Il monastero di San Masseo, afferente alla Comunità di Bose, non è una struttura alberghiera. Lo ha stabilito il Tar dell’Umbria annullando così l’ordinanza che era stata emessa dal Comune di Assisi qualche mese fa che intimava la cessazione della “attività esercitata senza titolo abilitativo in Assisi via Petrosa snc, secondo gli accertamenti effettuati dalla Polizia di Stato, ad attività ricettiva di tipo alberghiero”.
Scrivono infatti i giudici, accogliendo il ricorso della Comunità di Bose, che
l’attività in argomento non può che qualificarsi quale esercizio vocazionale di ospitalità svolto secondo il mandato della c.d. Regola di Bose, in forza della quale i membri della Comunità Monastica “sono animati da un profondo spirito ecumenico e da passione per l’unità della Chiesa e praticano con convinzione il ministero dell’ospitalità verso chiunque bussi alla porta della comunità” (art. 4 Statuto) al fine di condividerne la vita religiosa, previa valutazione discrezionale delle istanze formulate sulla base delle motivazioni spirituali dei richiedenti e dell’assenza quindi di ogni finalità latamente turistica.
Assisi, Comune e Comunità di Bose battagliano di fronte al Tar | Una casa di accoglienza è attività ricettiva?
“Ne discende – evidenzia il collegio nella sentenza pubblicata ieri – la riconducibilità dell’attività in argomento nell’ipotesi residuale di cui all’art. 23, comma 3, della legge regionale 8/2017 (Legislazione turistica regionale), in quanto svolta presso “case di convivenza religiosa”, in nessun modo assimilabile a strutture recettive di tipo alberghiere o extralberghiere di cui alla medesima legge regionale, anche in ragione della totale gratuità delle spese di soggiorno, che si estrinsecano in erogazioni puramente anonime e liberali a mezzo di cassetta per le offerte posta negli spazi comuni, con impossibilità di verificare chi e quanto abbia versato, coerentemente al ministero di ospitalità proprio della Regola di Bose”.