Le asimmetrie di genere nella società umbra vengono affrontate nello studio dell’Agenzia umbra ricerche (Aur) firmato da Enza Galluzzo
Le donne in Umbria – come purtroppo nel resto d’Italia – sono meno occupate e pagate rispetto agli uomini. Costrette spesso, loro malgrado, a lasciare il lavoro in caso di esistenza di figli piccoli, nonostante le normative che dovrebbero tutelarle.
Le asimmetrie di genere nella società umbra vengono affrontate nello studio dell’Agenzia umbra ricerche (Aur) firmato da Enza Galluzzo, che offre una importante panoramica della situazione regionale anche rispetto al periodo della pandemia. Che viene commentata anche dalla Consigliera di parità della Regione Umbria, Rosita Garzi, che ha sostenuto la ricerca.
L’obiettivo dell’ultima analisi effettuata dall’Aur – di cui riportiamo vari stralci – è quello di “fornire una lettura di genere e un’analisi delle principali asimmetrie della società umbra, con riferimento anche al quadro nazionale. Dall’analisi dell’occupazione, delle rinunce al lavoro, delle disparità e della precarietà, passando per la formazione scolastica e le stem, con un quadro di sfondo sulla questione demografica e sull’erosione della popolazione in età attiva, si arriva ai temi del benessere e della soddisfazione. Tutti ambiti nei quali permangono ancora forti asimmetrie di genere. La ricerca offre un contributo analitico e di riflessione a supporto del programma di rilancio economico e sociale del nostro Paese”. L’intero rapporto si può leggere cliccando qui.
“La condizione della donna – evidenzia la Consigliera di parità nella premessa alla ricerca – sta diventando ormai un problema strutturale del nostro sistema. I significativi balzi in avanti fatti nel secolo scorso in tema di pari opportunità, che hanno sanato molte gravi disparità ed ingiustizie, si sono trasformati negli ultimi decenni in piccoli o piccolissimi passi, talvolta in avanti e altre volte indietro. Una situazione stagnante che neanche la pandemia ha rivoluzionato, almeno stando ai dati odierni, sebbene ancora di poco respiro”.
“Si parte – spiega – dal nodo dei nodi per le donne: il lavoro. Il 2022 si configura come l’anno post-pandemia in cui si assiste ad una ripresa dell’occupazione che riesce a superare lievemente i livelli del 2019. Ma il ritorno alla normalità cambia poco per le donne. Persistono molte delle problematiche che attraversano l’universo femminile, ancora distante dalle pari opportunità. Sebbene l’occupazione delle donne sia in ripresa, l’area dello scoraggiamento è ancora ampia e il divario di genere esteso. Tra le ulteriori problematiche maggiormente significative che attanagliano ancora l’universo femminile, vi sono una persistente overeducation, un gender pay gap e una incessante precarietà. L’Umbria in particolare si distingue per una allocazione non ottimale delle sue risorse umane e per una bassa valorizzazione del potenziale formativo dei lavoratori. Se l’istruzione si configura come un fattore protettivo ed al contempo un acceleratore per tutte le persone, soprattutto per le donne, per contro la prematura uscita dai percorsi scolastici o la lontananza dal sistema di formazione e lavoro porta al rischio di marginalizzazione. Per questo fenomeni come la dispersione scolastica e il fenomeno dei Neet devono essere tenuti sott’occhio. I dati umbri relativi alla componente femminile sono incoraggianti in quanto nell’ultimo anno hanno subito una caduta. L’evoluzione futura darà conto della stabilità di tale variazione”.
Entrando nel dettaglio dei dati, per quanto riguarda l’occupazione, nel 2022 quella femminile è riuscita a superare i livelli pre-pandemia, tuttavia persiste una preoccupante sottoccupazione delle donne (58,1%). Il tasso di occupazione delle donne è inferiore di circa 13,7 punti rispetto a quello maschile. E’ comunque in calo il tasso di disoccupazione femminile nel 2022 (8%), ma rimane significativo il tasso di inattività (36,9%). L’istruzione protegge le donne nel mondo del lavoro: il tasso di occupazione delle laureate (77,7%) è più del doppio rispetto alle meno istruite (35,3%).
