Come andarono realmente i fatti a teatro nello spettacolo del 1964. Lo scandalo, le denunce e le sedie che volavano dal loggione
Il Festival dei Due Mondi dava scandalo, eccome! E i tempi in cui accadeva erano proprio quelli della maggiore contrapposizione tra fazioni ideologiche in Italia. Le ferite del Dopoguerra erano ancora tutte aperte, constatando con delusione che ancora oggi l’Italia è ben lungi dall’essere pacificata e concorde su alcuni concetti basilari di democrazia e convivenza civile garantita. E come se non bastasse, nel teatro internazionale c’era anche lo scontro tra i paesi del blocco Occidentale e quelli del blocco dell’Est a trazione sovietica. E’ così che, in questo contesto rievocativo, deve essere nato il post della pagina ufficiale sui social network della manifestazione, in cui si ricorda il celebre spettacolo del 1964 a Spoleto intitolato simbolicamente “Bella Ciao”. Nel ricordo del 25 aprile, il testo, necessariamente stringato e che pubblichiamo di seguito, spiega come in quella famosa serata “scandalo”, il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano diede vita ad un pezzo significativo di storia della musica popolare-folk italiana e dello stesso Festival. Ma senza scendere in dettagli.
Il recital era stato organizzato appositamente per Spoleto da Filippo Crivelli, Franco Fortini e Roberto Leydi, su invito di Nanni Ricordi. Gli interpreti erano Sandra Mantovani, Giovanna Daffini, Giovanna Marini, Maria Teresa Bulciolu, Caterina Bueno, Silvia Malagugini, Cati Mattea, Michele Straniero, il Gruppo di Piadena, accompagnati dalla chitarra di Gaspare De Lama.
“Bella Ciao”, come andò veramente
Mentre era già chiaro sin dal 1964 che il brano Bella Ciao era mutuato da uno dei canti di lavoro delle Mondine, tanto da farne il titolo dello spettacolo che, lo ricordiamo, venne portato in giro per il Paese in altre date e decretò il successo del gruppo e del genere Folk, quello che nessuno si aspettava a Spoleto fu che durante l’esecuzione di un celebre brano antimilitarista O Gorizia, tu sei maledetta, in platea si scatenasse una reazione sulle prime di fastidio ma che ben presto degenerò in una quasi rissa, con strascichi legali e penali.
La canzone faceva riferimento alla battaglia di Gorizia in cui persero la vita circa 21 000 soldati italiani e 9 000 soldati austriaci. La versione originale venne raccolta da Cesare Bermani a Novara, secondo la testimonianza di un uomo che l’aveva ascoltata dai fanti durante la presa di Gorizia, il 10 agosto. Nata dalla frustrazione dei soldati italiani a seguito della sesta battaglia dell’Isonzo, che aveva portato alla conquista di Gorizia da parte delle truppe italiane, al prezzo però di un alto costo in vite umane, era considerata come immorale, disfattista e di stampo anti-bellico dai vertici militari italiani, che decretarono che chiunque fosse stato sorpreso a cantarla, fosse passato per le armi. (Fonte Wikipedia)
Il dettaglio di quello che accadde lo racconta direttamente Giovanna Marini, che avrà una importante carriera negli anni a venire nel campo della ricerca etno-musicale:
«Nel ’64, grazie a Nanni Ricordi, siamo andati a Festival di Spoleto con uno spettacolo intitolato Bella Ciao, dove abbiamo cantato per la prima volta dopo la guerra, in un’importante occasione ufficiale, i canti popolari di lotta che durante il fascismo erano vietati […] Michele Straniero cantò una strofa di ‘Gorizia’ che diceva: ‘Traditori signori ufficiali / voi la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / questa guerra ci insegni a punir’ nella sala che era piena di allievi ufficiali perché lì c’era la scuola. Scoppiò l’inferno. Spoleto era un festival di musica classica, c’era la nipote di Toscanini, molte signore bene tra cui una che disse: ‘Non ho pagato un biglietto da mille lire per sentir cantare sul palcoscenico la mia donna di servizio’. Non si era mai vista una cosa del genere. Però c’erano anche dei partigiani: c’era Bocca (Giorgio Bocca), c’era Mosca e nel loggione c’era la famiglia dei Piadena (Il Duo di Piadena) numerosissimi e comunisti. Da sopra hanno iniziato a cantare Bandiera Rossa, hanno buttato giù delle sedie, da sotto hanno incominciato a cantare Faccetta Nera…».
