Mangimi record e concorrenza sleale, la protesta degli allevatori umbri in Piazza Affari a Milano - Tuttoggi.info

Mangimi record e concorrenza sleale, la protesta degli allevatori umbri in Piazza Affari a Milano

Redazione

Mangimi record e concorrenza sleale, la protesta degli allevatori umbri in Piazza Affari a Milano

Mar, 26/07/2011 - 12:40

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Anche una delegazione di imprenditori della Coldiretti Umbria ha partecipato stamane al “blitz” davanti alla Borsa di Milano, con gli allevatori italiani provenienti dalle principali regioni di produzione che hanno portato in Piazza Affari i propri maiali, ai quali non riescono più a garantire un pasto adeguato a causa delle speculazioni che, con i mercati finanziari in difficoltà, stanno interessando l’oro ma anche le materie prime per l’alimentazione degli animali, i cui costi sono saliti a livelli insostenibili.

Secondo Albano Agabiti, presidente di Coldiretti Umbria, quella di oggi è “una grande manifestazione per salvare gli allevamenti nostrani a sostegno dell’economia reale che è alla base del successo del Made in Italy nel mondo, ma che è sotto attacco delle manovre finanziarie internazionali che rischiano di far sparire dalla tavola salami e prosciutti italiani stretti nella morsa dell’aumento dei costi di produzione e della concorrenza sleale dei prodotti stranieri spacciati come italiani per effetto di una globalizzazione senza regole”.

Dello stesso parere Alberto Bertinelli, direttore della Coldiretti Umbria, secondo cui “il risultato delle speculazioni sulle materie prime alimentari e sull’energia da un lato e la concorrenza sleale dall’altrorischia di far chiudere i battenti di centinaia di aziende italiane”.

“Il primo imputato è la volatilità dei prezzi – ha detto Bertinelli – con lo spostamento dei capitali dai mercati finanziari in difficoltà alle materie prime, che ha portato i prodotti per l’alimentazione del bestiame a livelli da record. L’altro problema è rappresentato dalla concorrenza sleale dei prodotti stranieri: come più volte denunciato da Coldiretti, tre prosciutti su quattro venduti in Italia sono in realtà ottenuti da maiali allevati all’estero, ma i consumatori non lo sanno perché non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza”.

In Umbria, come emerge dai dati provvisori del 6° Censimento Generale dell’Agricoltura, dal 2000 al 2010, il numero di capi suini allevati è passato da 250.112 a 180.832, con una diminuzione media delle aziende dedite a questo tipo di allevamento, nello stesso arco di tempo, pari al – 89,6 per cento.

Secondo Agabiti, è necessario “stringere le maglie troppo larghe della legislazione a partire dall’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata, voluto con una legge nazionale approvata all’unanimità dal Parlamento italiano all’inizio dell’anno, ma non ancora applicato per le resistenze comunitarie. I cittadini consumatori infatti debbono poter scegliere consapevolmente quanto acquistano e portano poi a tavola, verificando innanzitutto l’origine degli alimenti: un modo anche per restituire valore aggiunto al lavoro degli imprenditori agricoli”.

Dal maiale alla braciola, secondo un’analisi della Coldiretti, i prezzi aumentano di almeno cinque volte per effetto delle distorsioni che si verificano nel passaggio dalla stalla alla tavola, con gli allevatori che sono costretti a chiudere le stalle e i consumatori a rinunciare alla carne.

“Gli allevatori di maiali sono stretti nella morsa dell’aumento dei costi di produzione, con le speculazioni sulle materie prime che hanno determinato rincari del 17 per cento dei mangimi e delle distorsioni di filiera, che sottopagano il nostro prodotto ad appena 1,4 euro al chilo mentre la braciola di maiale viene venduta mediamente a 6,85 euro al chilo, secondo le elaborazioni sui dati sms consumatori”, scrive Coldiretti Umbria in un comunicato. “Il risultato è che per ogni euro speso per l’acquisto di carne di maiale appena 15,5 centesimi arrivano all’allevatore, 10,5 al macellatore, 25,5 al trasformatore e ben 48,5 alla distribuzione commerciale”.

“Un’analisi -conclude Agabiti- che dimostra come nella forbice tra prezzi alla produzione e al consumo c’è un sufficiente margine per garantire un’adeguata remunerazione agli allevatori e non aggravare i bilanci delle famiglie.

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