Terni, la Manchester d’Italia, la Milano del centro-sud, una storia legata indissolubilmente alle acciaierie e al loro percorso. Un tessuto sociale intrecciato e articolato, stratificato negli anni della crescita della comunità che si è sempre presa cura della sua fabbrica. E ancora oggi si trova a doversi occupare di un settore che costituisce il maggior fondo di reddito della città.
Grande era l’attesa per il faccia a faccia tra Susanna Camusso, segretario nazionale Cgil, e Lucia Morselli, ad di Ast. “Evoluzione delle relazioni industriali, Terni: un laboratorio possibile” è l’iniziativa che si inserisce all’interno della celebrazione della settimana dell’apertura degli archivi della Cgil, grazie alla collaborazione con l’associazione “Proietti Divi”.
L’incontro ha riservato più di qualche sorpresa. Prima tra tutte, il fatto che i rapporti tra i sindacati e il management aziendale sembrano tutt’altro che critici come le ultime note delle Rsu hanno invece evidenziato, soprattutto sui problemi di sicurezza sul lavoro, la gestione dei turni degli operai e i difficili rapporti con la proprietà. L’ultimo attacco delle Rsu è di neanche una settimana fa, ma stando alle ‘carezze’ tra le due ‘donne al comando’, sembrerebbero problemi di poco conto.
L’appuntamento alla sala blu di Palazzo Gazzoli è stato aperto da Attilio Romanelli, segretario provinciale Cgil, che ha tracciato una rotta possibile da percorrere per una nuova fase dei rapporti tra sindacati e azienda, dopo la difficile e complessa vertenza Ast: “Proteggere l’inossidabile è una priorità, perché viene utilizzato nella manipolazione e conservazione dei prodotti alimentari; questo è ora anche l’orientamento della politica dell’Europa. Noi a Terni, quando Lucia Rossi era presidente della Camera del Lavoro, lo avevamo capito già da qualche anno, ma qualcuno ci guardò con sospetto. Vogliamo costruire un modello di sindacato moderno perché abbiamo bisogno di ricostruire una serie di rapporti efficienti e coinvolgenti nelle relazioni con le controparti”.
Renato Covino, docente universitario di fama internazionale ha cercato di ricostruire le connessioni sociali che hanno legato in un nodo d’acciaio i ternani alle acciaierie: “Ricostruire il ruolo della organizzazioni sindacali nella storia delle acciaierie ternane è un modo per comprendere l’importanza del polo produttivo per la città. A partire dai 2700 licenziamenti del 1953, in coincidenza con la fine della fase di ricostruzione fino al Piano Sinigaglia per la siderurgia del 1948, con il dislocamento delle aziende, Terni ha attraversato periodi acuti di scontro e scioperi drammatici, incontrando sempre la piena solidarietà cittadina”.
“Poi si apre una nuova fase di rapporti tra sindacati e azienda – prosegue Covino – negli anni ’60 e anni ’70. Il passato è il modo per cercare di comprendere le origini di una comunità e la coesione di un tessuto sociale. Terni è una città industriale, piaccia o non piaccia, ancora oggi la maggior parte del reddito deriva da questo settore. Ad oggi bisogna preoccuparsi ancora dell’acciaio”.
Claudio Carnieri, presidente dell’Aur, ha cercato invece di rispondere alla domanda “perché la comunità ternana è così legata alla vicenda delle acciaierie?”. “Terni arriva a 30mila abitanti nel 1901 – ha affermato Carnieri – e deve le sue radici di demografia al percorso industriale di Viale Brin e che si estenderà poi in tutta l’area. Non si può dimenticare poi la ricchezza e intelligenza che gli operai hanno avuto nella storia del ‘900: la Terni nasce nel quadro della fase bismarkiana della storia europea, all’epoca della prima industrializzazione”.
“Terni – conclude Carnieri – fu la prima città a destinare lo 0,80 alla ristrutturazione dei servizi sociali per anziani, fu la meta Benno Besson (allievo di Bertolt Brecht) che volle ricostruire uno scenario idoneo per il teatro dello straniamento”.