Peraltro, in una vecchia pubblicazione antologica del Festival, prima del nuovo corso inaugurato dal compianto Giorgio Ferrara, abbiamo scovato il programma intero della serata, dove era già incluso in scaletta il pezzo incriminato di Gorizia. Il che, ancora una volta, ci persuade del fatto che anche decenni fa si andava a teatro senza sapere cosa si andava a vedere o ascoltare, a sorpresa insomma.
Da quello che è stato possibile ricostruire, grazie anche ad una recensione sull’attività di Roberto Leydi del 2014 di Paolo Mercurio, sul Blog Folk Magazine, “Al fine di evitare polemiche, Leydi, Crivelli, Fortini e Menotti cercano di presentare uno spettacolo culturalmente valido, innovativo e progressista, ma sostanzialmente accettabile anche da un pubblico così targettizzato come quello del Festival dei Due Mondi. A causa dell’improvviso calo di voce di Sandra Mantovani, si decide all’ultimo momento di far eseguire la canzone “Gorizia” a Michele Straniero, il quale in concerto esegue una strofa non prevista in scaletta“. E poi il volo di sedie al suon di Bandiera Rossa, come sappiamo.
Il contesto sociale dello scandalo
Dalle foto dell’epoca che si possono rintracciare nelle numerose pubblicazioni editate sulla storia del Festival, ricordiamo come la partecipazione agli spettacoli, qualunque fossero, era una occasione di mondanità sempre e comunque. Eleganza formale come si conveniva per chi frequentava i teatri, imponeva abito lungo per le signore, con ingioiellatura quasi d’obbligo, e smoking per gli uomini. Il minimo sindacale era ovviamente l’abito scuro, giacca e cravatta per l’uomo, e abito lungo sotto il ginocchio e tacco piccolo per le signore.
I biglietti per gli spettacoli dell’epoca erano comunque un lusso e rimangono nella storia della manifestazione le ali di folla che si radunava davanti al Teatro Nuovo per osservare a bocca aperta l’ingresso a teatro di chi aveva la possibilità di farlo. Molti anche gli ufficiali d’Arma, Carabinieri, Esercito e quant’altro, tutti con divisa estiva (giacca bianca “montata in oro” e pantaloni neri), che per la sola presenza, marcavano un distacco siderale con l’esercito delle maniche corte in terital e il calzino corto all’esterno.
Questo contesto storico sociale, facilmente verificabile, è quello in cui maturò il caos a teatro nel giugno del 1964 e che porto un ufficiale di alto grado dei Carabinieri presente in platea a denunciare seduta stante Straniero, Leydi, Bosio e Crivelli per vilipendio delle Forze Armate.
Ma possiamo solo immaginare lo scandalo per le sedie che precipitavano dal Loggione al canto di Bandiera Rossa e qualche signore dotato di smoking che rispondeva con Faccetta Nera. E’ certo che a Spoleto il governo politico della città (dal dopoguerra una teoria ininterrotta per decine di anni di maggioranze legate al PCI con in testa l’indimenticato sindaco Gianni Toscano che credette in Menotti e il Festival) non fosse proprio legato a certe autorità destrorse e di vertice dello Stato, pur nel rispetto dei ruoli costituzionali garantiti. Tuttavia quello che accadde a teatro fu una questione dove Spoleto risultava essere solo il contenitore di una tempesta perfetta che, purtroppo, ancora non si è esaurita ma si rinnova senza sosta in Italia ogni 25 aprile.
Una cosa è però cambiata di sicuro: da qualche anno a questa parte il Festival non dà più scandalo. Qui da noi è davvero scoppiata la pace mentale e ideologica!