Carabinieri e Polizia hanno finalmente “chiuso il cerchio” sulla triste vicenda legata al suicidio del compianto Don Franco Bucarini, ricattato da tre pregiudicati interessati al suo patrimonio. Si è conclusa così nella mattinata di ieri la vicenda, grazie all’azione di un “pool” congiunto di investigatori appartenenti alla Polizia di Stato ed all’Arma dei Carabinieri, nello specifico gli uomini della Squadra Mobile ed i militari dell’Aliquota Carabinieri della Sezione di Polizia Giudizaria della Procura, coordinati dal Sost. Proc. Dott. G. Petrazzini.
La storia – Lo scorso 15 settembre, Don Franco, parroco della chiesa di Capocavallo, aveva sporto denuncia, nei confronti di Ciurar Ion, rumeno ventiduenne: il giovane, secondo il racconto del parroco, lo avrebbe raggirato accusandolo di aver avuto rapporti sessuali con lui e quindi pretendendo, per sms, il pagamento di 4000 Euro in cambio del suo silenzio; nella circostanza, inoltre, l’estorsore era riuscito a sottrargli una catenina in oro con crocifisso. Nei messaggi estorsivi, va ricordato, il giovane dichiarava falsamente di essere minorenne. Il povero prete, successivamente, proprio durante l’udienza di convalida del fermo del suo ricattatore, nel frattempo assicurato alla giustizia, 4 giorni dopo si era tolto la vita.
Le indagini – Polizia e Carabinieri, d’intesa con il Pubblico Ministero titolare del procedimento, avevano svolto congiuntamente le indagini volte non solo a ricostruire il fatto, per il quale gli elementi di prova erano risultati immediatamente incontrovertibili, ma avevano allargato il “cerchio” in modo da accertare che il Ciurar, nella sua estorsione ai danni del prelato, si era avvalso di due complici, ben consapevoli del suo intento criminoso, i quali lo avevano assistito in ogni fase del fatto. I due favoreggiatori, infatti, lo avevano accompagnato a casa di Don Franco quando ci fu l’incontro tra i due e, all’esito del furto della collanina in oro, ne avevano condiviso il provento a seguito della spartizione del ricavato. Decisive le attività di intercettazione telefonica alle quali erano state sottoposte alcune utenze, in particolare quella del Ciurar: sulla base del contenuto delle sue telefonate e di altri riscontri diretti ed incrociati operati dagli investigatori, era stato dato un nome ai due “accompagnatori”.
I complici – Il primo dei due complici ad essere identificato fu Marini Andrea, trentatreenne pluripregiudicato perugino; l’altro, Grancea Lucian Constentin, sebbene identificato, si era immediatamente allontanato dal territorio nazionale, dandosi alla latitanza.
Dall’attività investigativa eseguita era emerso come i due fossero stati parte attiva nel fatto, sia nella fase dell’ideazione, sia in quella esecutiva: sembrava evidente che il sodalizio criminale avesse preso di mira il povero sacerdote conoscendolo e conoscendone, di conseguenza, la disponibilità economica e di preziosi da rubare. Uniti nelle premesse, ma in forte contrasto successivamente: dalle telefonate ascoltate, infatti, appariva evidente come i tre, immediatamente dopo l’incontro del Ciurar con Don Franco e pertanto dopo la sottrazione della collana, non avessero trovato un accordo neanche sulla suddivisione del ricavato della vendita dell’oggetto in oro, del quale ognuno ne rivendicava il diritto alla proprietà. La complessa attività investigativa aveva permesso, inoltre, di individuare ed identificare una terza figura, non meno importante, che era stata decisiva nella vicenda criminosa ma soprattutto ai fini dell’accertamento dei fatti: si trattava di una giovane Rom, molto vicina agli altri tre soggetti coinvolti, analogamente pregiudicata. Il suo ruolo era stato quello di provvedere alla vendita del monile, presso un compro-oro, originando così la disputa tra i 3 litiganti.
La prima operazione – I risultati delle indagini di tutto il lavoro svolto da Polizia e Carabinieri erano confluite in un duplice provvedimento di custodia cautelare, su istanza del Dott. G. Petrazzini e sottoscritto dal GIP. di Perugia Dott. L. Semeraro, i cui destinatari erano Marini Andrea ed il suo collaboratore Rom, Grancea Lucian Constantin, ritenuti complici di Ciurar Ion, già in carcere, dell’attività estorsiva e del furto ai danni di Don Franco Bucarini. All’alba dello scorso martedì 18 novembre, infatti, era scattato il blitz: mentre il Marini è stato individuato presso la sua abitazione e condotto a Capanne, l’altro fiancheggiatore non era stato reperito e, da ulteriori accertamenti, risultava essersi “rifugiato” in Romania, dopo aver “subodorato” la sua cattura.
La cattura del latitante – Grancea Lucian Constantin, rumeno nato nel 1986, non appena aveva sentito “odore di bruciato” si era immediatamente allontanato e, come hanno accertato le forze di polizia procedenti, aveva trovato riparo in Romania. Tempestivo è stato l’avvio, da parte delle forze dell’ordine, delle procedure volte all’emissione di un provvedimento di cattura internazionale, nello specifico il Mandato d’Arresto Europeo, strumento processuale d’eccellenza e di grande efficacia nonché rapidità per assicurare alla giustizia un soggetto, italiano o extracomunitario, destinatario di una misura cautelare emessa da un Giudice di uno stato membro UE e che si sia allontanato dallo Stato emittente.
La particolarità di questo caso è che, mentre, generalmente, la notizia dell’emissione di un simile provvedimento ha l’effetto, sui suoi destinatari, di tenerli ulteriormente lontani dal nostro paese, nel quale l’attenzione verso quel determinato soggetto è certamente più alta, nel caso del Grancea, il fatto di essere stato dichiarato latitante e prossimo obiettivo di un M.A.E. lo ha indotto a fare rientro in Italia. Il motivo di questa scelta è molto semplice: l’uomo, sicuramente, non si è presentato alla Polizia o dai Carabinieri per essere portato in carcere spontaneamente, ma ha deciso di rientrare e quindi di accettare il rischio di farsi arrestare in Italia ben consapevole che il trattamento penitenziario, nel nostro paese, è certamente ben più mite e favorevole rispetto a quello che le autorità rumene gli avrebbero riservato nella sua terra natale, qualora lo avessero individuato.
Le indagini, che non hanno mai avuto tregua, hanno permesso di localizzarlo in uno dei suoi possibili “covi” in Via Calatafimi, dove una squadra mista Polizia-Carabinieri, all’alba di ieri 8 dicembre 2014, approfittando della festività e quindi di maggiori possibilità di trovarlo in casa, è andata a prelevarlo per accompagnarlo successivamente a Capanne. Il Rom catturato non è una nuova conoscenza delle forze di polizia, ma è pluripregiudicato ed annovera precedenti di vario tipo: in particolare, nel 2005 fu destinatario di un provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato, poi evidentemente disatteso. Nel luglio successivo, inoltre, insieme ad alcuni suoi familiari, venne denunciato dalla Polizia per il reato di “invasione di edificio” in quanto il gruppo familiare, in maniera del tutto arbitraria, aveva occupato i locali di una scuola di Montegrillo (Pg).