E’ la verità quella che chiedono a gran voce i giornalisti del ‘fu’ Giornale dell’Umbria seconda gestione Geu1819, il quotidiano regionale che giovedì 14 gennaio ha dato “formale comunicazione di avvio delle procedure di messa in liquidazione della società” ai propri dipendenti.
La decisione era nell’aria già da un po’, soprattutto dopo che lo scorso 18 dicembre, l’incontro con i potenziali investitori umbri invitati a valutare il dossier per partecipare in quota alla GEU 1819 era andato deserto, ma quella della liquidazione sembrava ancora essere l’ultima delle soluzioni. O forse no.
A rileggere bene l’intervista che l’ingegnere Incarnato, editore del Giornale dell’Umbria, ha rilasciato l’11 dicembre ad Agenparl in un ultimo tentativo di promozione del detto aumento di capitale, la ‘soluzione liquidazione’ sembra proprio fosse contemplata: “Pertanto, la soluzione che ha di fronte il GRUPPO EDITORIALE UMBRIA srl è quello di mettere mano ad una poderosa moltiplicazione dei prodotti editoriali, anche locali, ma di nicchia e di valore in grado di trovare un pubblico coerente ai costi di produzione. L’alternativa è ridurre i costi in maniera radicale. Se occorre, liquidare la vecchia GEU1819 SRL e farla rinascere dopo averla depurata delle storture del passato”.
E qui si potrebbe lasciare campo a quelle ipotesi che già giravano da tempo nei corridoi della redazione di via Monterei, che vedevano il presidente di GEU 1819, Luigi Giacumbo, impegnarsi con l’aiuto forse di nuovi imprenditori in una ri-acquisizione del Giornale e l’editore Incarnato rinascere con una serie di prodotti ‘di nicchia’.
Certo è che il nuovo corso del Giornale dell’Umbria ha avuto una vita breve e concitata, apparentemente senza un preciso disegno. Anche se il dubbio che invece un disegno ci fosse già da prima dell’atto di vendita torna ad affacciarsi, ancora più forte delle prime immediate impressioni. Sono troppe le domande che si affollano su questo passaggio di proprietà estivo.
Ma infine e più di tutto, qual era il piano industriale dell’imprenditore napoletano che si definisce nel suo sito personale “uno dei principali strategist italiani, specializzato nel rilancio industriale di imprese in crisi”? Certo a ricostruirne il chilometrico curriculum professionale, solo a citare IDI, l’Istituto Dermatologico di cui è stato direttore generale e per il quale crac finanziario è indagato insieme don Franco Decaminata e ad altri 40, o la CRIF Spa durante la cui vicepresidenza è finito sotto inchiesta per voto di scambio e ricettazione, qualche dubbio poteva anche venire alla proprietà cedente.
Forse il nodo centrale per comprende la tanto invocata verità sta proprio in questo passaggio. Qual’era il grado di consapevolezza sull’acquirente della vecchia GEU, quando il 27 agosto i 4 soci uscenti (Financo Srl, Scai SpA, Bifin Srl e 50,25% di TMM Soc. Coop) hanno firmato per soli 50mila euro, ovvero il capitale sociale versato, la vendita del Giornale dell’Umbria?
Sapevano da chi sarebbe stata gestita? Sapevano di sicuro che il quotidiano non avrebbe più potuto accedere ai finanziamenti pubblici, non essendo costituita in forma di cooperativa giornalistica, e un milione di contributo su un bilancio di 3, fanno la differenza.
Perché dunque per una cifra così ‘irrisoria’ non era stata precedentemente accolta la proposta formulata dai giornalisti e poligrafici del GdU che pur in tempi strettissimi e incalzati si sarebbero impegnati, in forma di cooperativa, a rilevare la testata pur di continuare a investire nel proprio lavoro, potendo far conto almeno sugli aiuti statali. E perché rinunciare alla cordata di imprenditori umbri che pur si era fatta avanti, mentre la proposta di Gi.F.Er era già presumibilmente nelle nelle mani del vecchio CdA. I troppi paletti e le richieste ‘non accettabili’ – dalla rinuncia al TFR messa come condizione ai giornalisti, fino alla richiesta di rilievo, insieme all’acquisto da parte della cordata, di tutte le eventuali pregresse responsabilità della vecchia – fanno pensare che con ogni probabilità la decisione fosse già stata presa.
E che una verità e dunque un disegno c’erano, anche se sfuggono ai più. Di sicuro non quello di mantenere in buona salute l’azienda e tantomeno quello di continuare ad essere una voce dell’Umbria.