramente programmatica: esso ha, pertanto, immediata efficacia applicativa e deve essere considerato parametro di legittimità sostanziale di attività amministrative discrezionali, rispetto alle quali viene ad integrare un effettivo limite conformativo. Auspichiamo che la nuova ‘governance’ dell’Università di Perugia non voglia certo esordire eludendo la legge e dando prova di chiusura culturale, in contrasto coi valori che anche il diritto esprime. Benvenuti nel XXI secolo, di medievale ci bastano le mura”.
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