Chiuse le indagini sulla morte di Davide Piampiano, a quasi due anni dalla tragica battuta di caccia: Piero Fabbri, dal cui fucile è partito il colpo mortale, è accusato di omicidio colposo, con l’aggravante di aver commesso il fatto nonostante la previsione dell’evento. La pena va da uno a 5 anni al netto di aggravanti e attenuanti, ma la scelta di “puntare” sull’omicidio colposo sconcerta i familiari della vittima, anche alla luce di alcune perizie e consulenze.
“L’impianto accusatorio, contenuto nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ci lascia perplessi, rilevando nello stesso capo d’imputazione qualche contraddizione, che induce a ritenere che si potesse ipotizzare un delitto di diversa gravità“, scrivono i legali Franco Matarangolo, Giovanni Flora e Francesco Maresca. “La contraddizione diventa ancora più netta se l’ipotesi accusatoria è messa a confronto con il contenuto degli atti di indagine, ivi comprese le consulenze tecniche delle difese delle persone offese e, financo, quella balistica del Pubblico Ministero“.
Il riferimento è alla perizia balistica richiesta dal pm Lorenzo Boscagli e redatta dal professor Stefano Conti o quella ambientale del dottor Umberto Sergiacomi, che ha stabilito – anche mediante un esperimento durato 60 giorni proprio nel luogo del delitto – che in quella zona, dove c’è un salto di qualche metro (“un dislivello roccioso di due tre metri”), mai un cinghiale, in condizioni “normali”, passerebbe – e infatti nei sessanta giorni un singolo animale è passato solo una volta. Una evenienza che Fabbri, cacciatore esperto, avrebbe dovuto mettere in conto prima di sparare. C’è poi l’altezza dello sparo: come noto la versione dell’indagato è che avrebbe sparato pensando che Davide fosse un cinghiale, ma il colpo è stato esploso a un’altezza di circa un metro e trenta, incompatibile con un cinghiale “alto” appena 60-70 cm e al quale si sparerebbe, volendolo centrare, ancora più in basso.
A contrastare con la versione di Fabbri anche il fatto che la visuale fosse piuttosto sgombra: non solo a quell’ora ci si vede ancora bene, ma Davide Piampiano era un ragazzone di quasi 1.90 metri e indossava un giubbotto ad alta visibilità, in una zona in cui la boscaglia non era fitta. A corroborare i fatti anche il fatto che “il luogo ove è stato rinvenuto il cadavere inoltre è piano pietrisco e ramaglie che non potevano consentire un camminamento, anche solo brevi spostamenti, senza determinare uno scalpiccio udibile anche a distanza, come conferma anche l’audio della Go-Pro”.
Dall’audio peraltro si capirebbe che lo sparo fatale non è avvenuto nei tempi di reazione dovuti alla paura: “È possibile percepire – si legge nella perizia – tre suoni distinti separati tra Loro nello spazio e precisamente un suono metallico conseguente al caricamento del fucile (scarrellamento del carrello otturatore per l’inserimento della cartuccia in canna), uno sparo nonché altri suoni riconducibili al respiro dei soggetti presenti sul luogo del fatto. Nel dettaglio si rileva un rumore di passi che si interrompe improvvisamente seguito, 2,80 secondi dopo, da un movimento armonico con il caricamento di un’arma. Trascorsi circa 3,65 secondi dall’interruzione del rumore dei passi si percepisce uno sparo“. E proprio il colpo che ha causato la morte del giovane 24enne potrebbe essere stato, per la difesa di Fabbri, Deviato, la perizia rileva che “Il foro di ingresso presenta aspetti morfologici armonici con un proiettile che ha attinto diretto e perfettamente stabilizzato la vittima, senza che abbia subito deviazioni nel corso della sua traiettoria“. C’è poi la questione delle “accuse mancanti”: in quel periodo la caccia non era permessa, ma anche e soprattutto l’eventuale omissione di soccorso.