IL FACCIA A FACCIA
Una emiliana, l’altra milanese, per entrambe non esiste la lotta di classe “Ormai le classi come si intendevano prima non esistono più” – dice la Morselli, “Non esistono le classi ma esiste la disuguaglianza”, risponde la Camusso. Una faccia a faccia inedito quello tra Lucia Morselli, ad Ast, e Susanna Camusso, segretario nazionale Cgil, moderato dal giornalista Luca Telese. Ne è uscito un bel duetto, a tratti coinvolgente, che ha rivelato aspetti sconosciuti, e in qualche caso clamorosi, sulle due donne che hanno deciso le sorti dei lavoratori delle acciaierie di Terni. “Il Governo è stato spesso un ostacolo alla trattativa tra sindacati e azienda” – questa, forse, la notizia più clamorosa che entrambe hanno confermato. “Abbiamo risolto la vertenza quando ci siamo incontrati a quattr’occhi, senza la mediazione dei rappresentanti del Governo”.
“Non è che il Presidente del Consiglio si mette ad ascoltare chi difende i diritti dei lavoratori al tavolo delle trattative – ha detto la Camusso – lui mette solo la firma quando l’accordo è raggiunto. Il lavoro tocca ad altri”.
La Camusso preferisce la Morselli a Marchionne, la Morselli ritiene che a Terni si produca il miglior acciaio del mondo e vuole riportare l’azienda a livelli produttivi superiori rispetto alla sua storia. I buoni rapporti tra sindacati e manager non sono un’utopia. La Morselli, che lege almeno 5 pagine di matematica o fisica al giorno (“Studio, non leggo” – così la lady di ferro corregge Telese), ha prodotto anche il primo Grande Fratello. La Camusso preferisce la narrativa e la saggistica e il suo modello è Bruno Trentin.
Interessante botta e risposta, reso vivace da Telese con una serie di domande mirate:
Qual è il modello industriale di cui l’Italia ha bisogno?
Morselli: le bussole sono relative a dove sono le barche. Mi piacerebbe che il modello industriale italiano tornasse indietro, ci siamo perso negli anni 2000. L’industria italiana è stata fortissima, ma abbiamo perso importanti aziende. Vorrei tornare alla fine degli anni ’90 quando c’era una realtà davvero importante.
Camusso: grande impresa, piccola impresa sembra essere il modello italiano proposto. Io credo anche nella grande industria, ma quella italiana ha iniziato a perdersi quando ha smesso di investire su se stessa.
Acciaio è futuro o passato?
Camusso: se l’Italia vuole mantenere la condizione di secondo posto tra i paesi più industrializzati d’Europa, deve ancora puntare sull’acciaio che ha bisogno di investire su se stesso.
Facciamo ancora il miglior acciaio del mondo?
Morselli: sì sicuramente è fra i migliori del mondo per la qualità. Dopo la grande chiusura dell’autunno scorso tutti avevano tanta paura di non riuscire a recuperare gli ordini. Invece in pochissimo tempo è stato riconquistato il mercato. Per farlo bisogna essere i primi della classe e il mondo non può fare a meno dell’acciaio di Terni.
Sarebbe riuscita a chiudere la trattativa senza l’aiuto di Renzi?
Morselli: sì (Risposta secca senza aggiungere altro)
Camusso: in alcuni momenti la mediazione del Governo ha complicato la vita, per ragioni opposte a quelle per cui ora la Morselli applaude. Le trattative non le fa il Presidente del Consiglio, ma sono altri quelli che lavorano. C’è stata la sensazione che il Governo non capisse quale fosse la partita che noi proponevamo.
Ha mai sospettato della Cgil e Camusso?
Morselli: sospettato mai, in nessun momento. Tutti hanno lavorato molto per l’esito positivo della vertenza. Ho sempre pensato che tutti noi volessimo risolvere i problemi per il bene dell’azienda. Avevamo un obiettivo comune. Così è stato. Ci siamo visti a 4 occhi senza governo, lì è nata la fiducia.
Ha pensato che fosse un bluff il primo Piano Industriale che conteneva i licenziamenti?
Camusso: penso che le aziende non bluffino, noi siamo sempre per la buona fede e rispetto fino a prova contraria. Credo ci fosse in campo seriamente un ridimensionamento sul quale abbiamo fatto una dura lotta.
Morselli: come manager ho apprezzato lo sforzo dei sindacati, li abbiamo ascoltati e abbiamo recepito le diverse istanze. Ad esempio il risparmio dei costi è stato rispettato con l’accordo. L’azienda non ha cambiato il piano su richiesta dei sindacati. Avevamo bisogno di una riduzione di costi; il sindacato ci ha aiutato a trovare una strada in modo alternativo determinando una variante di piano dove gli obiettivi iniziali sono stati rispettati.
