Brad Mehldau è un musicista molto vicino ad essere anche poeta e "scrittore". Branford Marsalis non conosce limiti, con un quartetto super
Ci sono serate in cui il Jazz, come fosse un entità sovrannaturale, prende il sopravvento seppure in forme diverse all’architettura di Umbria Jazz. Che detta così sembra anche una sciocchezza semantica, una contraddizione in termini, ma nella realtà è un fatto concreto per cui all’Arena si materializzano platee diverse e sentimenti diversi.
Se la sera precedente, 10 luglio, il palcoscenico di Santa Giuliana ha visto le gesta di Mika, l’11 invece tutto si modifica per tornare al principio e ricominciare un percorso mai interrotto. Il rovescio della medaglia che fa innamorare il pubblico amante di questo genere musicale che sa ricrearsi e modificarsi senza interruzione, regalando stupore, discussioni accese ma soprattutto, passione.
Il musicista “scrittore”
Apertura con il Brad Mehldau Trio (Mehldau al piano, Larry Granadier al contrabbasso e il batterista Jeff Ballard), una formazione storica e solida che mette un punto fermo nella produzione musicale di Mehldau e sulla sua capacità di suonare un Jazz creativo al confine con un lirismo e una poetica classicheggiante come quando invece affronta il discorso del Piano Solo.
Chi era presente al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 2021, quando in forza dell’accordo di collaborazione con Umbria Jazz, Mehladau scrisse una pagina indimenticabile della manifestazione a Piazza Duomo con un concerto di Piano Solo, potrà dunque ricordare cosa significa mescolare con generosità creativa carattere con delicatezza, poetica e tecnica nella ricerca di empatia con il pubblico presente.
E all’Arena Santa Giuliana, nella serata appena passata, per tutto il tempo del concerto si è respirato lo stesso processo creativo.
E del resto cosa ci si può aspettare di diverso da un musicista di tal fatta, uno che ha inciso durante la pandemia, come una riflessione sonora, i vari momenti di una giornata di lockdown in casa. E ancora prima, tre anni fa, “After Bach”, in cui Mehldau mette al centro della sua poetica, nello stesso tempo con audacia e rispetto, nientemeno che “Il Clavicembalo Ben Temperato”.
Per Umbria Jazz il ritorno di Brad Mehldau è sempre un avvenimento perché il pubblico del Festival fin dall’esordio del suo trio nel 1997, con un leggendario ciclo di concerti in una piccola sala, ha dimostrato di avere un debole per questo pianista “scrittore”. In realtà, Mehldau aveva già suonato al Festival qualche anno prima con il quartetto di Joshua Redman, protagonista di una memorabile notte a San Francesco al Prato (1994) e della prima edizione di Umbria Jazz Winter nel 1993.
Poi sono arrivate anche le collaborazioni importanti. Charlie Haden, Pat Metheny, John Scofield, Lee Konitz, Charles Lloyd, Wayne Shorter, ma anche con artisti di diversa estrazione artistica come Willie Nelson e Chris Thile
Ma nulla in confronto alla piccola grande band con una fortissima identità artistica ascoltata a Perugia. Tutto passa, nella concezione moderna del trio pianistico, attraverso un miracoloso equilibrio tra le parti che si basa su un interplay democraticamente alla pari. Il trio di Brad Mehldau ne è un perfetto esempio, e la reciproca “comprensione” tra il pianista, il contrabbassista Larry Grenadier e il batterista Jeff Ballard è assoluta.
E il pubblico, in totale empatia con gli artisti risponde con entusiasmo e fragorosi e lunghi applausi. Per i 50 anni di UJ un grande riconoscimento.
Musica e limiti insuperabili per Branford Marsalis
Sono passati quarant’anni da quando Branford Marsalis conquistò la ribalta come uno dei giovani leoni del jazz. Originario di New Orleans, discendente da una vera e propria dinastia musicale, figlio e fratello di jazzmen, Branford ha avuto modo di suonare agli inizi di carriera con Clark Terry, Art Blakey e suo fratello Wynton, collaborando in seguito anche con Dizzy Gillespie, Miles Davis, Sonny Rollins, Herbie Hancock, Harry Connick, Jr. e Kurt Elling.
Talento curioso e multiforme, ha spesso oltrepassato i paletti del jazz per sconfinare nella musica classica e nell’universo rock (la straordinaria partnership con Sting e con i Grateful Dead) riuscendo in ogni caso a conservare assoluta integrità artistica e coerenza.
Il quartetto resta lo strumento privilegiato per mezzo del quale Branford Marsalis può esprimere ai massimi livelli la sua creatività e la sua idea di musica. Un quartetto nato nel 1986 e rimasto attivo pressoché ininterrottamente e stabile nella line up, producendo in questo periodo una serie di dischi straordinari. Un quartetto che è da tempo e con sempre maggiore forza, anche grazie ad una continua evoluzione, una profonda identità di collettivo e la ricerca di sempre più vasti orizzonti musicali, una delle sigle più importanti del jazz contemporaneo. E quartetto per Marsalis significa indubitabilmente, Eric Revis -contrabbasso, Joey Calderazzo– piano e Justin Faulkner– batteria.
Un serata tutta giocata sul filo della complicità, a tratti anche goliardica, dove amicizia e sintonia artistica non hanno ovviamente confini. Del resto Branford Marsalis non conosce la parola “limite”. E dopo 40 anni di musica questo forse è il vero unico confine insormontabile.
Foto: Tuttoggi.info-Leopoldo Vantaggioli