Il ritorno alla normalità post Covid non ha favorito le donne. Sono state ripristinate molte delle problematiche che attraversano l’universo femminile, ancora distante dalle pari opportunità. Le minori chances occupazionali delle donne si traducono in uno scoraggiamento che pesa ancora molto nella realtà regionale. La situazione Umbra si inserisce in un quadro italiano che continua a conservare i segni di una strutturale sottoccupazione delle donne e di una preoccupante sacca di inattività, con un Sud ancora ai margini e un Nord che non spicca. Ci troviamo quindi di fronte ad una mediocrità su cui la pandemia ha creato una discontinuità negativa in via di recupero.
Nel 2022 il tasso di occupazione in Umbria si attesta al 64,9%, esito della media tra quello più consistente degli uomini e quello delle donne che non riesce neanche nell’ultimo anno esaminato, a raggiungere il 60%. Lo sguardo agli ultimi anni mostra che nel 2022 il tasso di occupazione di donne e uomini cresce e riesce a superare i valori pre-pandemia del 2019. Rispetto al 2020, la crescita si attesta a 1,8 punti tra le donne, a fronte di un 2,2 tra gli uomini. La penalizzazione femminile nell’incremento tra il 2020 ed il 2022 si va a sommare al decremento registrato nel 2020 a seguito della pandemia. Si registra quindi una tendenza alla crescita, ma meno marcata rispetto agli uomini.
Le basse opportunità nel lavoro delle donne continuano ad essere una problematica strutturale che riguarda tutti i territori, anche se con entità diverse da Nord a Sud. L’Umbria continua a porsi al di sopra della media nazionale, ma al di sotto del Nord Italia. La distanza del Sud è significativamente ampia. Il differenziale di genere umbro si pone al di sotto delle altre ripartizioni territoriali. Quello del Sud è molto alto, rispetto al resto d’Italia. Nella classifica delle regioni per tasso di occupazione delle donne, l’Umbria si pone ad un livello sostanzialmente intermedio, distante di 8 punti rispetto a Trentino Alto Adige che ha il tasso femminile di occupazione più alto. Nell’ambito della ripartizione centrale, l’Umbria presenta valori inferiori a Toscana e Marche.
Il tasso di occupazione delle donne segmentato per classi di età mostra che la fascia di massima concentrazione lavorativa è quella centrale dai 35 ai 44 anni, dove il tasso di occupazione raggiunge il 75%. Rispetto a tale dato, il tasso di occupazione discende andando verso le classi più estreme con un andamento a campana. I valori più bassi si riscontrano nella classe delle giovanissime.
L’andamento dei tassi di occupazione a partire dal periodo pre-pandemia fa emergere delle situazioni differenziate. Rispetto alla caduta registrata nel 2020, tendenzialmente il tasso di occupazione è cresciuto in ogni classe di età. Nella classe delle giovanissime, in quella intermedia e nella successiva il tasso di occupazione supera i valori del 2019. Le classi in cui il livello di occupazione rimane ancora inferiore a quello pre-pandemia sono gli over 55 e la classe delle giovani dai 24 ai 35 anni. In particolare quest’ultima, che rappresenta la fascia della prima occupazione, risulta in sofferenza. Il confronto di genere mostra tra gli uomini un tasso di occupazione più elevato in ogni classe di età: l’apice della distanza si riscontra nella classe 45-54 in cui il gap è di quasi 20 punti, seguito dalla classe 35-44 anni (17,1); il valore si abbassa nelle classi estreme ed in particolare tra i giovani.
Sono i giovani ad essere maggiormente colpiti dal fenomeno della disoccupazione: fino ai 34 anni la disoccupazione, sia per donne che per uomini, è a due cifre e particolarmente accentuata tra i giovanissimi. Le donne soffrono maggiormente di tale fenomeno in tutte le classi di età, rispetto agli uomini. La disoccupazione decresce con l’aumentare degli anni, per poi aumentare di nuovo, lievemente, in età più matura con un andamento tendenzialmente a parabola. Per gli uomini la classe di età con la minore disoccupazione è quella centrale, per contro tra le donne è tra i 45 e i 55 anni.