Si definisce progressista o conservatrice?
Morselli: tutte e due. Bisogna conservare i grandi valori e costruire il futuro con mentre aperta
Il sindacato è conservatore?
Camusso: bisognerebbe discutere sul termine riforme. Credo che il sindacato italiano sia profondamente attraversato dal cambiamenti. In questi ultimi anni abbiamo vissuto situazioni che non hanno precedenti. Il sindacato italiano è radicato nella convinzione che ci sono alcuni principi e valori che non possono essere barattati in nome di una presupposta modernità.
Serve più flessibilità e libertà di licenziare?
Morselli: si è essenziale perché stiamo vivendo in un sistema economico che cambia velocemente. Come manager, subiamo pressioni grandissime; pensiamo agli ultimi anni in Italia, la grande crisi, l’ascesa della Cina. Come manager abbiamo dovuto reinventare il modo di dirigere un’azienda ecco perché abbiamo bisogno di flessibilità, intesa come cambiamento positivo.
Cosa c’è che non le piace nel Jobs Act?
Camusso: tutto. Non va bene così come è.
Morselli: è stato un grande cambiamento. Rispetteremo queste nuove leggi con grande senso di responsabilità, con quei valori che sono alla base di una conduzione sana e responsabile dei rapporti umani.
In un’azienda amministrata da lei il controllo di ferma all’orario di lavoro?
Morselli: in uno stabilimento di un milione di metri quadri, strumenti come il controllo elettronico servono, certo lo spionaggio personale non serve a nulla. Molto dipende di chi stiamo parlando poi, dipende dai ruoli, bisogna accettare che tutti siamo supercontrollati senza saperlo e senza volerlo.
Camusso: non mi rassegno all’idea che le persone non possano essere libere nella loro privacy. Ci sono dei rapporti che vanno al di là del controllo con gps; se mi serve sapere dove è un compagno di segreteria prendo il telefono e lo chiamo, perché devo spiarlo?
Sogna un modello ideale di rapporti tra sindacati o azienda o è utopia?
Camusso: penso che il tema della distribuzione del potere tra lavoratori e impresa è importante per avere qualità del lavoro e riconoscimento del lavoro delle persone. Si ragiona meglio se non si ha l’idea del dominio. Il sapere di chi è quotidianamente dentro i processi produttivi è di supporto ai manager dell’azienda.
Morselli: le persone, i dipendenti, gli operai, i sindacati, conoscono l’azienda molto meglio del management. I contributi sono sempre ben accetti e necessari. Il contributo del sindacato è essenziale perché porta la conoscenza profonda dei lavoratori
Un modello di vita?
Morselli: Napoleone
Camusso: Trentin (Bruno Trentin, ex leader della Cgil scomparso nel 2007)
Marchionne è un profeta o un solista?
Morselli: è un manager che rappresenta una delle figure più belle di leadership. Possiamo essere d’accordo o no, ma è sicuramente un leader e il mondo ha bisogno di leader.
Camusso: il mondo ha bisogno di più collegialità e di partecipazione non di leaderismo.
Meglio Marchionne o Morselli?
Camusso: Morselli, perché rappresenta un modello con il quale ho fatto un accordo sindacale unitario.
Le manganellate agli operai Ast a Roma. Come avete vissuto quel momento?
Morselli: eravamo al Mise con i sindacati e Federica Guidi in una delle riunioni più facili. Si era discusso serenamente con buoni risultati, poi abbiamo saputo e visto le immagini. Ho capito la sofferenza degli operai, la violenza per il lavoro non ha mai giustificazione. Ho capito che si stava aprendo una strada lunga e difficile nella trattativa.
Camusso: abbiamo tutti pensato che si stesse aprendo una stagione drammatica. Non solo per Thyssen, ma sulla modalità di gestire le manifestazioni dei lavoratori. Abbiamo fatto sufficiente rumore per far capire che le manganellate non sono una soluzione. Il sindacato non ha solo strumento dello sciopero e sulla protesta. Se Terni esiste ancora è anche perché gli operai hanno saputo difendere il proprio posto di lavoro.
Morselli: Vogliamo raccogliere la tradizione delle acciaierie e portare un’impresa sana in una città sana in modo che questa saluta possa essere la base per un successo ancora maggiore dei precedenti.
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