di Don Gianfranco Formenton
“A cadenza annuale il Corriere dell'Umbria pubblica resoconti terribili delle gesta sconsiderate dei preti dell'Alta Marroggia, con una particolare dedizione nei confronti del parroco di S. Martino in Trignano, don Gianfranco Formenton. L'argomento è sempre lo stesso: fiori. Fiori e ghirlande negate ai funerali; copri-bara ai quali è impedito l'accesso nelle chiese, proteste di gente devota e praticante che inorridisce di fronte a “divieti incomprensibili”. Un giornalismo funerario che raccoglie le “confessioni” di tanti “avventori” occasionali di chiese secondo lo schema “e io lo dico a Striscia la notizia!”. E i giornalisti nostrali ci stanno, scrivono, registrano, si fanno promotori e mai si prendono la briga di sentire che cosa hanno da dire questi “preti cattivi”. Il giornalista Berti (altra testata – Il Messaggero, ndr), anni fa, se la prese con i colori di una stola e nella sua ignoranza di liturgia credette di leggere nei colori di un paramento liturgico tutto un orizzonte politico (naturalmente di sinistra). Interpellato rispose che “ce l'aveva con i preti” e quindi scrisse! Quando si dice “deontologia”! Il giornalista Casciola (Corriere dell'Umbria) un anno fa, si lanciò a difesa dei “poveri” impresari di pompe funebri che si lamentavano delle norme liturgiche adottate nell'Unità Pastorale dell'Alta Marroggia e stilò un elenco minuzioso di preti “buoni” e di preti “cattivi” (e per la cronaca il più “cattivo” era proprio il parroco di S.Martino). Interpellato sul fatto di non avere neanche sentito l'opinione dei “preti cattivi”, rispose che a fronte della protesta del parroco in questione aveva decine di segnalazione di cittadini infuriati. Poi passò una lieve precisazione. Ora è la volta di Rosella Solfaroli (Corriere dell'Umbria 15.02.08) che descrive con abbondanza di “terribili” particolari (dove erano posizionati i fiori sulla bara, i minuti intercorsi nella diatriba tra il parroco e i parenti affranti ecc.) e che raggiunta al telefono dal parroco di S.Martino che gli ricorda che quel giorno don Gianfranco era all'ospedale e che, quindi non poteva essere nel luogo descritto, si difende dicendo che “fa lo stesso”! Accettata, comunque, la presunzione del dono dell'ubiquità, alla pretesa di vedere espresse anche le posizioni dei “preti cattivi” risponde: “può sempre fare una rettifica!” Ricordo alla giornalista che ogni volta che si riporta una polemica si ha il dovere di riportare anche le opinioni della controparte e che le rettifiche vengono fatte ogni anno e che, quindi sarebbe il caso che se le ricordassero. La giornalista risponde: “Lei non mi deve insegnare il mestiere!”. Capisco che è inutile continuare a parlare con una persona che scrive dalle colonne di un giornale che mi insegna ogni anno qual'è il mio mestiere e quindi rinuncio a capire. Ma non rinuncio a riportare quello che, come preti dell'Unità Pastorale dell'Alta Marroggia scrivemmo dopo l'intervento di Casciola. A memoria dei posteri. E rinnovo alla giornalista Rosella Solfaroli l'invito a migliorare la sintassi e il fraseggiare che mi sembrano un po' incerti”.
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Questo l'intervento dello scorso anno:
NON FIORI MA OPERE DI BENE
5 gennaio 2007
“Confesso che parlare di vita e di morte dal punto di vista dei fiori mi sconcerta perché nella liturgia cristiana non se ne parla proprio. Nelle nostre celebrazioni ci è chiesto di parlare del mistero, della vita e della morte, della resurrezione. Ci è chiesto, nella liturgia cattolica, di porre nel momento della morte, bene in vista i simboli della vita: il cero pasquale (memoria del battesimo), l'acqua (memoria del battesimo), la Parola di Dio (unica parola sensata in vita e in morte), l'incenso (l'onore per il corpo) ma non c'è menzione nei libri liturgici dei fiori. Nessuno di noi ha mai negato il rito delle esequie a nessuno (e di questi tempi non è poco). Nessuno di noi ha mai negato ad un nipotino, ad un figlio, ad una madre, ad un marito e ad una moglie di deporre un fiore sulla bara di un amore perduto. Ma negli ultimi decenni è invalsa una pratica immonda, commerciale, legata più al commercio degli impresari di pompe funebri e alla follia di questa società dove tutto, vita e morte, è legato alla quantità, allo spettacolo, che ha totalmente falsato il senso della celebrazione delle esequie e che nulla ha a che fare con la liturgia della Chiesa Cattolica che indica sempre e comunque che la “memoria dei defunti si onora con le preghiere e con le opere di bene” (e opere di bene coincide con “caritas”= amore concreto). Questa pratica commerciale ha portato piano, piano molti cristiani, oramai incapaci di dire parole come “mi dispiace”, “ti voglio bene”, “il Signore è veramente risorto”, ad affidarsi alla banalità del fraseggiare mortuario raccolto intorno al “destino”, al “sono sempre i migliori che se ne vanno”, “peggio è per chi resta”, “non ci pensare” e all'invio del mazzo di fiori, del cestino, della pianta (munita di biglietto da raccogliere per fare la conta degli intervenuti) al posto della vicinanza, della carezza, della preghiera. Noi, parroci dell'Unità Pastorale dell'Alta Marroggia, insieme agli operatori pastorali delle nostre parrocchie abbiamo deciso di credere ancora alla forza dei gesti cristiani e di porre un confine tra il legittimo commercio dei fiori e delle casse da morto e l'altare del Signore e di proporre con forza il senso della vita proprio in occasione della morte. Nelle nostre chiese le spoglie dei nostri morti sono deposti con rispetto su un tappeto fiorito senza carrelli “modello Fiumicino”; davanti alla bara si accende il cero pasquale (come ci ordina la liturgia cattolica); sulla bara viene posto il Vangelo della Risurrezione (e non il “copri-bara” che copre la croce); alla colletta (che non è una “rapina a mano armata”) si ricorda la necessità di onorare i defunti con le “opere di bene” (tradotto “caritas”). Del resto è esattamente quello che è accaduto ai funerali dell'ultimo Papa e per noi, nessuno è meno importante di un Papa. Tutto il resto (il legittimo commercio dei fiori e delle casse da morto) non appartiene alla liturgia della Chiesa Cattolica e si deve fermare fuori dalla porta della chiesa. (Anche le nobili associazioni che operano meritevolmente sul nostro territorio e alle quali non è mai stato impedito di raccogliere fondi, per proprio conto, sui sagrati delle nostre chiese)
Le nostre chiese non sono locali che uno prende in affitto per le cerimonie familiari e dove uno pretende di fare quello che gli pare al grido di “la Chiesa è di tutti”; le nostre chiese pretendono rispetto per le consuetudini che le comunità cristiane del territorio hanno ritenuto bene avviare e non è l'ultimo arrivato che si va a confessare dal Corriere dell'Umbria ad avere il diritto di sparare a zero su cose di cui non sa. Nelle nostre chiese i fiori ci sono sempre (a parte i tempi come la Quaresima e l'Avvento nei quali i fiori non ci devono essere) perché ci sono persone che con amore e dedizione curano la “Casa del popolo di Dio”, ci sono sempre e non solo in certe occasioni”.