IL RICORDO DI MICHEL PETRUCCIANI A 9 ANNI DALLA MORTE - Tuttoggi.info

IL RICORDO DI MICHEL PETRUCCIANI A 9 ANNI DALLA MORTE

Redazione

IL RICORDO DI MICHEL PETRUCCIANI A 9 ANNI DALLA MORTE

Dom, 06/01/2008 - 21:05

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Ricorre proprio oggi la morte di Michel Petrucciani, sopraggiunta all'età di 36 anni; la fine prematura di una delle più rimarcabili e significative carriere nella storia pianistica del jazz. Soffriva di una malattia a dir poco rara, “osteogenisis imperfecta”, o più semplicemente “malattia delle ossa di vetro”.La sua vita per quanto atipica e fisicamente deficiente, non fu meno intensa, vivace e spensierata di altre; riuscì a coglierne l'aspetti più emblematici, più cristianamente felici, più emotivi. Egli costruì un enorme seguito per le sue apparizioni in concerto in giro per il mondo; vederlo per la prima volta poteva significare vivere un'esperienza sconvolgente; con lui si realizzò quel processo di sublimazione di una musica totalizzante; era sicuramente un privilegio di pochi sentirlo.Il suo tocco aveva un qualcosa di estremamente personale, era in grado di raggiungere quel tipo di perfezione melodica che molti pianisti “sani”gli invidiano tutt'ora; un senso ritmico non definibile comune e uno tenero sorriso assolutamente disarmante fanno di Michel Petrucciani uno dei più grandi pianisti jazz mai esistiti. Paragonato sovente ad un altro pilastro del jazz come Bill Evans, per la sua ricercata e geniale combinazione armonica, “contaminò” la sua musica di una energica percussività timbrica, tratto peculiare del suo fraseggio pianistico.È doveroso ricordare le sue numerose collaborazioni: il trombettista Clark Terry, il vibrafonista e batterista Kenny Clarke, il sassofonista Lee Konitz ( diedero vita ad un connubio artistico che sfociò in una tournee per la Francia), il tenorista Charles Lloyd, Anthony Jackson, Steve Gadd, Bob Brookmeyer, Miroslav Vitous ecc. Ci sono anche svariati artisti italiani, a mio giudizio indiscutibilmente meritevoli di vantare una collaborazione artistica di tale calibro: Stefano “Cocco” Cantini, Flavio Boltro, Stefano di Battista ecc.I suoi colori musicali erano così vasti da stupire chiunque per la sua sorprendente immaginazione armonica; anche lo standard jazzistico più classico con lui prendeva una nuova forma, appunto, un nuovo e intenso colore. In un'intervista; da li a poco sarebbe tristemente venuto a mancare, ricorda quanto il contrasto e il continuo alternarsi dei colori nella natura fosse di vitale importanza nella sua magica e nobile musica. Non potendo logicamente fare un'elencazione di tutti i colori con i relativi accostamenti emotivi, esalta due colorazioni di pregnante e vitale importanza nella sua personale disciplina musicale; questi sono il verde e il blu.Quest'ultimo incarna la sua singolare malinconia, intessuta ad una sofferenza perenne derivante da un'infermità che lo ha notevolmente limitato, ma che allo stesso tempo, ecco il “sopraggiungere” del verde, gli ha imposto di non guardare alla sua condizione come una valida ragione per tralasciare quello che la vita poteva generosamente offrirgli.Doveroso è ricordare questa frase, sicuramente nota agli appassionati di questa genere di musica, a dir poco significativa ed emotivamente carica: “Talvolta penso che qualcuno, lassù, mi abbia preservato dall'essere uno qualunque, una persona ordinaria”.Riporto fedelmente una parte di una recensione, avvenuta postuma alla sua morte, letta sul “Corriere della Sera” un paio di anni fa: “e pensare che prima che un'avventura umana, magari simile a questa, possa fiorire e dare i suoi straordinari frutti, c'è uno scienziato qualunque che in un laboratorio sta strappando cellule ad un embrione. Qualora la diagnosi preimpianto decretasse la nascita di un soggetto nano, gobbo e deforme; l'uomo, l'anima, il talento, la fatica, il sacrifico,l'amore, l'emozione e la dignità andrebbero a farsi “fottere”. Sarà forse un invito a riflettere?

(Francesco Calvani)


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