Il mercato del lavoro umbro è caratterizzato da una significativa sacca di inattività femminile (36,9%). Gli ultimi anni sono caratterizzati dallo scivolamento nelle file della inattività di occupati e disoccupati a seguito dello stravolgimento causato dalla pandemia; nel 2022 si avvia un tenue recupero. Tra le donne umbre nel 2022 l’inattività è diminuita rispetto all’anno precedente di neanche un punto. Andamento similare si riscontra tra gli uomini. Il gap di genere continua a rimanere a due cifre, oltre 13 punti.
Dal rapporto emergono minori opportunità sul lavoro per le madri. Nel 2021 sono state 620 le dimissioni e le risoluzioni consensuali del lavoro delle madri con figli fino a tre anni La maggior parte delle rinunce all’occupazione avvengono per difficoltà di conciliazione tra vita e lavoro. Nel 2022 in Umbria a fronte di 100 donne (25-49 anni) occupate senza prole, ve ne sono solo 80 con almeno un figlio in età prescolare.
L’antitesi tra vita e lavoro è uno dei dilemmi che attraversa il nostro sistema sociale. L’organizzazione del lavoro spesso si pone in contrasto con i ritmi e le esigenze di vita. Questo riguarda tutte le persone, uomini e donne, ma i fatti dimostrano che a farne le spese è maggiormente l’universo femminile.
Lo sforzo, fatto dalle donne per trovare lavoro e mantenerlo, viene spesso in contrasto con la difficoltà di essere contemporaneamente madri e lavoratrici. La vulnerabilità delle scelte lavorative delle donne durante i primi anni di vita dei figli e la minaccia di espulsione dal mondo del lavoro, esplicita o implicita, vengono tutelate da tempo dall’ordinamento giuridico.
Due terzi delle donne riconducono le dimissioni a difficoltà di conciliazione. In particolare il 44% a problematiche legate ai servizi di cura: assenza di parenti di supporto (32,7% sul totale), elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (es. asilo nido o baby-sitter), mancato accoglimento al nido. Il 22% invece a esigenze legate all’azienda, ovvero a condizioni di lavoro particolarmente gravose o poco compatibili con le esigenze di cura della prole (12,3% sul totale), distanza dal luogo di lavoro, ragioni concernenti l’orario di lavoro, modifica delle mansioni svolte.
Interessante è il dato relativo all’incidenza delle dimissioni e risoluzioni delle persone con figli nella fascia di età 0-3 anni rispetto al totale delle persone con e senza figli. L’incidenza delle donne è decisamente maggiore di quella degli uomini, oscillando tra il 2,9 della Calabria ed il 6,7 del Trentino Alto Adige; per contro la percentuale della componente maschile parte da valor minimi fino al 2,9 %. L’Umbria mostra un valore più alto per le donne, ovvero 4,8%, rispetto agli uomini, 1,3%.
C’è poi la questione dello stipendio inferiore delle donne rispetto agli uomini. Anche nel 2021 i redditi annui da lavoro dipendente delle donne sono inferiori a quelli degli uomini. Il reddito delle umbre è più basso del 6,3% rispetto a quello italiano e del 10,9% rispetto al Centro-Nord.
L’Umbria, tra l’altro, detiene la percentuale più alta in Italia di overeducation che riguarda il 37,2 % delle occupate.
Oltre ai problemi che riguardano l’accesso al mondo del lavoro, il percorso occupazionale delle donne è attraversato da una serie di difficoltà, nient’affatto facili da affrontare. Si tratta di situazioni che tendono a marginalizzare il ruolo delle donne, invece che valorizzarlo. Si fa riferimento ad alcuni punti di caduta dell’occupazione femminile che sono ampiamente diffusi, molto complessi da misurare e difficili da arginare. Ciò che colpisce è la loro sistematicità nel tempo e la loro diffusione, che li porta a poter essere considerati problematiche strutturali.
Innanzitutto la segregazione orizzontale, ovvero la concentrazione delle donne in posizioni di mercato deboli o limitate. A questo si aggiunge il problema del pay gender gap, tematica molto complessa soprattutto in rapporto alla completezza dei dati ed alla metodologia di analisi. Inoltre l’occupazione in generale, ma soprattutto quella femminile è colpita dal problema della sovraistruzione che comporta un forte disallineamento tra attività e valorizzazione delle competenze. Infine l’universo femminile continua ad essere bersaglio specifico di lavori poco tutelati e senza un solido orizzonte.