Alessia Chiriatti
Il 28 maggio l’Italia sarà di nuovo di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per rendere conto della situazione nelle sue carceri, dopo che Strasburgo, lo scorso 27 maggio 2013, ha rigettato il ricorso presentato dal Bel Paese. L’Europa ci ha infatti concesso un anno per risolvere il sovraffollamento negli istituti detentivi, per il quale abbiamo un triste primato: la sentenza della Corte era stata già emessa l’8 gennaio e aveva decretato la violazione dei diritti umani nelle carceri italiane, all’interno delle quali i detenuti hanno a disposizione meno di tre metri quadrati. Il dispositivo della Corte Europea era arrivato in particolare dopo le denunce sul “trattamento inumano e degradante” a cui 7 detenuti erano stati soggetti nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Ora spetta a due decreti legge cercare di deflazionare il carico umano.
L’elezione – Anche a fronte di questi dati la funzione del garante delle carceri si veste di una valenza importante: in Umbria, dopo una vacatio di ben 8 anni, lo scorso 8 aprile il professor Carlo Fiorio, docente ordinario di Diritto Processuale Penale all’Università degli Studi di Perugia, è stato eletto dal Consiglio Regionale, diventando appunto così garante delle carceri per l’Umbria. Un processo lungo, quello che ha condotto a questa nomina, anche a seguito della modifica della legge per l’elezione, e durante il quale molto si sono spese le associazioni impegnate nella difesa dei diritti del cittadino, tra cui Libera. Fiorio, classe ’65, lavora nel mondo delle carceri ormai da diversi anni, e si è già impegnato per conto della facoltà di Giurisprudenza di curare lo “Sportello legale dei diritti”; un servizio che, con la partecipazione dei laureandi, offre assistenza e consulenza ai detenuti, in particolare a quelli in condizioni di grave disagio economico.
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In Umbria – Sono quattro le carceri umbre di cui il Professor Carlo Fiorio sarà ora garante: Perugia, Orvieto, Terni e Spoleto. Quattro istituti di detenzione differenti per tipologia di carcerati e per storia: sembra essere Orvieto la struttura dove i detenuti se la passerebbero meglio; Capanne, a Perugia, è nota per essere abitata soprattutto da stranieri, legati in particolare a reati di droga e contro il patrimonio. La casa di reclusione di Spoleto è invece un carcere realizzato e ideato per detenuti a regime di alta e altissima sicurezza: “è come se da quel carcere non sia uscito mai nessuno”, ha detto a Tuttoggi.info lo stesso Professor Fiorio, facendo riferimento all’architetto, Sergio Lenci, che ne progettò la costruzione nel 1970 e che fu poi assassinato per mano di Prima Linea nel 2001, con la “colpa” di aver dato vita anche a Rebibbia con criteri di rispetto umano dei detenuti, che avrebbero però ridotto il loro “potenziale rivoluzionario”. A Terni, poi, in base al rapporto dell’Osservatorio Antigone, “il carcere presenta diversi circuiti detentivi al suo interno, il che rende difficile e impegnativo per l’amministrazione garantire i servizi e la sorveglianza”.
La situazione – Ad oggi i problemi maggiori per i diritti dei detenuti passano per la salute, la difesa, i diritti ai colloqui, le telefonate, la vicinanza ai familiari, nonostante ci siano delle norme garantiste a riguardo. Il 40% dei detenuti è dentro per reati legati alla droga o contro il patrimonio, magari connessi all’acquisto e al riperimento dello stesso stupefacente, mentre l’80% è di origine straniera. La maggioranza poi sono uomini, mentre le donne delinquono meno. Pochi riescono ad essere reclusi in carceri vicine al proprio luogo di origine. In tanti sono emarginati, tossicodipendenti, meno i destinatari di misure alternative alla detenzione. Ad appesantire il già inceppato sistema è stato il passaggio del Sert dalla gestione sanitaria a quella penitenziaria. Il carcere si configura dunque come una struttura fortemente classista, spesso abitato da persone povere, o con ristrettezze economiche.
Cosa può e farà il garante – E’ in questi gangli che lo stesso garante può inserirsi, per lavorare e fare non solo da tramite, ma fornire anche una via alternativa per le condizioni detentive: attraverso il rispetto delle norme, difendendo i diritti, concedendo maggiori contatti con la famiglia; a livello giuridico, facendo da tramite con i magistrati; e non per ultimo lavorando per il reinserimento nella società dei detenuti una volta dopo la scarcerazione. “Una volta un carcerato vantava di rifiutare il cibo dall’amministrazione penitenziaria”, ci ha detto il professor Fiorio, “oggi quel piatto non se lo negano più. Questa è la misura sulla quale dovremmo realmente riflettere per capire qual è attualmente la situazione all’interno delle carceri”.
Video di Radiophonica.com
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