Il massimo della pena: ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno. Tanto ha chiesto il pm Claudio Cicchella per Alfons Gjergji, imputato per l’omicidio di Sergio Scoscia e Maria Raffelli. Il giovane albanese che davanti alla corte d’Assise di Perugia ha sempre dichiarato la sua estraneità ai fatti “Io so solo che ho accompagnato un amico non so nulla dell’omicidio” – aveva detto durante la sua deposizione – e alla domanda del pm Claudio Cicchella sul perché la banda (composta dai già condannati all’ergastolo Ndrek Laska e Artan Gjoka) avrebbe invece sempre ribadito il suo coinvolgimento, l’imputato aveva risposto: “Loro accusando me hanno pensato di salvare se stessi. Sicuramente hanno deciso in Albania di fare questo. Lo hanno progettato insieme per accusare me. Mi dispiace per tutti ma non c’entro niente io in questo caso”.
La parte civile rappresentata dall’avvocato Alessandro Vesi ha invece chiesto un risarcimento pari ad 800 mila euro per Marcella Scoscia e 600 mila euro per il giovanissimo Valerio Mian che all’epoca dei fatti fece il macabro ritrovamento dei corpi insieme alla madre.
Ora sarà la corte giudici Mautone e Narducci (a latere) a dover decidere se il racconto dell’imputato ha una ragionevole credibilità o se a prevalere sarà l’impianto accusatorio della Procura, rispetto alla notte tra il 5 e il 6 aprile del 2012, quando Scoscia venne ucciso a colpi di martello in testa e la madre morì di stenti. Ma Gjergji ha spiegato di non essere a conoscenza del fatto che i suoi amici volessero entrare nel casolare di Cenerente per mettere in atto una rapina. Ha detto di averli attesi in macchina e di essersi addormentato mentre aspettava e di essere stato informato soltanto che si trattava di un appuntamento per “riprendere dei soldi”.