Nel cuore del crollo di iscrizioni che ha colpito l'Università di Perugia negli ultimi anni c'è la facoltà di Lettere e Filosofia, che solo negli utlimi 12 mesi ha perso ben 600 iscritti, laureati o che hanno abbandonato gli studi. Uno dei fulcri di questo ed altri fenomeni, tra cui il calo della popolazione studentesca proveniente dal sud Italia e del livello qualitativo “percepito” dell'intero ateneo perugino sembra essere, secondo i suoi ex studenti, il fenomeno “Scienze della Comunicazione”.
Il corso di studi interfacoltà in Scienze della Comunicazione, denominato “Classe 14”, è senza dubbio nell'occhio del ciclone del crollo numerico degli iscritti a Perugia. Secondo i dati sulla popolazione studentesca del Ministero dell'Istruzione, il corso è passato dalle 859 matricole dell'anno accademico 2001/2002 -periodo del boom in tutta Italia per Sdc- alle 119 matricole iscritte nel 2009/2010 alla laurea triennale. Un crollo esponenziale che sta producendo ancora i suoi effetti “numerici”, con i vecchi iscritti in corso e fuori corso che stanno pian piano lasciando l'ateneo. Una caduta che, secondo gli studenti degli anni del “boom”, affonda le sue radici nella crisi economica, ma anche in una politica sbagliata dell'ateneo.
Effetto crisi – “Che la qualità di insegnamento in quegli anni fosse pessima lo sanno tutti. La triennale è stata veramente una baraonda, con le aule immense di Economia riempite a dismisura. Chi di noi avrebbe potuto suggerire ad altri di venire a studiare Scienze della Comunicazione a Perugia?”, ha detto Stefano -classe di studio 2002/2003- facendo riferimento ad aule pollaio, carenza di apparecchiature, programmi dei corsi sconnessi.
In verità tra gli ex studenti del popolo di Scienze della Comunicazione, che per anni ha popolato Perugia, c'è chi riconosce l'importante ruolo svolto dalla crisi economica in questo trend che ha colpito negli ultimi anni tanti atenei del centro nord: “Io vengo da Termoli”, ha detto Laura, classe di studio 2001/2002.
“Quando ero agli ultimi anni, i miei cugini che stavano finendo le superiori mi dicevano che sarebbero venuti a studiare a Perugia. Poi invece le famiglie non hanno più potuto permettersi di mandare i figli a studiare fuori e così anche loro hanno finito per scegliere un'università vicino casa”. Secondo Francesca, classe 2000/2001, questo fenomeno “è diffuso in tante regioni del sud, e sicuramente è stato incentivato anche dalla maggiore difficoltà di accedere alle borse di studio. Io allora ci rientravo, mentre negli ultimi anni le fasce di reddito per accedere si sono abbassate tantissimo”.
Scarsa qualità – Ma tra tanti ex studenti degli anni del boom, è difficile trovarne uno che non punti il dito anche contro un livello di insegnamento troppo basso, che avrebbe causato l'emorrargia di iscritti al corso, ma anche il calo di reputazione dell'intero ateneo.
“Soprattutto gli anni della specialistica erano fatti a tirar via, con tante materie inutili o fini a se stesse”, racconta Cristiano, classe 2002/2003. “Per non parlare del collegamento con il mondo del lavoro. Oggi la maggior parte dei miei colleghi di allora è senza lavoro e senza sbocchi precisi. Una mia amica faceva comunicazione di impresa, oggi sta lavorando in un call center a Bologna, un altro ha fatto per due anni volantinaggio e oggi si è iscritto a un master. Io stesso ho difficoltà lavorative”.
Sia Cristiano che Stefano raccontano poi di una facoltà dov'era difficilissimo entrare in contatto con il mondo del lavoro tramite stage e dove c'era una carenza “scandalosa” di materie che ti insegnassero davvero a lavorare: “Ho fatto la specialistica in Comunicazione multimediale e non ho mai acceso un computer”, racconta Stefano.
Risorse dirottate? – Lo stesso ex studente di Sdc, originario di Perugia, punta poi il dito senza mezzi termini contro la politica dell'ateneo: “Per anni il nostro corso è stato fonte di guadagno e basta per l'università, con le cifre astronomiche che arrivavano dalle tasse di così tanti iscritti. Risorse che poi non sono state reinvestite in Scienze della Comunicazione o a Lettere, dove le aule ancora oggi sono fatiscenti e non ci sono laboratori decenti con computer o attrezzature. Sono state reinvestite piuttosto in facoltà 'più remunerative', come il nuovo polo di Medicina o le nuove strutture di Ingegneria a Santa Lucia”.
Un'interpretazione che ha le sue fondamenta, se si considera quanto dichiarato di recente nell'incontro “Quale futuro per l'università di Perugia” dal rettore Francesco Bistoni, che ha parlato di una “research university”, dove la ricerca sia il vero “motore trainante, anche per reperire investimenti da soggetti privati”.
Francesco de Augustinis
Articoli precedenti:
Università, accelera l'emorrargia di iscritti a Perugia: quest'anno oltre 2mila studenti in meno
QUALE FUTURO PER LE UNIVERSITA' DI PERUGIA. TRA RIFORMA E CRISI ECONOMICA (foto e video dell'evento)